2 - se Poesia esistesse Pt. 3

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Piuttosto seccato dall' innocenza con cui quel ragazzino lo fece, continuò, trattenendo un' occhiataccia e mordendosi la lingua. Davanti a lui, con gli occhi fissi ed un' espressione meravigliata, quel poco più che bambino attendeva risposta tutto eccitato.

"Già. E la semisfera scivolò e schiacciò la sferetta di plutonio>> Unì i palmi delle mani facendole cioccare <<che entrò in stato critico. I ricoveri urgenti e le cure furono inutili.Tutti i presenti in quella stanza morirono nell' arco di pochi giorni.

Il professore, che era il più vicino, per primo."

"Forte!". Il ragazzino sgranò gli occhi e spalancò la bocca. "Quindi morì così il signor Colciari?", chiese. Indicò la vecchia foto dietro al bancone che ritraeva un giovane uomo d'altri tempi, incamiciato e d' aspetto pulito, di profilo, mentre armeggiava con dei documenti e che con seriosa espressione pareva scrutare fuori dalla cornice come fosse a conoscenza d' essere osservato.

Ancora seccato per essere stato interrotto nel suo racconto, il vecchio Colci, al sentire la domanda del ragazzino raddrizzò la goffa postura e scosse la testa; con improvvisa fierezza non riuscì a trattenere un sorriso d' orgoglio. Aveva aspettato finora quella domanda, e fu lieto di rispondere con risolutezza. "Assolutamente no.

Lui ha sconfitto la scienza.

Mio nonno tra i presenti in quella stanza fu il solo a vivere ancora a lungo."

All' udire di quest' ultime parole il ragazzino rimase perplesso per qualche istante prima di sollevare il sopracciglio, mugugnando pensoso. Incrociò le braccia e poi con una mano andò a massaggiarsi il mento con lo sguardo rivolto verso l' alto rimuginando.

"Ma andiamo.

Com' è possibile che sia sopravvissuto ad un' esplosione atomica? Mica mi freghi." Arricciò il naso. La sua euforia iniziale si trasformò in una contorta, beffarda smorfia di disappunto.

Colci si riteneva una persona paziente.

Era sicuro di essere dotato di buon senno ed ottimo autocontrollo: le volte che si innervosiva a fior di pelle riusciva a contenersi, e grazie al suo animo passivo gli interlocutori di rado se ne avevano a vista. C' erano però alcune cose che proprio non sopportava. Sicuramente, tra queste, v' era il fatto che mal sosteneva che la gente non credesse alla sua storia, alla leggenda di suo nonno.

Quando la raccontava con gli occhi fieri, in pochi lo ascoltavano per davvero. Colci era proprietario di quel piccolo chiosco che principalmente vendeva macchine fotografiche analogiche di seconda mano e sviluppava rullini; le macchine analogiche non le acquistava più nessuno, ed i rullini di qualche saltuario cliente che si trovava a sviluppare non rendevano certo i soldi dell' affitto del locale. Si ritrovava, ogni qualvolta la campanella dell' ingresso del negozio tintinnasse, a narrare le gesta di suo nonno con eccitazione, tanto che la decimata clientela, ammorbata ormai dai mille racconti, evitava quel negozietto di periferia: per il vecchio intrattenere i clienti alleviava il fatto che uscissero sempre insoddisfatti, a mani vuote, imboccando la strada per la città. I pochi appassionati dalla fotografia preferivano recarsi al grande magazzino, laddove uno studio fotografico più grande, moderno e ben fornito aveva da poco aperto. Lì, nessuno dei giovani commessi intratteneva i clienti con vecchie storie e leggende di paese, e le macchine fotografiche digitali stagliavano scintillanti nelle vetrine ben allestite.

Il vecchio Colci teneva aperto ancora per miracolo, la sua attività non avrebbe superato l' inverno prossimo: lo sapeva lui, l' avevo capito in pochi giorni io, comunque soddisfatto della buona paga e dell' impiego. I suoi clienti erano bambini a cui i genitori non compravano gli apparecchi digitali, e vecchi contadini nostalgici, che chiedevano di farsi mettere a nuovo le macchinette adoperate in gioventù, col fine di trasformarle in graziosi oggetti di mobilio. Quel negozio era sporco, la clientela un ricordo. Ma al vecchio Colci non importava più di tanto; già in pensione lavorava per occupare il tempo.

"No, non ci credo proprio." Aggiunse rassegnato il ragazzino, dopo averci riflettuto ancora un poco. "Il signor Colciari è sicuramente morto li dentro."

Mantenne la calma, che stavolta facile non fu, e con una fittizia espressione rilassata e quanto più serena, si pronunciò con voce distesa in difesa di suo nonno e delle sue gesta. In fondo quello davanti a lui era poco più che un bambino.

"Accidenti, non fu mica così, ragazzo. Giappone a parte, la vera bomba scoppiò in New Messico...Mai sentito parlare di Trinity? Beh, mio nonno era lì. Faceva parte del gruppo dei tecnici, realizzò parecchi scatti che ha sempre conservato e che ancora oggi io posseggo.

In questo fatale giorno di cui ti sto raccontando, invece, non scoppiò niente di niente. Furono morti silenziose e ritardate quelle del professore e dei tecnici: una volta che il plutonio fu schiacciato, una luccicante luce blu inondò la stanza: accecò il Professore, meravigliò gli assistenti, rimase impressa nella pellicola di mio nonno che non esitò a fotografarla.

Aveva il compito di documentare l' esperimento con buone fotografie e lo svolse sino in fondo. Fu proprio questo che lo salvò.

Vieni. Ti mostro qualcosa che non ho mai mostrato a nessuno."

S' abbassò scomparendo dietro al bancone, dove dal lato opposto il ragazzino si sporse euforico cercando di scorgere cosa stesse combinando Colci. Ma era troppo basso ed il bancone, in effetti un po' alto, gli sembrò il fianco di una fortezza inespugnabile; quindi tornò ad appoggiare i talloni sul pavimento e si accontentò di pazientare qualche istante. Finalmente Colci rispuntò da dietro al bancone e nel pugno destro stringeva una chiave.

Una stupida, piccola chiave in ferro che in un istante sparì nella morsa del pugno di Colci. Il ragazzino lo guardò confuso. "Una...Chiave ha salvato la vita al signor Colciari?"

Colci non rispose ed agile schiacciò il tasto posizionato sotto al bancone e di colpo le serrande, tra il gran fracasso del loro motorino elettrico, s' abbassarono nascondendo agli occhi di entrambi la strada che là fuori si faceva sempre più scura mentre il giorno volgeva alla sera.

Con un grosso scatto, le serrande s' erano abbassate facendo sussultare le calde luci del negozio che sobbalzarono esitando.

Il ragazzino seguì ogni dettaglio con lo sguardo incuriosito e le braccia conserte aggrappate a quel bancone inespugnabile, per lui ma non per Colci, che agilmente ne sgusciò fuori; al richiudersi delle piccole porticine da saloon, chiese al ragazzino di seguirlo.

"Come hai detto che ti chiami?"

"Tomas"

"Seguimi, Tomas"

Stavamo per entrare nello stanzino nel quale neppure io avevo mai messo piede.

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Spero che non vi spaventiate dal cambio di stile e di registro, è tutto come da copione. La provincia ha molteplici volti, per raccontarla bisogna essere camaleontici. Torneranno le storie e i personaggi, ma vediamo cos'ha in serbo il vecchio Colci nel retro-bottega...Domani la quarta parte!

-Emme Damna-

Provincia meccanicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora