Capitolo 16.

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LUKE'S POV.


Sin da quando avevo scoperto ciò in cui si era mischiato Michael non avevo potuto fare a meno di preoccuparmi per lui. Erano bastati pochi secondi prima di comprendere la gravità della situazione e pensare al mio migliore amico, forse l'unico che avevo, ridotto talmente male da ricorrere a simili soluzioni non faceva bene nemmeno a me.

D'altronde lo avevo sempre saputo che Michael era uno così, uno da "tutto o niente". Uno che se le cose le faceva le faceva col cuore, curando ogni minimo dettaglio o imprecisione. Uno che non mollava finché non era lui a decidere di farlo. E sapevo anche quanto tenesse a portare avanti le sue priorità, che in quel momento erano tutte incentrate in America. Lì c'ero io, c'era la prospettiva di una vita tutta nuova e c'era lui felice. Per questo potevo, almeno in parte, comprendere le sue motivazioni.

Nonostante ciò immaginare Michael con della droga in tasca non fu una cosa facile da accettare. Non riuscivo a frenare quel campanello d'allarme che mi assaliva ogni qualvolta che usciva di casa ingiustificato, specialmente nelle ore più buie, né la rabbia che rigettavo ingiustamente su me stesso perché non ero in grado di aiutarlo con i pochi soldi che guadagnavo dal mio lavoretto. Che poi, nonostante ci avessi provato innumerevoli volte, era stato inutile offrirgli un piccolo aiuto economico da parte mia.

La situazione cambiò drasticamente quando meno me lo aspettavo. Fu con una strana calma, infatti, che un giorno Michael mi raggiunse in soggiorno e, sedendosi proprio di fronte a me, incrociò le mani davanti al suo volto pronto a parlarmi.

-Ho deciso di smettere.- Aveva sussurrato tutto d'un tratto, senza alcun tipo di preparativo.

E non mi importava se questo avrebbe costretto il mio migliore amico a tornarsene in Australia, né se avrei dovuto aiutarlo di tasca mia pur di mantenerlo. L'unica cosa in grado di consolarmi si stava finalmente avverando: vedere Michael fuori da quel casino, lontano da una vita che nemmeno lui aveva mai immaginato di condurre.

Michael mi aveva anche avvisato che di lì a poche ore avrebbe incontrato l'uomo per cui lavorava, facendomi promettere di non fare alcuna domanda al riguardo. Ma come avrei potuto pensare di starmene seduta sul divano di casa, mentre Mike rischiava di correre un pericolo più grosso di lui? Insomma, mi era bastato vedere quei pochi film d'azione per capire che situazioni del genere non finivano mai per il verso giusto, e fu per questo che decisi di seguirlo senza alcuna esitazione.

Michael aveva parlato con il suo capo in modo calmo e pacato, proprio come aveva fatto con me la mattina stessa. Ma la speranza che tutto si sarebbe risolto per il meglio sparì nel momento esatto in cui il tono dell'uomo mutò, lanciando minacce palesemente inaspettate. Il corpo del mio amico si era leggermente irrigidito nello scoprire che i soldi non avrebbero potuto salvarlo da quel casino, eppure aspettai un altro po' prima di agire, nascosto dietro l'angolo.

Accadde tutto in un istante, un brevissimo istante: il corpo possente dell'uomo colpì improvvisamente quello più inesperto di Michael, che venne malamente sbattuto contro il muro. Mi dissi che sì, era arrivato il momento di entrare in scena , eppure i miei piedi inchiodati nell'asfalto mi impedirono di compiere qualunque movimento. Ero impietrito, terrorizzato come mai prima. Strinsi quindi la mascella con fare furioso e, quasi mordendomi la lingua, trovai la forza per farmi avanti ed uscii frettolosamente dal mio nascondiglio.

Michael, ormai steso a terra, mi sussurrò invano di fuggire via, ma non sapeva che io senza di lui non sarei andato da nessuna parte. A costo di mettere il suo bene prima del mio. Pochi secondi dopo pure l'aggressore si rese conto della mia presenza e, con un'espressione irosa, lasciò perdere momentaneamente Michael per concentrarsi su di me.

Snuff | Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora