36

69 1 0
                                    




Tre mesi dopo mi arrivò una chiamata di Aldo mentre facevo una doccia.

           

Era un mattino di settembre e mi ero svegliata da poco. Per quella giornata avevo in programma di incontrare Arianna nel pomeriggio.Quando uscii dal bagno e mi avvicinai al letto, mi resi conto che lo schermo del cellulare era acceso. Mi vestii in fretta e lo richiamai.«Buongiorno Ambra, scusami se ti disturbo a quest'ora».«Buongiorno Aldo, nessun disturbo figurati, anzi devo scusarmi per non aver risposto alla tua chiamata».«Non ti preoccupare, ho una notizia da darti».«Dimmi tutto».«Tra due settimane hai una presentazione a Londra, in una libreria vicino a Hyde Park. Come sempre ti paghiamo il viaggio e tu ti occupi del soggiorno».Rimasi estasiata da quella notizia. Nonostante la storia che avevo inventato si ambientasse a Londra, non avevo mai fatto una presentazione lì. Ero felice ed emozionata.«Va bene Aldo, grazie per questa opportunità».«Ma insomma! Ogni volta che ci sentiamo mi ringrazi per il tuo successo. Ricorda che quello viene dalle tue doti».Lo disse ridendo ed aveva ragione, ma senza il suo aiuto non sarei mai arrivata dov'ero.«Lo sai benissimo che senza di te, il mio libro non sarebbe stato conosciuto».«Sono felice di averti scoperto, sei un talento e l'ho capito immediatamente dopo averlo letto».Sorrisi, nascosta dal cellulare e dalla lontananza che ci separava.«Ora devo salutarti, Jessica mi chiama da quindici minuti, mi ucciderà se non vado a sentire cos'ha da dire».«Corri, sai che non le piace aspettare» gli risposi ridendo.«Lo so, lo so. Ciao Ambra, più tardi ti manderò un messaggio con tutti i dettagli del viaggio».«Va bene, ciao».Chiusi la chiamata e mi gettai sul letto a braccia aperte e a pancia in su. I capelli rossi si sparsero sul plaid color nocciola.Sorridevo, estasiata e sognavo già il momento della partenza.«Ci rincontriamo mia dolce città» dissi a voce alta guardando il soffitto. Io e Arianna ci incontrammo a casa sua.Eravamo sedute sul divano quando le raccontai della telefonata del mio caporedattore e del viaggio.«Non posso crederci, finalmente! Mi chiedevo proprio quando ti avrebbero fatto presentare il libro a Londra».«Sono emozionata Cuore! Sognavo di riandarci da quando c'ero stata con Emanuele».«Lo so, non facevi che ripetere quanto fosse bella quella città e quanto eri stata bene».Mi prese le mani.«Sono fiera di te» aggiunse sorridendo.La abbracciai come fanno i bambini con i loro amichetti. A volte mi sembrava di tornare ai tempi dell'asilo in cui io e Arianna giocavamo a nascondino nel giardino della scuola e passavamo le mattinate a colorare i disegni, sedute attorno ai banchi di legno.Erano giornate spensierate e felici ed ogni tanto si riflettevano nel presente portando gioia.Non avevo più tre, quattro, cinque anni. Ma ero sempre la solita Ambra. Quella sognatrice, filosofica e strana. Quella che si faceva mille domande e si dava mille risposte. Quella che si affascinava per le cose più semplici e si annoiava per quelle straordinarie. Quella che guardava il cielo sperando di poter volare. Mi arrivò il messaggio di Aldo quella sera stessa, mentre aiutavo mia madre a preparare la cena. Mi asciugai le mani nel canavaccio della cucina e controllai il cellulare. Sarei partita la mattina del 22 settembre alle 9:30 con l'aereo.Posando il telefono e continuando a lavare l'insalata, raccontai tutto a mia madre.«Quanto rimarrai?».«Tre giorni».«Va bene tesoro, sono felice per te».Le scoccai un bacio sulla guancia. Da qualche settimana non odorava più di alcol, indossava invece un profumo leggiero che aveva comprato in un nuovo negozio aperto da poco nella zona storica del paese.Dopo aver cenato passammo del tempo insieme giocando a carte, sedute intorno al tavolo della cucina.Quando arrivò il momento di andare a letto non avevo affatto sonno. Mi misi a leggere e solo dopo aver "divorato" cinque capitoli mi addormentai.Quella notte sognai di vagare per le strade di Londra. Il giorno prima della partenza passai il pomeriggio con i miei amici.Ci eravamo incontrati in un bar, come facevamo di solito.«Ormai l'abbiamo persa!» esclamò Mattia rivolto a me.«Ma che dici?» gli risposi tirandogli una manica della maglietta.«Sei sempre in trasferta» si lamentò Alessia prendendo le parti del nostro amico.«Hanno ragione» assentirono tutti gli altri.Io li guardai estereffati, senza capire.Ludovica scoppiò a ridere portandosi una mano davanti alla bocca. Gli altri la fulminarono con lo sguardo.«Ludo! Hai rovinato lo scherzo!» esclamò Flavia.«Stavate scherzando? Siete proprio scemi!» mi lamentai.«Ma certo che scherzavamo, ti pare che ci arrabbiamo perchè parti spesso? Certo ci manchi, ma siamo orgogliosi di te» concluse Emanuele riportando la calma.Ridemmo tutti e Arianna, seduta accanto a me, mi portò una mano dietro alla schiena poggiando la testa sulla mia spalla.Mattia bevve un sorso di caffè e posò una mano su quella di Flavia abbandonata sul tavolo. La mia amica, a quel contatto, avvampò come se fosse stata toccata dalla fiamma viva.Guardandoli, pensai che sarebbe stato bello provare tali sentimenti per qualcuno. Girai la testa verso Emanuele, tentando di capire ancora una volta se era quello il caso, ma come succedeva sempre, ultimamente, non provai nulla se non un sentimento di amicizia.Forse sentendosi osservato, si girò ed incrociò il mio sguardo. Mi sorrise rimanendo in sospeso in uno spazio che non era nostro, ma solo suo. Quando tornai a casa mia madre era in cucina.«Spero che tu abbia fame, ti sto preparando una cenetta speciale visto che dovrai passare tre giorni all'estero» mi disse quando mi fermai sulla soglia con addosso ancora la borsa, il giacchetto e le chiavi di casa in mano.«Si! Se sarà come in Spagna mi mancherà il cibo italiano».Corsi in camera per posare le cose, spinta dal pensiero della cenetta invitante. Posato sul mio cuscino trovai un mazzo di fiori con quattro rose di natale al centro e diverse viole e bucaneve tutt'intorno.Posai la borsa ai piedi del letto e mi avvicinai meravigliata a quel mucchietto di profumi e colori. Era splendido!«Mamma, lo hai fatto tu?» le chiesi entrando in cucina.«È per te» mi rispose con un dolce sorriso.«Grazie».La abbracciai tenendola stretta. Non riuscivo a credere che fosse tutto reale. Avevo sognato per tutta la vita un rapporto madre-figlia come quello che si era creato ultimamente tra di noi.Mentre mi toglievo il giacchetto e sistemavo i fiori, mia madre apparecchiava la tavola e preparava i piatti.«Ti ho cucinato un risotto con la zucca, la fettina panata con le patate e alla fine c'è una sorpresa».«Che tipo di sorpresa?».«Dovrai aspettare la fine della cena».Misi da mangiare a Jane e mi sedetti su una sedia intorno al tavolo.Il profumo era invitante, la casa era illuminata, la televisione faceva da sottofondo ed io parlavo con mia madre felicemente.Per la prima volta il mio appartamento assomigliava a quello di Arianna. La mia vita anche.Quella notte feci fatica ad addormentarmi: ero eccitata e mi immaginavo l'istante dell'arrivo a Londra, la presentazione, le passeggiate che avrei fatto tra le vie. Il mattino seguente mi svegliai ancora prima che suonasse la sveglia, balzai in piedi dal letto e mi preparai in fretta e furia.Era presto, ma ero spinta da un moto di energia irrefrenabile.Dopo aver fatto colazione, mia madre mi accompagnò con la macchina fino all'aeroporto.«Fai buon viaggio tesoro» mi disse aiutandomi a togliere le valigie dalla vettura e dandomi un bacio tra i capelli.«Grazie mamma».La abbracciai e mi allontanai trascinando il mio trolley.Come sempre, durante il viaggio ascoltai la musica per tutto il tempo guardando fuori dal finestrino.Quando scesi dall'aereo riconobbi l'aeroporto di Stansted, in cui ero atterrata anche l'ultima volta che ero stata lì.Chiamai un taxy e mi feci accompagnare fino all'hotel in cui avevo prenotato una stanza.Guardandolo guidare mi sentii fuori posto: non capivo proprio perché gli inglesi avessero quell'insulsa abitudine di guidare a sinistra, ma poi pensai che forse eravamo noi altri ad essere strani perché guidavamo sulla destra.Mi persi nei miei pensieri sociali, finché il rumore del taxi, che inchiodava sulla strada grigia e liscia sotto di noi, mi riportò alla realtà.«Thanks you» dissi al tassista mentre scendevo dalla macchina. Era un uomo alto dai folti baffi marroni e due occhi profondi che raccontavano una storia.Presi la valigia ed entrai. L'hotel era a quattro piani con un grande atrio dalle pareti bianche ed il pavimento in parquet.Mi avvicinai alla reception. Dietro il bancone era seduta una donna dalle unghie laccate di beige e le dita ricoperte da anelli d' oro. I lunghi capelli biondi si contrastavano con gli occhi neri, mentre le labbra sottili erano quasi nascoste dal naso aquilino.Dalla targhetta attaccata alla divisa compresi che si chiamava Bonnie.«Good morning» la salutai.Dopo avermi risposto con un lucente sorriso, mi passò una chiave in ottone, attaccata ad un portachiavi a forma di corona reale: un omaggio alla regina Elisabetta.La mia stanza era la numero 58 e si trovava al terzo piano.Camminai verso gli ascensori e, da tipica italiana, spinsi i pulsanti di tutti e tre per salire su quello che sarebbe arrivato per primo. Il centrale vinse la corsa aprendo le sue porte attraverso un rumore meccanico.La mia stanza era molto grande: subito dopo l'entrata c'era uno spazio dedicato al passaggio, in cui erano poggiati vasi di fiori o quadri qua e là, a terra e sulle pareti. Sulla sinistra il muro si apriva in un arco, superato il quale c'era un ambiente con un letto matrimoniale verso il fondo, una tv al plasma attaccata alla parete, una grande finestra ed un armadio che occupava metà muro. Alla destra c'era un bagno con una vasca circolare, una doccia ed un enorme specchio ad angolo attaccato alla parete sopra il lavandino.Appena posai la valigia a terra e mi tolsi il giacchetto, tutto il sonno che non avevo sentito durante il viaggio mi cadde addosso come un secchio di acqua gelata.Mi sdraiai nel grande letto matrimoniale, con le lenzuola bianche immacolate, e mi addormentai ancor prima di essermi sistemata comodamente. Mi svegliai precisamente al centro del letto: era talmente grande che sembravo uno scricciolo confrontata a lui, mi perdevo tra le lenzuola.Rimasi indecisa a guardare il soffitto: da una parte volevo lanciarmi tra le strade di Londra e godermi la passaggiata prima della presentazione, dall'altra volevo rimanere lì sotto al calduccio.Mi sentivo come se fossi sdraiata su un gruppo di nuvole.Mentre riflettevo sul da farsi e mi godevo la morbidezza delle coperte, il mio cellulare iniziò a squillare.Sbuffai e mi alzai trascinandomi sui piedi: qualcun'altro aveva scelto per me.«Pronto?» risposi senza leggere chi era.«Cuore, ti ho svegliata?».Arianna.«No tranquilla» dissi.«Com'è andato il viaggio?».«Bene, scusami se non mi sono fatta sentire. Ero talmente stanca che mi sono addormentata appena arrivata in albergo».«Ma non era nemmeno l'ora di pranzo quando sei atterrata!».«Infatti, sono stupita quanto te, forse avevo bisogno di dormire molto» risposi con un'alzata di spalle.«L'importante è che stai bene Cuore».«Si, non ti preoccupare».«Comunque ti ho chiamata per dirti una cosa».«Che riguarda?».«Te».«Me?».«Già e credo che ti interessi particolarmente quindi stai bene a sentire».«Devo preoccuparmi?» domandai allarmata.«No, si tratta di...». La sua voce venne interrotta da un suono.«Scusami Cuore, Aldo mi sta chiamando sotto, sento che ha da dire e ti richiamo».«Va bene, a tra poco tesoro. Un bacio».Riagganciai a Arianna e risposi a Aldo.«Ambra perdonami se ti disturbo, volevo avvisarti che mi ha appena chiamato la padrona della libreria dicendomi che la tua presentazione è stata anticipata. Tra venti minuti inizi».«Tra venti minuti? Ma è il tempo che ci vuole per arrivare dal mio hotel a lì! Sono ancora in pigiama, mi sono appena svegliata!».«So che sono soltanto le nove del mattino e non so perchè questo cambio repentino, ma non ha voluto sentire ragioni e non cambierà idea. Mi dispiace».«Va bene, devo lasciarti e correre, ma dopo faremo una bella chiacchierata!».Stava per scusarsi di nuovo, ma riagganciai: non avevo tempo.Il "fast and furious" che era in me si accese come la dinamite. Mi lavai, vestii e truccai in cinque minuti, ancora mi chiedo come diavolo feci.Indossai una maglietta nera, attillata, con la parte superiore del petto in pizzo e la scollatura a barca. Jeans bianchi. Scarpe nere con il tacco quadrato.I capelli mi ricadevano in ricci larghi sulle spalle.Chiamai un taxi, quando si fermò davanti a me mi lanciai all'interno e dissi all'autista l'indirizzo della libreria, pregandolo di fare presto. Mentre sfrecciava sulla strada inviai un messaggio a Arianna dicendole che dovevo correre alla presentazione e che l'avrei richiamata più tardi. La libreria era piena di giornalisti. La proprietaria mi venne incontro stringendomi la mano.«Good morning, sono Rose»si presentò.Le risposi con il mio inglese da liceo linguistico.«Molto piacere, io sono Ambra».«Sei bellissima cara, accomodati, la libreria sarà il tuo mondo finché rimarrai. Sentiti libera di fare ciò che vuoi».«Grazie, sei gentile».Le sorrisi per sottolineare il mio apprezzamento.Rose era una donna sulla quarantina. Il viso era accarezzato dalla frangia castana unita ai capelli a caschetto. Aveva gli occhi neri ed un sorriso dolce.Indossava una maglietta scollata che metteva in risalto il tatuaggio sotto la clavicola destra: un nome in un corsivo. Scrittura che, personalmente, avrei usato nelle lettere scritte a mano.Sul fondo della libreria, in mezzo a tre scaffali in legno colmi di libri, era stato posto un rialzo nascosto da un banco in marmo: la mia postazione.Da là sopra, in piedi, avrei dovuto rispondere alle domande dei giornalisti posti davanti a me.Mi sentivo in alto, al centro, la protagonista.Nonostante ormai avessi fatto molte presentazioni ed ero abituata, la primordiale sensazione di ansia si impadronì di me per qualche istante facendomi arrossire le guance.Ad un cenno di Rose presi posto sul mio "trono". Mi sentivo come se fossi un parlamentare o come qualcuno che avesse vinto un oscar e si stesse apprestando a fare il suo discorso.Un centinaio di copie del mio romanzo erano predisposte in uno scatolone al lato di un tavolino: finita la presentazione avrei dovuto prendervi posto per scrivere dediche a chi lo avesse voluto. Altre erano state sparse in giro per la libreria a scopo decorativo e pubblicitario.Per un secondo, mentre aspettavo che tutti i giornalisti si posizionassero sotto il mio "seggio", pensai a me stessa e alla popolarità che avevo raggiunto in poco tempo. Ora, in tutto il mondo, era conosciuto il mio nome.Pochi giorni prima, Rose aveva pubblicato un post su Facebook con una mia foto mentre stringevo tra le mani, in bella vista, il mio romanzo. Aveva scritto nella didascalia che ci sarebbe stata oggi la presentazione e che aspettavamo tutti con gioia. La mia foto aveva ricevuto tantissimi commenti positivi di persone che affermavano di ammirarmi, di aver letto il mio libro e di essere rimasti estasiati. Dicevano che ero la migliore.Non mi sarei mai immaginata tanto successo e tanta ammirazione. Incosciamente questa cosa mi aveva sempre preoccupata, ma era stata offuscata dalla paura, più grande, che mia madre avesse scoperto che stavo scrivendo un  libro. Me ne stavo accorgendo in quel momento.Ora che mia madre sapeva tutto e lo aveva accettato, tornò in primo piano la paura che, una volta che fossi stata conosciuta, non sarei stata apprezzata dai lettori. Mi sentivo come Shakespeare o Cervantes.Capii che il terrore non doveva fermare i sognatori.Nel prossimo libro avrei scritto proprio questo, avrei inviato un messaggio a tutti coloro che avevano ancora un sogno da realizzare; che volevano combattere, ma erano bloccati dai dubbi; che volevano raggiungere le vette più alte.Avrei scritto che "un sogno dura finché lo insegui" perché mi era successo proprio quello e quindi ci credevo, perchè lo stringevo nel pugno il mio sogno ed era così serrato che non sarebbe mai caduto. La presentazione iniziò con il discorso di Rose.«Buongiorno e benvenuti a tutti. Per un problema imprevisto sono stata costretta ad anticipare di molte ore la presentazione e mi scuso per il poco preavviso, ma ora siete tutti qui. Ambra» continuò indicandomi «è qui per rispondere ad ogni vostro quesito e quando la presentazione sarà terminata sarà disponibile per le dediche. Ora tocca a voi e soprattutto a lei. Le lascio la parola».Si mise da parte lasciando a me l'incombente compito di intrattenere tutte quelle persone. Davanti ai miei occhi c'erano otto file di giornalisti di tutte le età.Ai lati c'erano quattro fotografe pronte a catturare ogni istante. Una era inginocchiata e teneva la telecamera puntata verso l'alto, cercando di catturare la mia immagine da una prospettiva diversa.Presi un respiro ed iniziai a parlare.«Benvenuti, come ha già anticipato Rose io sono Ambra Pacelli e sono qui per presentare il mio libro. Risponderò alle vostre domande e spero di poter soddisfare ognuno di voi. Chi vuole cominciare?».Tre mani si alzarono. Una donna con i capelli rossi come i miei, alta e talmente magra che, con una folata di vento, avrebbe potuto volare via da un momento all'altro. Per fortuna eravamo al chiuso!Un uomo con i capelli grigi e gli occhi blu. Un ragazzo sui venti anni grassoccio, con due splendidi occhi verdi.Li osservai per qualche istante e puntai un dito verso la donna.«Dimmi pure» le dissi mentre pensavo che mancava solo che le avessi detto "Picachu scelgo te" per sembrare a tutti gli effetti un allenatore di Pokemon. Che vergogna! Odiavo dover scegliere le persone, gli altri due, probabilmente, mi maledissero ed io mi sentii in colpa.«Ormai tutti conosciamo la trama del tuo libro, la mia domanda è se ti aspettavi tutto questo successo».Aveva un timbro sonoro, che rivelava una bella voce.«Sinceramente ci stavo pensando prima e no, non me lo immaginavo affatto. Sono davvero felice di tutto l'amore che esprimono i lettori per me e per il mio romanzo, è soprattutto grazie a loro che sono qui oggi. A volte il talento, da solo, non basta».La vidi trascrivere qualcosa sul suo taccuino con una matita, mentre le fotografe si davano da fare ai lati della sala.«Grazie» disse alzando la matita dal foglio.Le risposi con un sorriso.«Prossima domanda» aggiunsi.Si alzarono cinque mani e scelsi un uomo in prima fila. La parte bassa del suo viso era completamente nascosta da una barba nera.«La letteratura è considerata una forma d'arte e come tale è immortale, cosa pensi dell'arte in generale?».Sorrisi a quella domanda, perchè sapevo già come avrei risposto.«Vorrei ribattere con una frase che utilizza il mio cantante preferito in una delle sue canzoni: l'arte è finzione come la recitazione. È solo un'emozione, dentro un'emozione, dentro un'emozione, dentro un'emozione».Lo vidi segnarsi tutto nel suo quadernino.«Il prossimo?».Tra le varie braccia alzate, scelsi una ragazza di colore nell'ultima fila.Aveva dei capelli neri, talmente ricci che sembravano delle molle. Gli occhi neri erano piccoli, il naso schiacciato ed aveva le labbra carnose.Indossava un vestito bianco che risaltava sulla sua pelle scura.«Il tema principale del tuo romanzo è l'amore, perchè lo hai scelto?».Aveva un accento palesemente straniero, ma parlava perfettamente l'inglese, anche meglio di me.«Questa è una domanda che mi pongono in molti. Effettivamente potevo scegliere qualsiasi tema, ma ho optato per quello dell'amore per sottolinearlo, perchè ultimamente nel mondo ne vedo poco.L'amore, come dico spesso, non è solo quello che nasce tra una coppia di innamorati. Le persone hanno dimenticato quali sono le cose importanti ed ogni volta che litigano con la propria metà o che una coppia si lascia, pensano che l'amore sia brutto e negativo. Non c'è niente di più sbagliato!L'amore è la cosa più bella e pura che esiste al mondo, perchè porta ad una convivenza pacifica tra gli uomini e con la natura stessa. Quando c'è amore c'è armonia.Dobbiamo smetterla di pensare che esso si riduca ad una coppia. L'amore non finisce perchè un marito si separa dalla moglie ed è questo che voglio far capire. Voglio trasmettere l'idea che l'amore va ben oltre».La giornalista si lasciò sfuggire un applauso prima di segnare tutto sui suoi fogli, che fu seguito da tutti gli altri. In un attimo la libreria venne riempita dal rumore che producevano le mani dei giornalisti, delle fotografe e di Rose quando si scontravano tra loro.Ben otto mani si alzarono un attimo dopo che l'applauso venne scemato.Scelsi una donna sui cinquant'anni con i capelli castani raccolti in una treccia.«Vorrei farti solo una domanda, semplice e coincisa: cosa vuoi da tutto questo? Dalla tua fama?».Abbassai lo sguardo: «Una cosa soltanto». Alzai la testa e puntai i miei occhi nei suoi, come se volessi trafiggerla e continuai «voglio il mondo e tutto quello che c'è dentro!».Avevo parlato in modo solenne e la giornalista rimase per un pò a fissarmi, quasi intimorita prima di segnarsi le mie parole sui fogli che aveva in mano: avevo colpito nel centro!Il prossimo, un ragazzo, mi fece una domanda interessante: «Con che colore descriveresti la tua arte?».«Questa è una domanda carina ed io ho una duplice risposta da dargli: la mia scrittura si divide in quella per me e quella per i lettori.Quella per i lettori è colorata, un miscuglio di tinte calde e sgargianti. Quella per me prende le sfumature scure, soprattutto del nero.Questo avviene per una semplice ragione: quando scrivo per me, lo faccio per sfogare la mia tristezza, quindi non sono mai cose allegre; quando scrivo per gli altri ho dei tempi da rispettare, quindi lo faccio in qualsiasi istante ed essendo allegra, felice o tranquilla esprimo cose che si adattono a come mi sento. La felicità non porta alla scrittura, o almeno io scrivo quando sono triste, perchè quando sono felice mi sfogo in altri modi: cantando, ballando, urlando... ma quando scrivi un romanzo, o qualcosa che deve essere pubblicata, devi rispettare dei tempi ristretti e non puoi aspettare di essere triste per farlo, almeno che non lo sei perennemente, ma in quel caso mi dispiace per te».Il giornalista sorrise.Altre mani si alzarono, osseravai con attenzione tutti loro e rimasi colpita da un uomo in terza fila che sembrava guardarmi con un luccichio negli occhi.Era alto ed il peso sembrava ben proporzionato: non era né magro né grasso. Aveva dei capelli castani, corti, e degli occhi marroni. Il naso aquilino era posto sopra le labbra piccole e sottili.Lo indicai.«Ciao Ambra, ti ringrazio per avermi scelto» mi disse itroducendo così la sua domanda. Rimasi estasiata dalla sua voce dolce, ma profonda. Sembrava il cioccolato fondente: ha il sapore dolce, tipico del cioccolato, ma quella dolcezza è celata dall'amaro.«Volevo chiederti cosa ami della scrittura e cos'è essa per te».Lo guardai per un attimo negli occhi, dello stesso colore del cioccolato come la voce, e per un attimo mi assalì di nuovo quella sensazione familiare che mi aveva colto poco prima.«Della scrittura amo il fatto che sia universale e che riesca a trasmettere emozioni come una tela, una canzone, una statua. È immortale e può diventare una fonte storica e d'ispirazione.Cos'è per me la scrittura? Potrei risponderti dicendo che è tutto: il mio lavoro, la mia passione e la mia vita.Invece ti risponderò dicendo che non capisco perchè scrivo sempre ed ovunque, su ogni superficie che mi capiti sottomano: jeans a tinta unita, banchi, scrivanie, fogli, mura...Forse è un modo inconscio di trasmettere al mondo un messaggio, un modo di dire: "io la penso in questo modo".Sul mio banco di scuola non c'erano disegni, come in quelli dei miei compagni, ma una scritta nera sovrastava tutto il resto: "è sacra solo la scrittura".Chi la vedeva la associava a me e poteva comprendere una parte del mio pensiero. Uno spicchio di una mela destinata a crescere e a maturare».Quando terminai di parlare, per un istante, calò il silenzio nell'intera libreria.In quella frazione di tempo fissai l'uomo negli occhi, senza distogliere mai lo sguardo.Lui rispose alla mai vista e per un attimo sentii che i pezzi di un puzzle si stavano incrociando da qualche parte nella mia mente, ma quale?L'uomo mi sorrise, fece un cenno con la testa sorridendo ed iniziò a scrivere sul suo taccuino con la fodera nera di pelle.Altre mani si alzarono, pronte ad essere scelte e la presentazione durò per un altro lasso di tempo che mi parve interminabile.Ad un certo punto smisi di ascoltare senza nemmeno rendermene conto. Rispondevo in automatico, ma con la mente ero altrove: pensavo che a fine presentazione sarei dovuta andare a parlare con quel giornalista. Non so cosa, ma c'era una parte di me che mi spingeva verso di lui. Quando Rose prese la parola, avevo ormai risposto a domande infinite, quasi tutti i giornalisti avevano partecipato.«Mi dispiace molto interrompervi, ma la presentazione finisce qui. Mettetevi in fila davanti a quel tavolo per le dediche, i libri potete trovarli nello scatolone lì accanto» disse indicando l'angolo sulla nostra destra.Ci furono alcune proteste da qualcuno che voleva continuare ad interrogarmi, ma alla fine si dirottarono tutti verso il tavolo.Mi sedetti su una sedia di plastica verde e, con una penna in mano prestatami da Rose, mi preparai a lasciare dediche sulle copie del mio romanzo.L'uomo dalla voce e gli occhi al cioccolato, si fermò davanti al bancone della libreria a parlare con un altro giornalista. Lo osservai per qualche istante, mentre una donna davanti a me continuava a ripetermi il suo nome.Abbassai il viso sul libro."To Emily with love" scrissi e le ridiedi il romanzo con un sorriso.Lo strinse al petto e corse via, sembrava al settimo cielo.Mentre le persone si succedevano davanti ai miei occhi, non smisi un attimo di controllare il giornalista misterioso. Se fosse andato via all'improvviso?Dovevo assolutamente parlarci, non sapevo bene nemmeno io perchè, né cosa avessi dovuto dirgli, ma sentivo che era fondamentale, così mi decisi ed alzandomi all'improvviso dalla sedia, mi scusai con coloro che erano in fila con una copia del romanzo in mano e mi avvicinai a lui.Era girato di spalle, come l'altro uomo con il quale stava parlando.Quando mi avvicinai sentii che stavano discutendo in italiano.«Muoviti, và da lei! È la tua occasione Edoà».L'altro signore stava parlando con il tipico accento di Roma e gli stava dicendo di correre da una ragazza.Rimasi immobile dietro di loro ad origliare. Non mi ero mai azzardata a fare una cosa del genere in vita mia, ma all'improvviso le mie gambe erano diventate di piombo e non sarei riuscita a muovermi e ad andarmene nemmeno se lo avessi voluto.Sentivo, intanto, lo sguardo curioso degli altri giornalisti e delle fotografe puntate addosso, mentre i due uomini, contretati nella loro conversazione non si erano resi conto di nulla.«Ma come faccio Luca! Ragiona per un secondo. Non posso andare da Ambra e dirle: "Ehi, ciao, sono tuo padre».A quelle parole, mi cadde la penna dalle mani.Il rumore colse l'attenzione dei due che si volsero di scatto verso di me.L'uomo, vedendomi, si pietrificò e spalancò la bocca, come se avesse visto un fantasma. Il suo amico lo seguì.Io ero ferma, paralizzata.Avevo sentito bene? Si stavano riferendo a me? Quello era mio padre?"Edoà"Edoardo...In un attimo, il ricordo delle lettere nascoste in camera di mia madre mi pervase la mente."In attesa del tuo arrivo, con affetto. –Edoardo Pacelli" citava l'ultima frase della lettera che mio padre aveva scritto per me prima ancora che nascessi.Sentii quell'ultimo pezzo del puzzle unirsi al disegno generale. Tutti i quadratini si era incastonati. «Papa?» riuscii a dire con un filo di voce, talmente sottile che si spense verso la fine della parola, quasi mangiandosi la lettera "a".«Figlia mia» disse con la sua voce dolce, ma profonda.Aprì le braccia. Il sangue tornò a scorrermi nelle gambe, permettendo di muovermi. Gli corsi incontro e lo abbracciai come se stesse per finire il mondo e lui fosse la mia unica àncora di salvezza.Tutti i diciassette anni che avevamo passato separati, si ricongiunsero in quell'istante, allacciandosi ad un invisibile filo conduttore che sembrò cancellare tutto quel tempo.Rimanemmo così, stretti l'un l'altro, aspettando che quell'abbraccio ci dicesse ciò che per tutto quel tempo non ci eravamo mai riusciti a dire a parole.Le fotografe iniziarono a scattare fotografie ed i giornalisti a prendere appunti, ma noi non li vedevamo, come del resto non vedevamo Rose, l'amico di mio padre e tutto il resto della libreria.Quando ci staccammo dall'abbraccio, mio padre mi passò una mano tra i capelli.«Bimba mia, quante cose abbiamo da dirci! Mi sei mancata tantissimo».«Anche tu mi sei mancato papà, come l'aria».Ci sorridemmo. Sentii che ora era tornato tutto al suo posto. Quel pomeriggio, io e mio padre ci incontrammo in un bar a pochi passi dal mio hotel. Un locale con le pareti di legno di noce, circondato da grandi finestre e quadri di ogni genere.Ci sedemmo ad un tavolo sulla destra del bancone.Mi sembrava un sogno.«Sono così fiero di te!» esclamò di punto in bianco.Gli sorrisi.«Devi raccontarmi tutto papà! Cos'hai fatto in tutto questo tempo? Perché sei venuto a vivere proprio a Londra? Ti sei risposato o fidanzato? Come sei diventato un giornalista?».Tutte le domande che mi ero fatta durante quegli anni di assenza, si affollarono nella mia mente e mi uscirono a raffica dalla bocca. Stavano scappando fuori, come se fossero state imprigionate per un lungo periodo ed ora, finalmente, avevano trovato un punto di fuga.«Ehi, con calma piccolo uragano. Vedo che non sei cambiata da quando eri una bambina» rispose mio padre ridendo di gusto.Arrossii.«Quando sono andato via da casa, avevo con me solo le valigie, colme di tutti gli oggetti che avevo comprato o ottenuto per tutta la vita. Non sapevo dove andare e stava piovendo a dirotto, potevo tornare a casa dei miei genitori, ma avevo bisogno di allontanarmi il più possibile dalla mia vita e da tua madre:la donna che avevo creduto di amare con tutto me stesso. Mi nascosi sotto la veranda di un negozio, per ripararmi dalle gocce d'acqua che scivolavano incessanti sul terreno e, guardando in alto, verso il cielo, notai un aereo che volava lontano. Mi dissi che forse sarei potuto andare via dall'Italia, ma dove? Io sono stato sempre un uomo romantico e mentre osservavo la volta celeste pensai che Londra, patria di Shakespare, sarebbe stata perfetta».Sorrisi sentendo quelle parole, ecco da chi avevo preso! Sembrava che a parlare fossi io.Mio padre continuò a parlare.«Corsi in aeroporto e comprai un biglietto di sola andata, il meno costoso possibile. Quando arrivai a Londra cercai una casa o un appartamento in vendita o in affitto, ma non lo trovai. Dormii per una settimana in un albergo, ma dopo qualche giorno i soldi diminuivano e la necessità di avere una casa tutta mia si faceva sentire sempre di più. Cercai un lavoro e ne trovai uno in un ristorante.Dopo due settimane riuscii a trovare un appartamento nella periferia della città. Iniziai a vivere lì e continuai a lavorare in quel posto. Un giorno, anni dopo, mi arrivò una proposta di lavoro da una casa editrice a cui avevo inviato un mio manoscritto. Piano piano divenni un giornalista ed iniziai a lavorare per il giornale locale.In tutto questo tempo non c'è stato un istante in cui non ho pensato a te e quando il mio capo mi diede una foto, domandandomi se la scrittrice che stava spopolando in quel periodo e che aveva il mio stesso cognome fosse una mia parente, non ebbi dubbi sul fatto che fossi tu. Certo, sei cambiata tantissimo da quando eri solo una bambina, ma quegli occhi che guardavano vispi l'obiettivo non mi lasciarono alcun dubbio, ti riconobbi immediatamente. Un giorno, durante un servizio per il giornale, conobbi un ragazzo sui vent'anni che sarebbe dovuto partire un mese più tardi per la Spagna».«Lorenzo!» esclamai, interrompendo mio padre, ricordandomi del giornalista di Valencia.«Proprio lui! Quando tornò dal viaggio mi raccontò di te. Qualche giorno fa, il mio capo mi disse che sarei dovuto venire oggi, alla tua presentazione per intervistarti. Iniziai a cercare un modo per rintracciarti, ma non ci riuscii. Ieri sera ricevetti una chiamata di Lorenzo: aveva appena parlato su Facebook con una delle tue amiche, Arianna se non sbaglio, e le aveva raccontato di me».«Ecco cosa voleva dirmi questa mattina!» esclamai interrompendolo di nuovo.«Probabile» rispose mio padre sorridendo.«Sono felice che ci siamo rincontrati, non potrei desiderare di meglio» dissi.Ci sorridemmo a vicenda.Ambedue, chinammo per un istante lo sguardo, perdendoci ad osservare le nostre bevande mentre davamo libero sfogo ai nostri pensieri.Ad un certo punto, alzai il viso e gli porsi la domanda cruciale, quella che mi portavo dentro da quando lo avevo visto aprire la maniglia della porta e scomparire per sempre.«Papà..».«Si cara?».«Perché ti sei lasciato con la mamma?».Mi guardò con un'espressione di dolore, che dopo un istante si trasformò in una serena rinuncia.«Non stavamo bene insieme bimba mia, non eravamo compatibili. Io credevo di poterla salvare dalla sua triste vita e lei credeva che fossi ricco e che avrei potuto farle fare una vita da regina, ma non sono i soldi a fare la felicità, ricordatelo sempre Ambra».Sorrise in una maniera così dolce che mi sentii incrinare il cuore nel petto. Mio padre non era solo simpatico, intelligente ed un sognatore come me, era anche emotivamente forte e dal suo sguardo capii che quella, per lui, era una storia conclusa. Ci aveva messo una pietra sopra.L'unica cosa che lo straziava era la mia lontananza, la mia vita a lui sconosciuta, ma ora che ero lì poteva rilassarsi. Ora sarebbe stato sereno.«Sai papà, non pretendo nulla da te ovviamente, vorrei solo che tu sapessi che ora è cambiata. Ultimamente non beve più, è amorosa con me ed ha iniziato ad apprezzare la cultura».Mio padre si frugò in tasca e ne tirò fuori un sigaro cubano ed un accendino. Accese una fiammella, aspirò e trattenne il fiato come se stesse pensando a qualcosa.Quando espirò, una nuvola di fumo si espanse intorno a noi.«Tua madre è un fiore senza odore e senza i suoi colori» mi disse tenendomi una mano «c'era così tanto male, così tanto dolore nei suoi occhi stanchi l'ultima volta che l'ho vista. Se non ci è riuscita con me, sono felice che ora sia sorridente accanto a te».Lo guardai, poi passai lo sguardo sulla grande finestra di legno accanto a noi e, mentre ammiravo l'infinità del cielo, pensai che forse aveva ragione. Poi i miei pensieri si persero sul significato del destino e lì incontrarono uno scoglio erculeo, sul quale trovai arenati migliaia di uomini, ammassati come pesci.Forse era proprio questo che eravamo noi umani: milioni di pesci lasciati in balia della corrente, nel grande mare di Dio.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 21, 2018 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Un sentiero tracciato da un sogno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora