Capitolo 2. Il ballo

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Erano le 6 in punto. Mi guardai ancora una volta allo specchio: il vestito color violetto di mia madre mi stava alla perfezione, escludendo che dietro c'era un'apertura che lasciava la schiena scoperta in alto. L'acconciatura, era un semplice chignon, perché con i capelli fino alle spalle che avevo, non potevo fare molto, e in quel momento mi pentii moltissimo di averli tagliati.

In quel momento entrò Orazio, e sulla sua faccia si formò un sorriso smagliante - State molto bene, signorina Irene- disse lui - Ricordo che questo era l'abito preferito di vostra madre- sorrisi. - le assomigliare molto ora-

-Grazie Orazio- gli dissi.

- Signorina, però manca ancora un'ora piena prima di uscire- osservò lui

- Lo so Orazio. Ma devo abituarmi ad usare questi tacchi- a quelle parole il signor Nelson rise di gusto - Non c'è niente da ridere. Piuttosto aiutatemi ad imparare a stare in piedi e ballare su questi cosi-

E così passai i prossimi 30 minuti a seguire lezioni di valzer da Orazio, infatti dopo tanti tentativi, camminavo e ballavo come una vera dama, anzi no, come una vera principessa.

Guardai l'orologio, erano le 6 e 45. Cavolo, non avevo ancora scelto la maschera. Aprii il portagioie di Genevieve. C'era solo una maschera. Una dorata, che si abbinava perfettamente al vestito. Sorrisi. Sorrisi perché forse sapeva che avrei messo quel vestito, un giorno, prima o poi.

Sentii chiamarmi dal piano di sotto. Misi, la maschera e mi avvicinai alle scale. Volevo impressionare tutti. Quindi assunsi un'espressione da gran dama, feci un gran respiro, e scesi le scale in maniera regale. Quando arrivai di sotto, mio padre si avvicinò, mi fece fare una piroetta e disse - La mia ragazza sta diventando una giovane donna- questa frase la diceva sempre quando, dicevo qualcosa di saggio,o mettevo qualcosa che mi faceva sembrare più grande, come in questo caso. In quel, ripresi l'equilibrio e guardai Paul: anche lui mi stava guardando. Sorrisi timidamente, e lui abbassò lo sguardo e stava per dire qualcosa ma lo interruppe l'arrivo di una carrozza. Dovevano essere Sherlock e Arsené. Ci misimo i cappotti e uscimmo.

Salutai i miei amici, ma come risposta ottenni -S.. Salve I..Irene-. Notai che mi stavano fissando con la bocca spalancata, ma non ci feci caso, perché i ragazzi sono ragazzi. Decisi di rompere il silenzio: -Ragazzi questo è Paul- Lupin lo guardò e gli porse la mano -Sono Lupin- sibiló a denti stretti, poi Paul porse la mano a Sherlock che gli disse -Piacere, sono Sherlock-

-Che stretta forte- esclamò Paul massaggiandosi la mano. Guardai male il mio amico che si giustificó - Non posso controllare la mia stretta-. Sapevo che lo aveva fatto apposta, e anche oggi sorrido ricordando che in quel momento lui ebbe un pizzico di gelosia, cosa che oggi sarebbe impossibile, anche se glielo obbligassero.

Salimmo sulla carrozza. Tutti erano silenziosi, ma mio padre a un certo punto, decise di parlare.

-Da quando vi conoscete esattamente, voi e mia figlia?- domandò riferendosi a Sherlock e Arsené. Lui sapeva benissimo quando ci eravamo incontrati, ma credi che volesse spezzare quel silenzio.

-Dall'estate a Saint-Malo signore- rispose prontamente Lupin.

Mio padre indugió. E così tornò di nuovo il silenzio fra noi. Guardai il paesaggio: nel Tamigi risplendevano mille lampioni e luci. Era davvero bellissimo. Si poteva respirare l'aria fresca del fiume, mista all'odore della cittá.

Alla fine della strada si intravedeva il castello del conte. Davanti all'ingresso si vedevano molte dame vestite elegantemente, forse per far colpo sul proprietario del castello. Quando arrivammo scesi da sola dalla carrozza perché prima che Sherlock e Lupin finissero di litigare per aprirmi la portiera, il ballo finiva.

Sherlock, Lupin e io. Il requiem del ballo in mascheraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora