"Ora che si fa?", domandò Paolo.
"Non ci resta che giocare".
Lorenzo si tirò su, puntò i gomiti sulle ginocchia, si fece serio. Paolo corrugò lo sguardo, nascose un riso maligno e con la gamba mi fermò, arrestò il moto e la sedia a dondolo sulla quale stavo affusolato. Dietro di noi la vigna del vecchio Colci stagliava a perdita d'occhio. Un gatto tigrato faceva le fusa, poco più là, sulle gambe di Marco, che sorseggiava distratto. Lorenzo proseguì.
"Ascoltatemi.
Ogni gioco è innanzitutto e soprattutto un atto libero...il gioco comandato non è più un gioco.
Guardate quel gatto." Come sapesse di essere osservato si allontanò da Marco, si mosse per le vigne.
"Gli animali sanno giocare, sono qualche cosa in più che meccanismi, perché sono capaci di vivere senza pensare alla sola sopravvivenza. Anche noi giochiamo, ma quando lo facciamo, a differenza loro, siamo totalmente consci che sia un gioco, che presto dovremo tornare alla serietà." Il gatto tornò, sbucò alle spalle di Lorenzo che non se ne accorse.
"Noi, come quel gatto, non siamo meccanismi. Ma siamo anche qualche cosa in più."
Paolo continuò a scuotere la testa. Ripresi a dondolare e fissai le nuvole, le forme.
"Dove vuoi arrivare?", chiese Marco versandosi altro.
"Mi spiego meglio,
Il Gioco non è la vita ordinaria. E' un allontanarsi da quella per entrare in una sfera momentanea di attività con finalità tutta propria.
Il gioco sa innalzarsi a vette di bellezza e di sanità che la serietà non raggiunge;
soddisfa ideali di espressione e di vita collettiva. Ed è irrazionale perché è un bisogno dell'uomo, nonostante non sia puramente legato alla sopravvivenza."
"Il gioco ha bisogno di uno spazio, che ne delimiti il campo di azione.
Di un tempo, perché il gioco ha una fine.
Di ordine e regole.
E di una tensione, perché la mente deve calarsi nella parte."
Paolo s' alzò in piedi.
"Smettila con le fiabe, stiamo perdendo tempo!"Puntò il dito, le vene sul collo spinsero le parole.
S'alzò anche Lorenzo, che calmo, cercando gli occhi miei, di Marco, tentò d' ignorarlo e continuò a parlare; distolsi lo sguardo dalle nuvole.
"Dunque,
sicché il gioco funzioni ognuno deve svolgere il proprio ruolo, realizzare nel proprio mondo imperfetto e nella propria vita confusa una perfezione temporanea di sé stesso, delle proprie azioni.
Andarsene da qui è una cosa seria, se vogliamo riuscirci non ci resta che giocare.".
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Domani la seconda parte!
A breve sarà disponibile il libro completo.
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Provincia meccanica
Tiểu Thuyết Chung10/05/18 #1 in Narrativa Generale [IN CORSO] I sogni più belli nascono nei sobborghi. Narriamo di cemento, cielo, amore: cosi isolati, non ci resta che guardare oltre. "I tuoi occhi, ladri di lettere, oscillavano tra le nostre righe. E gli avremmo...