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I giorni seguenti passarono normali, mia madre tornò giovedì con un'aria più rilassata. Non so cosa facevano lei e Roxane quando passavano tanti giorni insieme ed ero felice così.

Il sabato arrivò.

Cenai a casa di Arianna, fu una gioia infinita come sempre.

Riuniti tutti intorno al tavolo, in un salotto illuminato da mille luci, quelle di Natale comprese, parlammo tutti insieme del più e del meno. Io ero seduta tra Arianna e suo fratello, di fronte a noi c'erano Luana e suo marito Giovanni e a capotavola era seduta nonna Silvia, la mamma di Luana.

Il padre di Arianna era il capo di una fabbrica di giocattoli e spesso ci facevamo raccontare come venivano costruiti i vari oggetti. Era bello sentirlo parlare, sembrava il vero e proprio Babbo Natale.

Mangiammo un risotto ai funghi, una bistecca ed un panettone: in quella casa il Natale era già arrivato, anche se mancavano ancora due settimane.

Adoravo quell'aria di festa!

Dopo cena io e Arianna ci chiudemmo in camera sua.

«Ho scelto un outfit per entrambe, se il tuo non ti piace dimmelo e lo cambio».

Tirò fuori dall'armadio dei vestiti e li poggiò sul letto.

Per lei aveva preparato una mini gonna nera, una canottiera rossa con degli strass sul corpetto ed un paio di scarpe rosse con il tacco.

Per me un vestito aderente maculato senza spalline con un paio di scarpe con il tacco nere.

Lo indossai: mi sottolineava tutte le forme e mi stava perfettamente. Mi piaceva molto.

Arianna indossò i suoi vestiti e ci truccammo.

Ci mettemmo entrambe l'eyeliner sugli occhi ed un rossetto rosso sulle labbra, dopodiché fu il turno dei capelli.

La mia amica li sistemò con l'aiuto della piastra, i miei invece erano molto ricci e decidemmo di lasciarli così.

A mezzanotte uscimmo di casa coperte con due pellicce nere, finte, che tenevano molto caldo. Sui ciottoli che ricoprivano una parte della strada era difficile camminare con i tacchi e raggiungemmo la casa di Mattia con un po' di difficoltà.

Quando arrivammo c'era anche Flavia, così partimmo subito.

In macchina mettemmo la musica a tutto volume, Mattia aveva portato una bottiglia di birra che ci passammo a turno, tranne Flavia che stava guidando e ci guardava con tristezza.

«Non fare quella faccia» le disse Arianna ridendo.

«La fai facile, tu stai bevendo!».

Quando arrivammo alla discoteca, la bottiglia era vuota.

Scendemmo dalla macchina, il terreno era colmo di sassolini e Mattia ci aiutò a camminare dandoci il braccio.

Flavia non aveva bisogno di aiuti perché indossava un paio di stivaletti neri con il tacco quadrato.

Davanti alla porta del locale si era formata una gran fila, aspettammo venti minuti per poter entrare e quando fu il nostro turno, un uomo davanti all'entrata ci segnò la mano con il marchio della discoteca, così che durante la serata potevamo entrare ed uscire tranquillamente.

Una volta dentro poggiammo borse e giacche nel camerino, una donna sulla quarantina ci lasciò una specie di scontrino per poterli ritirare a fine serata.

Tutti e quattro i foglietti finirono nelle mani di Mattia che li mise ben protetti nella cover del telefono, nella tasca dei jeans.

Noi, con i vestiti e le gonne, non avremmo saputo dove metterli.

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