Fossimo attori dovremmo attendere l' unico giorno in cui non avremo maschere e senza identità non so dove ci porterà il mondo. Io, ti avrei portata al mare per scioglierci al sole: meravigliati dai raggi così chiari ed eventuali nulla sarebbe più importato.Finimmo lontani da casa proprio la mattina in cui le occhiaie tremarono alla vista di quei raggi sottili.
La carrozza traballò all' arrivo e Paolo mi aveva strattonato, aveva fretta e glielo lessi in volto. Mi guidò spingendomi giù dal treno e fuori tra le corsie.
"Dove siamo?", gli chiesi perplesso una volta scesi e messa a fuoco la stazione. Sonnecchiante Paolo non rispose, ma si fermò.
Divincolatomi lo guardai e mi guardò, affianco alle rotaie che s' estendevano eravamo fermi sulle gambe. Nei binari squadrai i piccioni e lo sbattere d' ali, e tra le decine di voli persi il senno quando alzai lo sguardo e lessi, ormai del tutto sveglio; raccolsi la testa tra i palmi.
"Siamo a Quattropoda" esclamai poi. Strattonando io, questa volta, mi trascinai dietro Paolo. Per la nostra fermata, quella dopo, avremmo dovuto aspettare ore, e tornammo di corsa al nostro binario appena in tempo per capire all' istante di essere arrivati tardi: osservammo il treno serpeggiare a più velocità, via da noi e dalla stazione.
"Facciamo un giro, dai."
Entrambi di smorfie dipinti ci alzammo e gli uccelli scomparirono sopra le nostre teste.
Fuori dalla stazione le foglie lanciate come pugni sul viso rendevano instabili i nostri passi, un piede avanti all' altro proseguimmo mirando il cielo macchiato d' ombre. Quella piccola cittadina ci sorrideva mirandoci dall' alto divertendosi a scompigliarci i capelli, ma quando il vento si calmò tutto fu quiete. Nessuno a parte noi e qualche rimbombo lontano, forse gente forse treni. Era tutto così piatto attorno che se avessimo corso, pensavo, non avremmo incontrato ostacoli se non i mari lontani. Conoscevo un vecchio, amava il mare, diceva che le acque portassero la mente sulla terra. Colci si chiamava; era la persona più onesta del mondo e aveva sempre un coltello nelle tasche, senza un perché."Non posso uscire se non l' ho con me, non sono abituato" diceva ridacchiando. Notti prima il vecchio Colci mi aveva raccontato di suo figlio, che credeva la terra piatta e senza curve. Lo portò in Portogallo, mi disse, lo portò sulla cima della scogliera che un tempo delimitava il mondo conosciuto. A Capo San Vincenzo ascoltarono assieme la furia delle correnti e lo scroscio dell' acque seguendo con lo sguardo la fine del cielo che scivolava ricurvo sui lati. E rimasero lì, da tutto convinti di fronte a quei mari.
Tirava un forte vento
C' era un parco, poco più avanti della stazione, nel quale sorgeva una collinetta in terra battuta. Da lassù alzai le braccia, mi sgranchì e come di nascosto sbadigliai; urlai senza voce. Seguì con lo sguardo Paolo che aveva imboccato la via che portava ad un piccolo conglomerato di case con una piazzetta al centro. Paolo era molto diverso. Da me, da Luca. Sembrava ignorasse l' istinto, ma sapeva cogliere i momenti cercandoli, che lui non aspettava nulla, che partire per lui era spirito e non desiderio.
Insieme andammo più volte a trovare Luca ma non fu più lo stesso.
"E' cambiato, vero?" Mi domandò Paolo e non voleva rispondessi. Luca aveva lasciato le nebbie e gli accenti, nella grande città ora si perdeva senza correre. Era cambiato e lo si notava, tornava poco vedere le campagne lasciate alle spalle, sorrideva e danzava proprio lui, che poco tempo fa non desiderava se non fuggire. Luca che vedeva le nostre strade come un fortino dal quale è più facile entrare che uscire, ora ci assicurava che oltre le nostre mura tutto è più sfumato, che non ci sono fermate e rancori. "Si fan passi metri e risi", canticchiò.
Tirava un forte vento.
Scesi, sbattendo i piedi e tra i lampioni accesi, dalla collinetta. Seguì Paolo, che aveva imboccato una stradina dietro alla casa coi mattoni a vista e non era più tornato. Il cielo era conquistato da un viola intenso, quasi blu. Paolo era poco più avanti e sorrideva divertito, mentre parlava, annuiva col capo. Parlava con te.
L' andirivieni del tuo viso era colorato dai tuoi occhi, d' un azzurro rotondi:
voltato l' angolo ti rividi, eri proprio tu.
Io che tornando dalla grande città, alla fermata sbagliata e con il sonno in corpo, ti riconobbi e nessuno ebbe vergogna: senza nessun mezzo più nobile se non il teatro calammo sui visi le cere. E scomparimmo dietro alle maschere già dette, tacendo i sussulti dietro affettuosi abbracci e deliziosa cortesia.
Solo alla fine sussurrasti;
"Vieni con me".
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Provincia meccanica
General Fiction10/05/18 #1 in Narrativa Generale [IN CORSO] I sogni più belli nascono nei sobborghi. Narriamo di cemento, cielo, amore: cosi isolati, non ci resta che guardare oltre. "I tuoi occhi, ladri di lettere, oscillavano tra le nostre righe. E gli avremmo...