Capitolo 22.

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Erano passati ben quattro giorni da quando Michael era stato rilasciato, e nel corso di quelle intense quattro giornate le cose erano migliorate strada facendo. Era diventata quasi un’abitudine, ormai, quella di ritrovarci in pieno pomeriggio, stesso posto e stessa ora. Servizi sociali, due e quarantacinque del pomeriggio.

Per questo quel giorno, come quello precedente e quello prima ancora, lasciai l’università alle due in punto e mi misi in macchina per andare a trovare Mike. Ed era proprio lì che mi trovavo, nel piccolo cortile posteriore dell’edificio nella speranza che il ragazzo uscisse di lì il prima possibile.

Dieci lunghi minuti più tardi, lo vidi sbucare da quella piccola porticina ferrea in tutta la sua bellezza. Aveva la stanchezza dipinta in volto, eppure dal sorriso che mi rivolse potei dire di non averlo mai visto così magnifico. Era una novità vedere Michael Clifford sorridere. Era soddisfatto, appagato. E, chissà, magari era là libertà a renderlo così, magari un po’ ero anche io.

Diedi un’occhiata all’orologio che tenevo al polso. Tre del pomeriggio.

Michael mi si avvicinò una volta per tutte e si sedette sul muretto a gambe aperte, proprio di fronte a me. Una gamba penzolava a destra, una a sinistra. Non riuscivo a smettere di sorridere, e lo sapevo, sapevo che era stupido ed irresponsabile da parte mia, ma nemmeno questo era in grado di darmi un freno. Questa cosa andava avanti da quattro giorni. La verità era che l’aver finalmente accettato i miei sentimenti mi metteva una felicità addosso che mai avrei pensato di raggiungere, e cosa poteva esserci di più bello?

-Oggi sei in anticipo!-   Constatò lui una volta sedutosi comodo, alzando lo sguardo verso di me.

-No, sei tu ad essere in ritardo.-   Chiarii di rimando, fingendomi quasi arrabbiata.

Ma a quel punto cademmo tutti e due in un silenzio abissale. Fu strano ma bello da assaporare, perché non fu uno di quei silenzi carichi di imbarazzo, rabbia o parole non dette. Avevamo semplicemente bisogno di staccare la spina dalla vita che, per quei pochi minuti, ci lasciavamo alle spalle, e noi lo facevamo così: godendoci l’un l’altro. Non avevo nessuna certezza che pure Michael potesse sentirsi come mi sentivo io, tuttavia continuavo a crederlo. Era come se ci fosse una sorta di connessione fra i miei e i suoi pensieri, una connessione che si era certamente rafforzata da quando avevo cominciato a vederlo al di fuori della prigione.

-Com’è lavorare qui?-   Gli domandai d’un tratto interrompendo il silenzio per la troppa voglia di sentire la sua voce, di sentirlo rispondere alle sue curiosità e parlare a raffica.

Michael sembrò inizialmente sorpreso da questa mia presa di posizione, ed aveva ragione: non ero mai stata così accesa, mai da quando ero arrivata a Boston. L’aver conosciuto Calum ci si avvicinava un po’.

-Vuoi la verità?-   Ribatté lui spostandosi intanto i capelli dalla fronte, capelli che erano diventati blu solo poche ore prima. A detta sua, non era la prima volta che Luke gli tingeva i capelli.

Poi, mentre prendeva a giocherellare con il suo piercing al sopracciglio, sospirò e rispose. -È bello. Non posso far altro che ringraziare la vita, e Brown, per avermi dato una seconda possibilità. Sai, è straziante vedere tutti quei ragazzini là dentro senza famiglia o amici, ma è proprio questo che mi fa apprezzare di più tutto ciò che mi circonda. Mi fa sentire vivo e mi fa desiderare di fare qualcosa di grande, di utile. So che può sembrare stupido, ma…-

Era proprio ciò che volevo, che si aprisse e buttasse fuori tutto quello che non aveva avuto il coraggio di dire agli altri. Stupido? Come poteva essere considerata stupida una persona che si mette in gioco per la seconda volta, facendo riscoprire alla gente il buono che c’era in lui? Michael era l’opposto della stupidità, l’opposto dell’egoismo e della cattiveria. Ed io, di certo, non me ne rendevo conto solo adesso. Mi venne quasi spontaneo sollevare in aria la mano destra e poggiarla sulla sua guancia, tanto che mi fu impossibile controllarmi. Mi sentivo in imbarazzo, perché cosa poteva pensare Michael di una strana ragazza come me? Ma il calore della sua pelle era così confortante che mi faceva desiderato di poterla accarezzare per l’eternità. E lo vidi quel ghigno sulle sue labbra. Non uno di quelli furbi, bensì sincero e timido, proprio come il sorriso che avevo stampato in viso io.

Snuff | Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora