Quando mi sentì arrivare, Beatrice scostò coll' indice il ciuffo di capelli scivolategli sugli occhi e distolse lo sguardo dalla finestra, coperta in parte, dalla tenda a fiori bianca e rossa che scivolava lunga per la parete. Mosse calmi passi verso il tavolo della cucina; quadrato e robusto, ai suoi fianchi v' erano due sedie di ferro che sobbalzavano malferme; entrambe avevano le gambe di differenti lunghezze ed il treno che scorreva non molto lontano faceva tremare il terreno: le sedie sobbalzavano da una gamba all' altra, dondolavano e producevano uno snervante tamburellio al suolo ogni qualvolta il loro peso scivolava dalla gamba più lunga a quella più corta. Ne afferrò una, quella più vicina alla finestra, e la spostò per fare spazio.
Nella stanza erano sparse tele da disegno, un paio di contenitori d' acqua e pennelli sporchi.
Sul tavolo fogli pieni di schizzi e macchie colorate.
Beatrice disegnava da quando avessi memoria. Aveva un tratto morbido e delicato, a volte rimanevo incantato nel vedere la sua mano a becco dirigere linee e creare spazi. Corse ad abbracciarmi e a scompigliarmi i capelli, non ci vedevamo dal pomeriggio passato tra le vigne di Colci.
Quando le chiesi come stessero gli altri, Lorenzo, Paolo, simulò indifferenza. Mi chiese come andasse il mio impiego all' Argenteria e scrollai le spalle, le raccontai dei vecchi clienti e del vecchio Colci, che gli volevamo tutti bene nonostante le sue stramberie. La osservai, poi, continuare ad inchiostrare la tela, senza ancora capire la figura che andava componendosi.
Un momento dopo si girò, più seria.
"Comunque si, Paolo l' ho visto. Abbiamo parlato.
A dire la verità è venuto qui, ha bussato, ha gridato finché mia madre non gli ha aperto, non volevo vederlo, ma mi ha parlato a cuore aperto, come mai, e non ho potuto che ascoltarlo. Sembrava affranto, lui sempre così tronfio.
Cerchiamo ciò che non esiste, dice lui, siamo sognatori. Non ha detto nulla degli altri poi, solo di voi tre. Mi ha detto di Lorenzo, dei suoi progetti mai portati a termine, lui che ha i soldi di famiglia e si accontenta, parla di giocare. Di Luca, nell'ultimo periodo assente, volato via e mai più tornato. Di te, che rinunci, mai ti opponi, e così facendo le tue parole sui fogli sono carta straccia. Dice che siete degli inconcludenti. Che le vostre velleità artistiche non vi porteranno da nessuna parte ed il vostro mondo parallelo è un vicolo cieco.". Un sorriso amaro le parve in volto.
Riparte la settimana prossima, ma non so per dove."
Un moto di rabbia mi pervase, quelle parole mi provocarono sdegno. Le dissi che il primo perdigiorno fosse proprio lui, sempre di ritorno e sempre più cupo, ogni volta che mostrava il suo volto pareva più vecchio d' un soffio, ma palpabile: addossava agli altri ciò che a lui faceva più male, e ciò ferisce la mente prima ancora che lo spirito.
"Paolo ha paura.
La sua insicurezza lo rende forte, ma tale rimane. Ha paura delle strade, della gente. Non si sente in grado, si rifugia nel suo mondo di colpevoli. Se non ci fossimo noi, peccatori a suo dire, se la dovrebbe vedere con sé stesso; prima o poi capiterà.
Quando Colci ha detto che siamo sempre pronti a scappare sono certo si riferisse a lui."
Beatrice tacque. Diede qualche pennellata di rosso a quello che pareva essere un quadrato, e poggiò il pennello, lo buttò in uno dei due secchi colmi d' acqua.
"Con Paolo ho chiuso tempo fa, io non prenderò parti. Sbagliate tutti per me, e anche tu, che hai gli occhi di chi non vede l' ora di lasciarsi tutto alle spalle.
Ho ripensato anch'io alle parole del vecchio Colci quel pomeriggio; cercava di spronarci, ma la verità è che non possiamo prescindere da ciò che coviamo. Questa è la nostra gioventù, queste le nostre strade. Aveva ragione in una cosa Colci. Dobbiamo trovare la forza di esprimerci, perché i nostri mille volti meritano la totalità delle emozioni. Questa malinconia che ci opprime va combattuta tenendo lontane le sue fauci dal nostro petto, che il cuore deve battere e sentire il mondo senza gabbie.
C'è del buono anche qua, in fondo. Del resto ci siamo cresciuti bene; ricordi qui fuori, quando giocavamo per il prato di ritorno da scuola?" Sorrise.
Uscimmo nel giardino e ci sedemmo sul prato. Maggio soffiava incertezze, il cielo cangiante viveva d' un moto perpetuo ma quel giorno, di certo, sarebbe rimasto il sole incastonato tra le nuvole.
" Eravamo spensierati perché inconsapevoli, ma io non credo che il viso dell' ingenuità sia evaporato così, col passare degli anni.
Penso invece sia ancora dentro di noi pronto a tornare fuori: noi dalle tante facce, abbiamo sinora scelto solo le più comode."
La vedo farsi seria e raccogliere a sé ginocchia, braccia, sicché rannicchiata scosse la testa in un disappunto palpabile e mi guardò gli occhi, scrutò le labbra dischiuse e la mia smorfia interrogativa.
"Più passa il tempo più la natura razionale annichilisce il sentimento.
Se non cambiamo volto perderemo l' amore per il sogno, finanche l' arte. Così quando avremo smarrito i battiti, la vita si butterà da parte e la quotidianità sarà rimpianto e prassi."
Guardò ancora me. Poi guardai ancora lei. Un fischio di vento mi spostò il ciuffo e mossi gli occhi infastidito. Rimasi fermo ed annuii col capo alle parole di Beatrice.
"Quel lavoro comunque è momentaneo, hai pensato cosa fare in futuro?".
Posi lo sguardo sulla tavola, nuda, col legno vivo scoperto, quasi messa in imbarazzo nel mezzo della chiassosa natura circostante, affianco a quella casa scossa dai treni. Quella domenica mattina l'avevo avvertita del mio arrivo solo quando ero già lì davanti, di fatti aveva i capelli arruffati, il vestito stropicciato ed uno sguardo assonnato.
Scossi la testa.
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MassaMenti2018
Serve essere uniti, in un forte connubio, per la più instabile e necessaria potenza.
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-Emme Damna-
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Provincia meccanica
General Fiction10/05/18 #1 in Narrativa Generale [IN CORSO] I sogni più belli nascono nei sobborghi. Narriamo di cemento, cielo, amore: cosi isolati, non ci resta che guardare oltre. "I tuoi occhi, ladri di lettere, oscillavano tra le nostre righe. E gli avremmo...