1.5.2 | The Finale

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Salii le scale per indossare l'abito, e finire di prepararmi.
Nel frattempo che mi spazzolavo i capelli, riflettevo sull'arrivo della signora Richards e su quello che sarebbe successo dopo.

In un certo senso, ero felice che la madre di Cole era finalmente tornata, pensavo che il ragazzo, avesse bisogno di tutto il supporto possibile, e che se nonostante non mi sia mai allontanata da lui, non potevo mai paragonare il mio amore, con quello di sua madre.

Ad un certo punto sentii una macchina fermarsi sotto casa:
«Selena, muoviti dobbiamo andare.», era Angelique, che urlò seduta nella sua decappottabile.
Non mi chiesi perché fosse passata a prendermi di sua spontanea volontà, probabilmente il motivo lo sapeva solo lei, e solo a lei, era concesso saperlo.

Scesi di fretta le scale, presi il giacchetto che non indossai e corsi fuori.
« Finalmente non indossi i soliti stracci.» disse mentre si aggiustava il lucidalabbra, specchiandosi nello specchietto retrovisore.
«È ancora presto.» dissi ignorando le sue parole.

«La tua amica e il mini Richards, sono già a scuola, manchiamo solo noi.» disse accendendo la macchina, fino a quel momento accostata.
Il tragitto fu tanto lungo, quanto imbarazzante. Stare alla destra della mia peggior nemica non era il massimo a cui aspiravo nella vita, ma sarebbe stato meglio che andare a piedi.

Arrivati a scuola, entrammo dall'ingresso secondario, quello che usa il personale di pulizia, una volta chiuso il portone d'ingresso.
La struttura era deserta, i corridoi che ero abituata a vedere affollati, erano vuoti, e tra i muri si poteva toccare la tensione.

«Ho detto a Joseph di aspettarmi in palestra, però ci andrete voi tre, io interverrò a mio tempo.» disse Angelique portandomi difronte alle porte della stanza.

Vicky e Walter mi aspettavano lì davanti, anche loro vestiti eleganti per l'evento.
Arrivata vicino i ragazzi, Angelique ci aprì la porta, ed entrammo nella palestra.

Entrati, la porta si chiuse dietro di noi, e una voce riecheggia nella stanza che odorava leggermente di sudore e gomma.

« Fratellino, da quanto tempo.» disse Joseph, alzandosi dalle gradinate, «Vedo che come sempre, sei in buona compagnia.» continuò.

Walter strinse la mano di Vicky, sempre di più, quasi volesse sfogare la sua rabbia.
«Selena, come sta Cole? Ho saputo che è stato sparato.», continuò ridendo; il suo gioco era chiaro, voleva farci arrabbiare, in modo che potessimo agire senza riflettere.
Joseph si avvicinava sempre più, dal suo jeans tirò fuori una pistola, che riconobbi subito: era la stessa che usò per sparare Cole, settimane prima.
Si avvicinò sempre di più, fino ad arrivare vicino alla mia faccia: sentivo il suo respiro che sfiorava il mio orecchio, mentre mi sfiorava i capelli con l'arma fredda.

« Uccisa dalla stessa arma, con cui ho sparato il tuo ragazzo, che cosa romantica, non credi?» disse sussurrandomi all'orecchio; nella mia testa urlavo ad Angelique, di entrare il prima possibile, ma ormai sapevo, che Vicky aveva ragione, e che fosse sua complice.
Sentivo il cuore in gola, una lacrima bagnò il mio volto, strisciandolo.

Ad un certo punto, sentii la porta della stanza spalancarsi con violenza.
Insieme ad Angelique, c'erano due agenti della polizia, che entrarono immediatamente, mentre la ragazza rimase ferma sull'uscio a fissare Joseph:

« Joseph, ecco cosa succede quando ti metti contro di me.», disse alcuni secondi dopo.
I due agenti lo presero sotto braccio da entrambi i lati, facendo cadere la sua arma.
Mentre veniva trasportato fuori, Vicky si riprese e prima che varcassero la porta, urlò:
« Fermi!», i due agenti si fermarono e la ragazza si avvicinò a Joseph, che continuava a fissarla con i suoi occhi gelidi e privi di emozioni.

Vicky si avvicinò velocemente, e con tutta la forza che aveva in corpo, diede un pugno in faccia al ragazzo, che non emise neanche un suono, ma si limitò a strizzare gli occhi e ad andarsene trascinato dai due poliziotti con il naso dal quale colava del sangue.

Usciti dalla struttura, lo portarono in macchina dove sarebbe stato condotto nella sua nuova dimora: una cella.
Tra gli sguardi increduli degli studenti, notai un ragazzo vestito solo con una maglietta, una camicia a quadri, e un jeans chiaro... era Cole.

«Dobbiamo parlare.» disse con tono freddo e distaccato, quasi volesse dirmi qualcosa di brutto, « Apprezzo tantissimo ciò che hai fatto per me, davvero, ma ho deciso che me ne andrò con mia madre.»

Il mondo, all'improvviso, crollò sotto i miei piedi.
« Se questa è la tua decisione, Cole, la rispetto.» dissi mentre Vicky e Walter ci raggiunsero.
«Sono passato a salutarvi, anche a te Walter, mamma mi ha detto che resti qui.» continuò Cole.

Ci abbracciammo, come buoni amici, come non fosse mai successo niente tra noi; una volta distaccati, toccò a Walter salutarlo, credo per lui fosse ancora più difficile che per me.
Finiti i convenevoli, Cole salì sulla macchina bianca, in cui sua madre lo aspettava pazientemente, e partì, per chissà dove.

Tutto si calmò, l'evento inizió, non avevo voglia di festeggiare, anche se mi avrebbe fatto bene, quindi restai..

Questa è la storia di una cattiva abitudine, di un'abitudine che di solito porta solo cose negative, ma posso dire, o voi che leggete questa mia breve storia, che anche le cattive abitudini, possono insegnarci qualcosa, e Cole ne era la prova.

-Fine.

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