Capitolo 1. L'invito

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Quella mattina mi svegliai pensando a Sherlock e a Lupin.
Già i miei cari vecchi amici. Coem non pensare a loro. Li incontravo ogni giorno al nostro ormai quartier generale, per bere una bella cioccolata calda e parlare. Parlare fino allo sfinimento, oppure per ascoltare le nuove idee di Holmes per nuovi e impossibili enigmi. Le opzioni ormai erano quelle.

Mi ricordai cosa scrissi sul mio diario qualche settimana prima, forse in preda a uno strano delirio: " Tredici passi per diventare chi voglio essere", e mi balenó in testa perfettamente cosa inserii come primo passo. Una cosa davvero stupida e idiota, se ci pensavo adesso.
E menomale che la cancellai subito :"Capire se sono innamorata di Sherlock o di Arsené. O di nessuno dei due!".
Magari avere certezze nella vita!

Avevo ormai capito che provavo sentimenti più profondi di una grande amicizia per uno dei due, ma per chi non lo volevo sapere. O semplicemente non lo volevo ammettere per paura che con questo avrei rovinato tutto .

Ero danantamente confusa. Confusa da quello che mi era accaduto in quell'anno. Lupin che si dichiarava e come mi baciava, come io baciavo lui. Era solo per puro divertimento? Non ne avevo la piú pallida idea.

E poi c'era Sherlock, che mi abbracciava per proteggermi o rassicurarmi, insomma. Il casino piú totale!

Con questi pensieri mi alzai dal letto, mi lavai, mi vestii e mi pettinai. Guardai alla finestra. Pioveva, anzi diluviava, ma ormai non mi lamentavo: questa era Londra, la mia cara Londra che non mi tradiva mai, con il suo traffico e la sua pioggia. Centinaia di ombrelli attraversavano la strada, grandi e piccoli, di tutte le dimensioni e colori, che si muovevano tutti nella stessa direzione, come un fiume. Londra era davvero bella, pensai. Un ombrello però si fermò davanti alla nostra casa, e varcó il cancello. Scrutai la persona che teneva in mano l'ombrello: era un ragazzo, alto, biondo, sui 17 anni, di bell'aspetto. Non poteva essere che una sola persona: Paul Letrieve. Paul ormai aveva finito di "ristrutturare" il giardino, e Leopoldo ne rimase molto soddisfatto, quindi lui diventò il suo lavoratore a tempo pieno. E io ne ero immensamente felice, al contrario ovviamente, dei miei due amici, Sherlock e Lupin, che mi dicevano che era una cattiva compagnia, che poteva essere un teppista o addirittura un cospiratore infiltrato che aveva la missione di uccidere la principessa di Boemia. Io sorridevo sempre a queste affermazioni, perché capivo quanto tenevano a me e quanto erano gelosi quando mi vedevano con ragazzi che non erano loro. Per "ragazzi" intendevano proprio Paul, perché era l'unico con cui avevo stretto amicizia oltre a loro, in quei anni della mia giovinezza, ora ormai passata.

Mi risvegliò dai miei pensieri la voce di mio padre che mi chiamava:- Irene, scendi!-

Io obbedii, ma prima mi sistemai l'acconciatura e il vestito, e infine mi guardai allo specchio per assumere un'espressione da "brava ragazza" ma l'unica cosa che vidi, fu il mio caro vecchio sorrisetto malizioso di sempre. A volte non mi capivo proprio. Scesi di corsa le scale, e trovai mio padre che stava letteralmente saltellando porgendo una lettera a Paul - Che cos' è? - domandai incuriosita

- Gli inviti! Gli inviti sono arrivati!-

-Quali inviti scusa?-

- Gli inviti per il ballo in maschera- esclamò radioso Leopoldo - Il conte è stato così gentile da invitarci! -

Lo guardai interrogativa. Paul allora mi porse la lettera. La osservai: era una carta pregiata, nuova di fabbricatura direi. La aprii. Diceva:

Carissimo Leopoldo Adler,

sarò felice di invitarvi al ballo in maschera annuale, che si svolge nel mio castello sul fiume Tamigi. Spero che porterete la vostra famiglia e i vostri cari alla festa.

Sherlock, Lupin e io. Il requiem del ballo in mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora