35

16 1 0
                                    




           

Un anno più tardi...

«Ciao Cuore, divertiti e mandami tante foto!».

«Lo farò».

«Mi mancherai tanto».

«Anche tu».

Salii sull'aereo lasciandomi Arianna alle spalle. Gli altri li avevo salutati a casa, ma lei aveva insistito per accompagnarmi fin lì.

Non era la prima volta che partivo per una presentazione!

Il mio libro aveva avuto un grande successo, era stato tradotto in dieci lingue e pubblicato nei rispettivi paesi. Avevo partecipato a presentazioni in Italia, Francia, Russia e Grecia ed ora stavo andando in Spagna.

Con l'inglese, lo spagnolo ed il francese me la cavavo bene, il diploma del linguistico non era stato del tutto inutile, per le altre presentazioni ero affiancata da persone del luogo che conoscevano l'italiano o da persone italiane che avevano studiato quelle lingue.

Mi accomodai nel mio posto, rigorosamente accanto al finestrino.

Accanto a me sedeva un ragazzo che sembrava avere sedici anni ed una donna anziana.

Durante il viaggio mi rilassai ascoltando la musica con le cuffiette e guardando di fuori: le nuvole erano un agglomerato talmente compatto che sembravano solide. Ricordavano tanti, grandi, materassi o una distesa di dolce zucchero filato.

Quando scesi dall'aereo il sole di Valencia mi inondò accentuando il colore dei miei capelli.

Recuperata la valigia uscii dall'aeroporto e presi un taxi per raggiungere l'albergo.

«¿ Donde quieres ir señorita?» mi chiese l'uomo alla guida con un timbro deciso di voce.

Gli diedi l'indirizzo dell'hotel e mi accomodai sul sedile rivestito di velluto nero.

Mentre sfrecciavamo sulla strada fui rapita dal paesaggio: colori, vita e arte facevano a gara e sembravano rincorrersi e prevalersi a vicenda in ogni angolino.

«¿No es la ciudad más hermosa que jamás hayas visto?» mi chiese il tassista guardandomi dallo specchietto.«La mejor» risposi. L'hotel era al centro della città: un'enorme struttura a cinque piani con le pareti colorate di fucsia. In un'altra città sarebbe stata una cosa stravagante, un riflettore, ma non lì dove tutte le costruzioni, case comprese, erano tinte con colori sgargianti. Non per me che avevo l'anico dipinto dei colori dell'arcobaleno. Rimasi in Spagna quattro giorni. La presentazione venne fatta il secondo in una grande libreria a mezz'ora dall'hotel.Questi incontri non erano come quelli che facevo all'inizio: non c'era più un presentatore a farmi domande, ma veri e propri giornalisti che in piedi, davanti a me, mi ponevano i quesiti per poi riportare tutto sui loro taccuini.Le mie presentazioni finivano sui giornali e in televisione arrivando ad un pubblico ancora più ampio. La libreria aveva le pareti color giallo limone ed era un edificio a due piani,  sostenuto da molte colonne bianche in bella vista al suo interno. Un'ampia scalinata portava al secondo piano. Ovunque c'erano libri, giornali, dizionari, cartine geografiche.Alle pareti erano appesi ritratti dei più grandi scrittori spagnoli.Le finestre illuminavano le due sale filtrando la luce del sole. Le proprietarie erano due donne sulla quarantina con gli occhi, verdi l'una e neri l'altra, illuminati da un sentimento di gioia, accentuato dai loro sorrisi smaglianti.Maria indossava un paio di occhiali da vista che la facevano assomigliare alla McGranitt, la professoressa di trasfigurazione di Hogwarts.Isabel aveva una voce aggraziata ed un tatuaggio dietro l'orecchio.Erano simpatiche e gentili. Emanavano allegria da tutti i pori. La presentazione iniziò con la domanda di un giornalista basso con un ciuffo di capelli ricci e neri che gli ricadevano sulla fronte.«¿Por qué has elegido el amor como el tema principal de tu novela?».Quella era la domanda principale: ancora prima di chiedermi da dove era nata la storia o perchè avevo deciso di scrivere un libro, mi chiedevano tutti perchè avevo scelto l'amore come tematica principale. L'ultima fase era fare le dediche: le persone si mettevano in fila con una copia del mio romanzo in mano ed io, da dietro un tavolo, scrivevo qualcosa sulla pagina iniziale del libro, nella parte lasciata in bianco sotto il titolo.Di solito i giornalisti, a fine presentazion,e recuperavano le loro cose e andavano via, quella volta si mise in fila per la dedica anche uno di loro: un ragazzo sui vent'anni con i capelli castani e gli occhi verdi, un sorriso smagliante ed un piercing sul sopracciglio.«Mi chiamo Lorenzo».«Sei italiano?».«Si».Ero incredula, nonostante Valencia fosse una città molto turistica, soprattutto in quel periodo dell'anno, non mi era ancora capitato di incontrare miei compaesani.Mentre gli scrivevo una dedica, sentivo il suo sguardo addosso. Quando gli porsi il libro mi stava sorridendo.«Vorrei farti i complimenti, hai fatto una bella presentazione e sono davvero curioso di leggere il tuo libro».«Grazie mille, sei gentile».«Da dove vieni?».«Un paesino al centro Italia».«Come si chiama?».«Monte dei Pioppi».«Io abito a Roma».«Cosa ci fai qui in Spagna?».«Alcuni servizi, tra i quali la tua presentazione».Stavo per rispondergli, quando arrivò, netto e deciso, il lamento delle persone in fila dietro a Lorenzo.«Tieni, questo è il mio biglietto da visita, se vuoi chiamami» mi disse, poi si scusò con i lettori e se ne andò. Quella sera in albergo, svuotando la borsa, mi ritrovai tra le mani il biglietto sul quale c'erano il nome ed il numero di cellulare di quel giovane giornalista.Per un attimo fui tentata di chiamarlo, ma per dirgli cosa? Non lo conoscevo!Però se mi aveva dato il suo biglietto da visita c'era un motivo... Mentre mangiavo stavo ancora pensando a lui. Mi feci portare la cena in camera per avere un pò di tranquillità e mi ritrovai a ragionare sul fatto che Lorenzo, a ventanni, era già un giornalista affermato, inviato nel mondo per fare delle interviste. Io a diciannove anni ero una scrittrice ed il mio libro era stato tradotto e pubblicato in quasi tutto il mondo.Forse era vero che il mondo stava cambiando! Fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile una cosa del genere. Solo gli "adulti" potevano aspirare alla ricchezza... i veri adulti intendo.Forse era stato proprio questo a cambiare le cose: loro puntavano ad essere ricchi, noi no.I giovani non hanno bisogno principalmente di soldi, hanno bisogno di sogni da realizzare ed io e Lorenzo ce l'avevamo fatta grazie all'amore che mettevamo in ciò che facevamo. Questo potevo affermarlo per me, Lorenzo non lo conoscevo, certo, ma avevo visto i suoi occhi brillare quando gli avevo chiesto cosa ci faceva in Spagna. Quando tornai a casa, due giorni dopo, mia madre era venuta a prendermi all'aeroporto.«Com'è andata?».«Bene mami».Non era la prima volta che accadeva, mi veniva sempre a prendere quando tornavo da un viaggio, a meno che non lavorava.Pian piano si era abituata al mio "lavoro" e non faceva più espressioni schifate quando qualcuno parlava di libri o di cultura generale. Stava iniziando ad apprezzarla.Appena entrammo in casa venimmo accolte dalla piccola Jane, che ormai non era più tanto piccola, ma che per me lo sarebbe sempre stata.Ci miagolò e ci fece le fusa strusciandosi sulle nostre caviglie.Mia madre mi aiutò a portare la valigia e a posarla in camera.«Cosa vuoi mangiare a cena?».«La pasta» risposi senza esitazioni «la Spagna è spettacolare, ma la pasta come la facciamo in Italia non la fanno in nessun altro posto al mondo e anche se sono stata via solo quattro giorni mi è mancata».Mia madre rise di gusto.«E va bene miss scrittrice, ti cucinerò un bel piatto di spaghetti con le vongole».A quelle parole mi si illuminò lo sguardo, come se mi avesse detto che di li a poco avrei incontrato il mio cantante preferito. Dopo cena chiamai Arianna con il cellulare, in Spagna ci eravamo sentite poco.«Cuore!».Ormai mi ero arresa al fatto che non mi avrebbe chiamata per nome, per fortuna ogni tanto lo facevano gli altri, o me lo sarei dimenticato!«Ti sono mancata?» le chiesi.«Mi manchi ancora perché non ti ho visto!».«Hai ragione, che ne dici di andare a fare colazione al bar domani mattina?».«Volentieri». «Cosa dice Arianna?» mi chiese mia madre quando riagganciai il cellulare.«Niente di nuovo, ci siamo accordate per vederci domani».Annuì e continuò a sgranocchiare dei cracker mentre guardava la tv.Mi sedetti accanto a lei, con Jane sulle ginocchia.                                            «Devi raccontarmi tutto!» esclamò Arianna mettendosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.Le parlai della Spagna, della presentazione e di Lorenzo.Lei, che mi stava ascoltando noncurante convinta che fosse andata come alle altre presentazioni, al nome di Lorenzo mi puntò gli occhi contro. Sembrava un segugio mentre fissava la sua preda.«Chi è?».«Non lo conosco, so solo che abita a Roma e fa il giornalista».«Ce l'hai ancora il suo biglietto da visita?».«Si, a casa».«Dovresti chiamarlo!».«Per dirgli cosa?».«E che ne so, ma se ti ha dato il suo biglietto da visita è perchè vuole che lo cerchi».«Inizialmente ci avevo pensato anche io, ma ora credo che si sia dimenticato. Dopotutto non ci conosciamo nemmeno, cosa vorrebbe da me?».«Non penso si sia dimenticato, anche perchè ti ricordo che ha a casa il tuo libro e vedendolo penserà a te».«Non credo che lo chiamerò Ari».«Faresti male e poi non sei curiosa? Magari ha qualcosa da dirti».«E cosa?».«Non lo so!».Mi misi a ridere, ma lei era seria.«Sembra anche un bel ragazzo dalla descrizione che mi hai fatto» aggiunse.«Non era male». Il bar era vuoto quella mattina. C'eravamo io, Arianna ed un signore anziano seduto intorno ad un tavolo dall'altre parte del locale rispetto a noi. Era intento a leggere il giornale e mi emozionai a guardarlo: ormai erano rari coloro che preferivano la carta alla tecnologia. Mentre guidavo per tornare a casa ripensavo alle parole della mia amica. Lorenzo aveva davvero qualcosa da dirmi? Quando lo avevo visto, in mezzo agli altri giornalisti, mi ero sentita strana. Sembrava osservarmi come se mi conoscesse, ma io non conoscevo lui!Parcheggiai la macchina poco lontano da casa e cercai di schiarirmi le idee mettendo un passo dietro l'altro.Era una giornata di giugno calda e soleggiata. La luce del sole sembrava illuminare il mio cammino, quasi mi stesse indicando la strada da prendere. Quella sera, mentre ero seduta su una piccola sedia in terrazzo, intenta a guardare le stelle estive, mi arrivò un messaggio di Emanuele, anticipato dal cellulare che si illuminò all'improvviso.«Domani sera ti va di uscire?».Ultimamente ci eravamo allontanati. Non provavo più forti emozioni quando lo vedevo o passavamo del tempo anche insieme agli altri, ma lo consideravo un amico e rimaneva divertente, simpatico e dolce.Pensai alla proposta per parecchio tempo, con gli occhi fissi su una stella in lontananza.Isolata dalle altre era la più luminosa e talmente piccola da sembrare un puntino nell'immensità del firmamento.Ad un certo punto mi persi anche nei miei pensieri: quando sentivo quella parola, "firmamento", mi immaginavo una mano gigantesca che, con una penna d'oro, fatta di stelle, danzava nel cielo lasciando una firma.Risi della mia immaginazione, finchè i miei pensieri tornarono sull'argomento principale e presi una decisione.«Perché no» scrissi sulla tastiera del cellulare ed inviai il messaggio. «Cosa vediamo insomma?».Io e Emanuele, da venti minuti stavamo osservando il tabellone del cinema per scegliere un film da vedere. Io avevo proposto due storie comiche ed una d'avventura e lui un horror ed un fantasy.«Il film horror non se ne parla!» protestai.«Sei proprio una fifona».Gli diedi una gomitata sul fianco. Fece finta di essersi fatto male e continuò a prendermi in giro.Alla fine optammo per il fantasy.«Come li vuoi i pop corn?» mi chiese.«Secchietto grande ovviamente» risposi con aria di sufficienza.Scosse la testa e lasciò l'ordine ad un ragazzo dietro al bancone.Quando entrammo in sala le luci erano state già spente, l'unica fonte era quella che proveniva dallo schermo, ma non era sufficiente. Con i pop corn in una mano, il biglietto nell'altra ed i giacchetti tenuti sulle braccia piegate, cercammo i nostri posti.«Ce l'abbiamo fatta!» sbuffai lasciandomi cadere sulla poltroncina blu.«Non è finita qui, preparati a mezz'ora di pubblicità» rispose Emanuele dopo aver sorseggiato un goccio di coca cola.«Oh no! Mi dimentico sempre che prima di iniziare ci ammorbano in questo modo».Il film parlava di un giardino fatato e la storia si basava su una battaglia tra il popolo delle fate e quello dei giganti.Era molto bello ed era valsa la pena aspettare.«Cosa ne pensi? Ti è piaciuto?» chiesi a Emanuele mentre uscivamo dalla sala e tornavamo in macchina.«Si, soprattutto il personaggio di Maira».«Davvero? Credevo che avresti tifato per i cattivi».«Si, gli Auri sono fatti bene, non ci sarei mai arrivato ad immaginare personaggi del genere, ma anche alla principessa non si può dire nulla. È coraggiosa e credo che sia un bell'esempio da seguire per voi donne».«Sono stupita» gli dissi annuendo leggermente con il viso.Mi accompagnò a casa con la macchina, guidava velocemente.Io, seduta accanto a lui, accesi la radio ed iniziai a muovere le braccia a tempo della musica caraibica.«Ma che fai?» mi chiese Emanuele ridendo.«Ballo la salsa».«Da seduta?».«Certo».Scoppiammo a ridere mentre continuavo a ballare ondeggiando anche con la testa.Emanuele parcheggiò sotto il mio palazzo.«Grazie per il passaggio» gli dissi «è stata una bella serata».«Anche per me».Ci guardammo per un istante. Le mie certezze sarebbero potute cadere, com'era successo a molte altre ragazze, ma non accadde.Ero ferma nella mia idea che ormai, lui non mi trasmetteva gli stessi sentimenti che ci avevano unito da quando avevamo iniziato a recitare insieme in quella recita scolastica due anni prima.Gli diedi un bacio sulla guancia e uscii dalla vettura dopo aver aperto lo sportello. Mentre mi avvicinavo al portone del palazzo, mi girai proprio nell'istante in cui si stava toccando con la mano il punto in cui le mie labbra erano entrate a contatto con la sua pelle. Stava guardando imbambolato davanti a sè come se stesse cercando di capire se aveva sognato o era stato tutto reale.

$t

Un sentiero tracciato da un sogno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora