Capitolo 23.

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Di quello che era successo quella sera, fuori dal bar, io e Michael non ne avevamo più parlato. Come aveva detto lui, bisognava dare tempo al tempo. “Sorridi, respira e vai piano” gli avevo consigliato infatti, facendogli immediatamente comprendere di non pretendere la luna da parte sua. E da quel momento il nostro rapporto non era stato altro che un insieme di risate spontanee, gesti condivisi e niente di più.

Nonostante io, quella notte, avessi appena assaporato le sue labbra, questo era bastato per farmene sentire la mancanza subito dopo, ma si dice che l’attesa aumenta il desiderio. Era stato questo ciò che mi aveva fatta andare avanti per due intere settimane, convincendomi -a volte invano- che quelle labbra non fossero poi un granché. Ma chi volevo prendere in giro?

Ad ogni modo, Michael aveva finalmente finito i servizi sociali e adesso poteva ritenersi un uomo libero a tutti gli effetti. La prima cosa che fece, non appena uscii da quell’edificio per l’ultima volta, fu dirmi quanto importante per lui fosse stato aiutare quelle anziane signore della mensa e, insieme a loro, quei bambini che pian piano aveva imparato a conoscere. In effetti lo notai subito, quanto fresco e colmo di soddisfazione fosse il suo volto.

Vedere Michael così felice era una delle poche cose che mi facevano sentire bene, in quel periodo: sentirlo ridere alle mie stupide battute o agli insulti di Calum e Luke mi aiutava, infatti, a superare quel faticosissimo periodo all’università che, dal canto suo, pareva mi rendesse sempre più nevrotica.

Quella mattina, appunto, avevo preferito prendermi una pausa dallo studio e avevo contattato in men che non si dica il ragazzo, che grazie al cielo aveva accettato di incontrarci presto. Indossai quindi la mia giacca e lasciai il mio appartamento, raggiungendo con l’auto il quartiere poco lontano di Luke e Michael. Fra l’altro, la loro convivenza sembrava procedere di bene in meglio, tutta in salita. Da quando avevano ripreso ad abitare sotto lo stesso tetto, non c’era stato giorno in cui avevo visto uno dei due giù di morale o sconfortato. Erano l’uno la cura dell’altro. Certo, anche io e Calum e le nostre festicciole improvvisate costituivano un grande aiuto.

Ad ogni modo, il traffico mi consentì di arrivare non prima di venti lunghi minuti, facendomi sbattere più volte le mani sul volante a causa della mia poca pazienza. Vidi una donna uscire dal condominio dei due, così la fermai dal chiudere il portone e le chiesi gentilmente di farmi entrare. Presi poi l’ascensore per salire al terzo piano e, non appena la porta col numero 213 mi si parò davanti, feci per bussare ma fui arrestata da un rumore improvviso. Anzi, immobilizzata. Immaginai che qualcuno avesse appena sbattuto contro il muro, dato l’improvviso fracasso. Ma le mie constatazioni peggiorarono secondo dopo secondo, dal momento in cui sentii la voce di Michael -decisamente alta- rivolgersi furiosa e contrariata a qualcuno che, poco dopo, identificai come Luke.

-Cosa cazzo vuoi che faccia?!-   Sbraitò Mike con i denti probabilmente digrignati.

-Ciò che ti ho appena detto!-   Ribatté dall’altro lato il biondo, con un tono altrettanto alto ma che suonava più come una supplica.

-No, ti sbagli Luke. Lasciami fare a modo mio e non rompermi i coglioni.-   

Rimasi ad origliare silenziosamente dietro la porta per qualche minuto, chiedendomi cosa fosse successo di così grave da portare i due a discutere in maniera così accesa. Ma era orribile dover starmene in disparte senza poter fare niente, per questo -con la mia solita curiosità al seguito- bussai alla porta già leggermente aperta e la spalancai completamente senza aspettare alcun tipo di permesso. La scena che mi si parò davanti fu del tutto inaspettata: vidi Michael in piedi di fronte a Luke, con un’espressione furiosa in volto e l’indice puntato in maniera critica contro quest’ultimo, che dal lato suo sembrava nient’altro che deluso ed esasperato. Beh, non avrei mai pensato di vederli entrambi in una situazione del genere, dopo tutto il casino che avevano dovuto affrontare, perlomeno non per i prossimi dieci anni della loro vita.

Snuff | Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora