In armi

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Mia madre con velata ironia diceva avessi la patologia degli accumulatori, che non sanno disfarsi di nulla, che danno significato alle cose. Non ci ho mai visto del male nell'affezionarsi agli oggetti, alle vecchie riviste, agli omaccini rovinati dagli anni. Sentivo che fosse mio compito proteggerli dallo scorrere dei momenti e difenderli dall' oblio che gli spettava. La consideravo una forma di gratitudine: prendersene cura per renderli diversi, quegli oggetti, differenti perché non sarebbero così stati persi o dimenticati. Era però una piccola stanza solitaria che ormai provocava forte asfissia e logorii a chiunque ci passasse poco più tempo del dovuto. Mi sentii ben presto in dovere di arginare le malsane vibrazioni che attanagliavano le pareti senza la più timida intenzione di liberarle, di lì a poco; e dunque decisi, sospirando a occhi bassi. Quel pomeriggio cominciai a buttare via tutto. 

La stanza era piccola e mi imposi dovesse contenere poco più che il necessario. Dai piccoli ricordi agli scatoloni tirati giù di peso dagli scaffali, trascinati e che a fatica rubavo alle polveri annidate sotto al letto. Mi provocava asfissia tutto quel groviglio del quale sapevo poco o nulla. Un insieme di vecchi oggetti e aneddoti dimenticati, quella stanza, così intima. Capivo così perché mi intimavi, tu, a partire. Ad affrontare fino in fondo, a non importarmene. Avevo bisogno di riordinare però, perché prima di salutare dev'essere tutto pulito, come non fosse mai stato nulla. Non volevo fuggire così, come te.

Il giorno dopo ti coprì gli occhi mentre salivamo le scale e quando spalancai la porta non vedesti differenza. Tirai su il lenzuolo che nascondeva il ventre del letto e non c'era più nulla: niente più grovigli e polveri. Sorridesti malinconica, mi chiedesti di uscire.

Fuori Il fumo lontano accarezzava le braccia degli alberi. 

Girava la testa, girava un poco il mondo.

Mi domando perché mi parlavi quando tacevo, che il silenzio è pesante, ma non con te; i rapporti variano in base alla qualità delle discussioni, ma quelli veri, credo, prevedono ottimi silenzi. Sapevo che non stavi bene e le mie domande stupide non ti alleviavano i pensieri, quando abbassavi lo sguardo per cercare attimi nascosti ai miei occhi capivo. Vedevo i tuoi demoni che io, in lotta con i miei, osservavo inerme, sperandoci in armi, un giorno, insieme a sconfiggerli.

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