CAPITOLO UNDICI

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‹‹Mi anticipi Hockstetter!››

Esclamò Bowers, avanzando a passo svelto.

‹‹Se ti portassi al ballo di fine anno, impiegheresti altrettanto tempo principessina?››

Ancora una volta si era alle solite. L'uno che punzecchiava l'altro con squallide battute da due soldi. Ma era questo che Hockstetter trovava divertente, quel rapporto fatto di battutine insulse e insulti gratuiti non lo avrebbe instaurato con chiunque. Non che tra lui e Bowers ci fosse una grande amicizia, ma quelle poche volte in cui erano presenti entrambi, si palesava un'aria di sinistra complicità.

‹‹Qual è il motivo per cui dovevo venire?››

‹‹Ho sentito da un uccellino che ieri sera qualcuno ti ha fatto quasi cagare addosso.›› affermò, ridendosela di gusto. Patrick restava serio e calmo, scrutando Henry con quei suoi occhi di ghiaccio.

‹‹Sai quanto me ne può fregare? Tanto quanto ci troveremmo in questa tua zucca vuota.››

Henry smise di ridere, ricambiando lo sguardo torvo e serio. Afferrò Patrick per il colletto della camicia tirandolo verso di sé con tutta la forza che aveva. I loro visi erano a pochi millimetri di distanza, l'uno poteva sentire il respiro dell'altro.

‹‹Pensi che in quella tua mente deviata ci sia qualcosa di sensato? Un babbeo come te non è capace di pensare.››

Patrick socchiuse leggermente gli occhi, serrando la bocca in un'espressione di disapprovazione e tirando fuori un coltellino a serramanico, puntando la lama contro la gola di Henry. Afferrò il polso di quest'ultimo con l'altra mano e lo strinse con tutta la forza che aveva, facendogli percepire un lieve dolore. Ma nel caso avesse insistito poco più, il dolore sarebbe stato più accentuato. Henry contorse la propria espressione in una smorfia di dolore.

‹‹Stai attento Henry. Perché io non sono Belch o Victor. Non ho paura di te, Henry.›› disse con voce chiara, lasciando che gli occhi si riaprissero normalmente. Diede uno spintone ad Henry, lasciando che quest'ultimo cadesse all'indietro.

Patrick scese dalla staccionata di legno su cui si era seduto per aspettarlo e se ne andò via, senza proferire una parola di più.

‹‹Dove vai?! Torna qui idiota!››

‹‹Ho i cazzi miei da sbrigare, non perderò ulteriore tempo con te.››

Quella mattina non era in vena di perdere tempo con Henry. Patrick aveva da sbrigare un compito più importante, più che un compito, aveva bisogno di sfogare le frustrazioni delle notti precedenti.

E non c'era modo migliore di sfogarle se non quello di rinchiudere animali nel suo adorato frigorifero, giù alla discarica.

Un vecchio Amana in cui Patrick aveva ucciso numerosi animali, negli ultimi mesi ne erano scomparsi più di una decina. L'ultimo che morì asfissiato, fu un cucciolo di cane.

Il prossimo sarebbe stato un gattino trovato vicino ai rifiuti in cui una volta, lui e il resto della banda di Bowers, avevano quasi investito Mike Hanlon.

Il micino graffiava vicino allo sportello arrugginito del frigorifero, miagolando disperatamente. Patrick sapeva che ci sarebbero voluti dei giorni perché quell'esserino morisse. Quei giorni erano anche troppo lunghi. Ma di vivisezionare un gatto non aveva voglia. Avrebbe potuto intrattenersi comprando nuove bombolette di gas ed un accendino, magari non di quelli frugati tra le cose di suo padre. L'ultima volta che ne prese uno, il signor Hockstetter se ne accorse e rimproverò Patrick, sospettoso che il figlio fumasse. Patrick faceva anche quello. Ed ovviamente se ne fregava del giudizio di suo padre.

Ma a Patrick venne un'idea, qual ora il gattino non fosse morto immediatamente, avrebbe potuto bruciarlo vivo. Era un nuovo metodo di tortura da sperimentare.

I suoi occhi di ghiaccio si girarono lentamente verso il frigorifero, la mano dalle dita lunghe e quasi scheletriche, afferrò la maniglia e lentamente aprì lo sportello. Il gattino uscì, un po' agonizzante. Barcollava, ma presto sarebbe tornato a camminare bene a correre. Ed i gatti erano più agili in quanto a corsa rispetto ai cani, fin da cuccioli.

Gli occhi vitrei di Patrick trafissero in uno sguardo gelido quella bestiola. Sarebbe stata la prossima vittima, ma non avrebbe avuto un trattamento di "favore" come successo al resto degli animali. Bruciare vivi era un modo molto più doloroso di morire. Si moriva percependo un dolore atroce.

Le mani di Patrick raccolsero lentamente il micino, accarezzandone la testa.

‹‹Vieni. Adesso porrò fine alla tua vita. Non prometto di risparmiarti sofferenze, ma... oh.››

Sghignazzò, stringendo appena quel micetto al suo petto.

‹‹Ti farai tanto male.››

Patrick legò il micio ad un fascio d'erba secca strappata via a mani nude. In quel momento gli venne in mente un'altra tortura da praticare alla vittima sacrificale. Prese il coltellino a serramanico che aveva usato per minacciare Henry e lo pose vicino ad uno degli occhi del gatto, pian piano lo infilò sotto il bulbo oculare lasciando che la lama penetrasse lentamente in modo da causare un dolore atroce alla povera bestia, la quale tentava di dimenarsi inutilmente per sfuggire a quella tortura diabolica.

Allo stesso modo trattò l'altro occhio. Il gatto agonizzava, miagolando rocamente. Non aveva più voce, le sue lacrime erano miste al sangue colato via dagli occhi ormai saltati fuori.

Successivamente, pose gli occhi della bestiolina all'interno della sua bocca.

‹‹Vorrei che tu vedessi cosa sta per accaderti ora. Fortunatamente hai perso un po' di coscienza. Avresti patito di più, sai?››

I suoi occhi scintillavano come freddi diamanti, puri e limpidi di quel chiaro colore azzurro che rimandava ad un grigio freddo. Passò la lingua tra le labbra inumidendole.

Cosa non avrebbe fatto per la sua felicità? Per il piacere di una visione così deliziosa ai suoi occhi?

Ma venne interrotto da un rumore sospetto. Qualcuno si aggirava da quelle parti. Tra le foglie c'era qualcuno che strisciava abilmente, come un felino predatore pronto all'agguato. Patrick smise di fare quel che stava facendo, guardandosi attorno con sospetto. I suoi occhi si muovevano fugaci, come quelli di ladri pronti a rapinare una gioielleria, sapendo già dove mettere mano e cosa fare.

Chiuse frettolosamente il frigorifero. I suoi battiti diventarono man mano sempre più scostanti, non regolari nel loro ritmo. Respirava affannosamente, mozzando l'aria a tratti.

‹‹Chi c'è?!›› urlò a voce alta. Ma nessuno rispose. ‹‹Bowers! Sei tu?!›› nessuno rispose neanche sta volta. Passò qualche minuto. Silenzio totale.

Patrick riprese il gatto agonizzante, girandolo e rigirandolo in una mano. Era zitto, nessun miagolio o mugolio di dolore. Lo guardava con insofferenza. Fece un respiro profondo e lo rinchiuse nel frigorifero.

‹‹Ti è andata bene gatto.››


{Domani arrivano altri capitoli! Come sempre spero sia stata una lettura gradita.

Saluti! 

IT - The Bowers gang (2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora