"Chi non pensa perde tempo.
E ce ne sono tanti, fidati. Intendo chi non pensa che tutto questo muterà le sue forme, presto o tardi. Il cambiamento è la fine di qualsiasi cosa e una volta mutata quella cosa è morta, verrà dimenticata.".
Si accomodò ancor di più in quel vecchio divano. Si riaccese la sigaretta, spentasi nel frattempo, e deglutì l'ultimo sorso di gin.
"La vita è una collezione di cambiamenti, volontari o meno. Ecco, io odio i cambiamenti."
"Quindi odi anche la vita?"
"In parte. Odio la vita in quanto moto perpetuo. Ma la amo perché gente come noi, come me e te, ha avuto la possibilità di liberarsene. Perché se vuoi, lo sai, la vita ti lascia in pace; libero !". Allargò le braccia ed un riso eccessivo gli schiarì il volto.
Riflettei. "Ma a me manca ciò che avevamo, mi manca la vita"
"Non sei felice?"
Mi volsi verso le teste che si scuotevano sotto al palco "No."
"E che ci fai ancora qui?"
Esitai.
Fissai i suoi occhi vitrei, lo osservai digrignare i denti e tossire. Non riusciva ad alzarsi in piedi e la sua testa senza equilibrio ondulava a mezz' aria. Mi chiese di tornare a danzare scongiurando l' alba ormai alle porte, poi mi guardò sorridendo, mi offrì del tabacco e s' alzò in piedi a fatica; arrivarono amici barcollanti che ci travolsero d'abbracci e canti. Lo ritrovai dopo tempo, quando persomi tra le genti decisi di uscire. Con mia sorpresa mi si parò davanti. Mi offrì ancora tabacco e mi squadrò; aveva ritrovato l'equilibrio, notai, ed i suoi occhi così seri, luccicanti, m'infastidirono; si mordeva la lingua e s'asciugò la fronte affaticata.
"Prima non mi hai risposto.", esordì. Istanti dopo sopraggiunsero amici, di nuovo, ma questa volta portarono silenzio e muti fumavano.
"Allora, dimmi, cosa ci fai ancora qui? ", m'incalzò.
E ci fu una piccola pausa, intimi attimi in cui nessuno prese parola-la mente osserva con le mani composte lungo i fianchi, e le parole mozzate, esitanti, incerte s' inceppano: gli occhi primattori sbirciano il futuro squadrando i lineamenti dei visi più vicini-; quel momento, con la sua eloquenza, spiazzò più di mille parole. Mi mossi spezzando l'imbarazzo, incamminandomi tra i cenni di cortesia.
"Non ero felice neppure prima.", ringhiai un istante prima di voltarmi. Non sentì commenti, un rumore d'accendini si levò.
Le ceneri a terra emanavano un odore malsano e mi allontanai fintanto da non sentire più le grida dei nomi già dimenticati. Troverò, aspettando troverò, mi ripetevo racchiuso tra due muri ad angolo. Dovesse avere corpo, la forma dell'attesa non sarebbe un cerchio; piuttosto una linea spezzata che non trova la sua coda e vaga per le campagne e per le case, soffre sui sampietrini che umidi ci facevano perdere l'equilibrio. Ma per non cadere basta rimanere immobili affianco alle pietre, in perenne bilico. Cercavo chi mi cercasse, chi avesse speso tutto e volesse uscire affianco a me ad ogni costo. Ma non riuscì a vedere nulla se non le auto, ammaccate, che percuotevano la tangenziale. Avevo buttato ogni rosa al suolo affianco ai mozziconi. Attendevo che la notte sparisse, che i miei passi tornassero stabili, aspettavo la fine dell'inverno scongiurando la bella stagione alle porte.
"E' capitato sai, che aspettassi qualcuno. Uomo, donna; non importava, giuro: io che aprivo la porta e l'unica ad entrare era Estate, che poco parlavamo, e nessuno più.", sogghignavo con Paolo, tornato dai soggiorni estivi. Era partito due mesi fa, corsi via veloci e già ricordi. A guardarmi indietro gli anni non sono altro che lunghi istanti, il futuro è bravo mercante e mente; promette magia ed infinito e strappa, ogni volta, totale fiducia. Come l'ultima sera a Berlino quando guardammo Paolo preparare i bagagli; Luca uscì sconsolato: lo ritrovammo in aeroporto e lo perdemmo una volta arrivati a casa. Col biglietto di ritorno perso tra le vesti rimanemmo offesi noi, che partivamo solo per tornare.
Quando provai a scriverti rispondesti per non doverlo più fare. Facevi sempre così, rubavi i battiti: ricordo i tuoi occhi, ladri di lettere, oscillare tra le nostre righe; gli avremmo dato tutto ma non loro, nate sui banchi, scritte sui muri, sospinte tra le labbra. E lo sai che quando tutte le parole buttate al vento tentammo di scriverle furono musica. Furono squallida celebrazione, furono compagne indelebili e poesia - sentii delle urla, mi levai dal letto e corsi sull' uscio di casa: spalancai la porta.Luca sorrideva come non lo vedevo da anni, quel pomeriggio, e strillava dal fondo della mia via chiamandomi, voleva uscissi subito e voleva festeggiare.
"A cosa brindiamo?" Gli chiesi quindi poco dopo, che eravamo tutti e anche Paolo, tornato tra noi, con i boccali in mano.
"Domani parto ragazzi. Parto per non tornare."
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SPAZIO A ME
Provincia Meccanica è una raccolta di vita e pensieri alla rinfusa. E' l' esperienza di tutti, la vita di nessuno. Cerco di regalare immagini al tempo che scorre pitturandone i sentimenti. La storia vedrà un crescendo di ansia e tranquillità, coese ed opposte, ma i protagonisti saremo sempre noi.
Se avete letto fin qui, mi fa contento e spero vi abbia fatto piacere; mi auguro nei prossimi giorni di avere il tempo per buttare giù un altro capitolo andare a domenica.
Grazie infinite a tutti i lettori!
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Provincia meccanica
General Fiction10/05/18 #1 in Narrativa Generale [IN CORSO] I sogni più belli nascono nei sobborghi. Narriamo di cemento, cielo, amore: cosi isolati, non ci resta che guardare oltre. "I tuoi occhi, ladri di lettere, oscillavano tra le nostre righe. E gli avremmo...