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Il mattino dopo mi svegliai prima che la sveglia iniziasse a suonare, non mi capacitavo nemmeno io di come fosse stato possibile. Mi alzai con fatica e mi stropicciai gli occhi con le mani, poi, sbadigliando mi diressi in bagno. Mi feci una doccia di almeno venti minuti: l'acqua calda mi accarezzava facendomi sentire al sicuro. Se fossi stata Pascoli l'avrei definita il mio "nido".

Con la spugna insaponata mi massaggiai la pelle, avevo i capelli appiccicati alla schiena ed anche se erano passati due anni avevo ancora paura di strofinare con troppa forza sul tatuaggio che avevo sulla spalla sinistra, come se potesse cancellarsi da un momento all'altro.

Me lo ero fatto a 15 anni il giorno del mio compleanno, consisteva in una mongolfiera colorata di blu, il mio colore preferito, e rappresentava il mio amore per la libertà. Continuavo a ripetere che se fossi stata un oggetto sarei voluta essere una mongolfiera perché poteva volare libera in cielo, ma non poteva soffrire o morire, a differenza degli uccelli. Continuo a pensarlo tutt'ora ed immagino che sarà così per tutta la vita.

Cosa posso farci? Sono uno spirito libero.

Uscii dal bagno e come ogni mattina rimasi a rimirarmi davanti allo specchio cercando di capire cosa indossare. La mia non era vanità, anzi, a dirla tutta non mi piacevo affatto e forse era per quello che ci mettevo tanto a scegliere i vestiti. Mi immaginavo Arianna davanti allo specchio della sua bellissima casa a due piani, per lei doveva essere facile scegliere gli abiti da indossare, era così bella!

Optai per una maglietta rossa a maniche lunghe, un paio di jeans neri e le Vans nere. Come al solito mi truccai con una riga di eyeliner ed un po' di mascara, ma quella mattina misi anche il rossetto rosso, in pandan con la maglietta.

Non mi piacevano affatto le lentiggini che mi ricoprivano le guance, ma non ero capace a mettere il fondotinta ed avevo una pelle talmente bianca che dubitavo ce ne fosse stato uno adatto a me.

Presi alcuni ciuffi di capelli che mi ricadevano davanti alla faccia e li tirai indietro fermandoli con una piccola molletta nera.

Ero pronta per uscire!

Indossai il giacchetto pesante, la sciarpa, presi lo zaino ed uscii dalla camera, ma non feci in tempo ad uscire di casa che mia madre mi bloccò.

«Dove vai?» mi chiese con una voce da ubriaca.

Aveva bevuto per tutta la notte e non aveva dormito per niente, me ne accorgevo dalle occhiaie che le marcavano la parte inferiori degli occhi.

«A scuola».

Mi guardò con aria schifata, come se avessi detto qualcosa di molto brutto.

«Sei un disonore per questa famiglia!».

«Quale famiglia?».

Mi guardò storto, si avvicinò barcollando e mi diede uno schiaffo in piena guancia.

Non si reggeva quasi in piedi a causa dell'alcol, ma la forza per menare ce l'aveva ancora!

Quel giorno rinunciai ai miei adorati biscotti. La guardai disgustata ed uscii di casa sbattendomi la porta dietro le spalle. La tramontana mi arrivò addosso violenta, mi sentii come se avessi ricevuto un secondo schiaffo. Mi strinsi nel cappotto e mi incamminai verso scuola. Non avevo la forza nemmeno di sentire la musica, strano, molto strano.

Arrivata a scuola camminai dritta verso la classe, senza fermarmi, e mi misi seduta sulla sedia guardando dritto davanti a me. Incrociai le braccia ed aspettai l'arrivo di Arianna e del professore. Gli altri ragazzi forse mi stavano guardando prendendomi per pazza o forse no, non mi interessava.

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