Danae (parte tre) - Capitolo 1

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«Wanda, posso farti una domanda?» chiedo a un certo punto. Lei mescola il contenuto di un pentolone e si volta nella mia direzione.

«Certo, cara» risponde sorridendo e si passa le mani sul grembiule.

«Questo cibo non basterà per molto, non è vero?» chiedo incerta. Le si accentua una ruga sulla fronte e così comprendo quella che sarà la risposta prima che apra bocca.

«Non devi parlare assolutamente con nessuno di quanto hai intuito. Hai capito?» Non vogliono scatenare il panico. Lo capisco.

«Cosa faremo quando non ci sarà più cibo?» domando ancora. Questa volta la risposta di Wanda è più brusca. Mi dice di tornare al mio lavoro e di smetterla con inutili preoccupazioni. Il cibo di cui disponiamo ci basterà.

Sì, ma fino a quando? Chiedo a me stessa, riponendo a posto un altro barattolo.


Neanche questo mestiere mi entusiasma. Lo comunico a mia madre una volta all'appuntamento e mi tranquillizza dicendomi che nei prossimi giorni ne proverò altri. Manca un'ora alla cena e vorrei rinfrescarmi, quindi accetto di buon grado il rinvio.

Faccio una doccia, mi distendo a letto ed è già ora di cena. Per fortuna subito dopo mangiato possiamo filare a dormire. Solo una volta a settimana ci è concesso passare la serata in una stanza apposita e di andare a dormire tra le dieci e le undici. Un sonno abbondante ogni notte garantisce una salute ottimale, oltre a prevenire i brontolii dello stomaco. Non sono previste punizioni per chi dovesse venire trovato sveglio dopo l'orario più consono, ma di sicuro lo stare svegli fino a tardi non è incoraggiato. E in fondo nessuno si sognerebbe di mettere a repentaglio la propria salute. Beh, eccetto me che negli ultimi tempi ho problemi a dormire.

Questa volta però a tenermi sveglia non è il rumore metallico, che invece non c'è stato, ma il pensiero del mio incontro con Ares. Scavo nella memoria alla ricerca del ricordo più recente che ho. Siamo in un posto ampio e senza corridoi, ci inseguiamo, ci sono altri bambini dei quali non riesco a vedere i volti. Cado a terra e Ares torna indietro per afferrarmi per un braccio, prima che un altro bambino possa toccarmi e cedermi il suo posto. Mi tornano a mente altri dei pochi ricordi che ho di quel tempo remoto. Ciò che invece ricordo benissimo è il periodo dopo la nostra separazione. Chiedendomi se sarà gentile, dolce o se mi odierà mi addormento.


Il giorno dopo capisco che si tratta del gran giorno dall'euforia di mia madre. Aspetta che faccia colazione fissandomi da un angolo della stanza. Dopo aver finito il latte artificiale (adesso che so come è fatto mi fa ancora più ribrezzo), mi dice di mettere il vestito nuovo. Non ho il coraggio di chiederle se si tratti solo di una prova generale o meno. Mi vesto in fretta, trattenendo il respiro. Quando la vedo uscire dalla stanza e farmi segno di seguirla, ne ho la conferma.

Anche se non me lo ha detto, so con certezza dove siamo dirette. A ogni svolta di corridoio il mio cuore batte più forte. La gioia di rivedere Ares e la paura per quello che ci aspetta sono così intricati da non sapere quale dei due sentimenti prevalga sull'altro.

Mentre attraversiamo la sezione cerco di distrarmi ricordando di quando fantasticavo, da bambina, sulla possibilità di ricoprire le mura d'acciaio con delle stoffe, giusto per renderle un po' meno ostili. Neanche a dirlo, per gli altri sarebbe stato uno spreco.

«E poi forse ci sarà un motivo se in duecento anni a nessuno è venuto in mente» gracchiava mia madre, quando prendevo l'argomento.


Già dall'ultima svolta a sinistra mi accorgo delle figure davanti la porta di Ares. Ci sono mio padre, mio zio, mia zia, mio nonno e le altre poche persone che costituiscono quello che rimane della città. Saluto tutti con un breve cenno e ascolto distratta le loro felicitazioni. Ho difficoltà a concentrarmi su ciò che mi dicono. Non riesco a staccare gli occhi dal portellone che tra pochi secondi si aprirà. Mi lasceranno entrare sola? Mia madre verrà con me? La cerco con lo sguardo. Ha gli occhi pieni di lacrime e si tortura le mani. In questi anni si è concessa di vedere suo figlio pochissime volte. Non so nemmeno se continui a ritenerlo tale, visto che è stato del tutto cresciuto dai miei zii dall'età di sette anni.


Poi mi dicono di entrare, ed è come se fossi una condannata a morte diretta alla ghigliottina. Mio nonno, in quanto sindaco della comunità, preme l'interruttore che apre le porte.

Esse vengono richiuse non appena varco la soglia. A quanto pare mia madre aspetterà fuori. La stanza è diverse volte più grande della mia, ma per il resto è quasi identica. Stesse pareti d'acciaio, stessa finestra, stessa luce a neon. Mi sono concentrata sull'ambiente circostante di proposito, limitandomi a riservare appena la coda dell'occhio alla figura alla mia sinistra. Adesso però Ares si sposta verso il mio campo visivo, rendendomi impossibile ignorarlo.


È alto. Questa è la prima cosa di cui mi accorgo. Almeno quattro centimetri più di me, forse cinque. Deglutisco con difficoltà, poiché ho la gola secca, e cerco di non concentrarmi sulle cose futili come mi accade ogni volta che sono nervosa. Mi somiglia. Questa è la seconda caratteristica che riesco a cogliere. Ha i capelli biondi come i miei e gli stessi occhi azzurro ghiaccio, forse giusto un tantino meno tendenti al grigio. Terza e ultima considerazione; È bello! Non ci sono dubbi.

Ares adesso è a una manciata di centimetri da me. Mi osserva con le sopracciglia aggrottate e un angolo delle labbra tra i denti, sorride appena. Io invece sono rigida come un manico di scopa, le gambe salde come il budino appena tolto dallo stampo.

«Sei... cresciuta» sbotta, scoppiando in una breve risata. Ha i denti bianchissimi e lo stesso modo di ridere di mamma. La sua risata mi tranquillizza e mi sciolgo un poco dalla mia posa marmorea. Poi si muove in avanti aprendo le braccia come se volesse abbracciarmi, però alla fine non lo fa.

«È strano» dico, cercando di dissipare l'imbarazzo. Non ho bisogno di specificare a cosa mi riferisca. Prima fratelli, poi sconosciuti, tra poco marito e moglie.

«Già...» concorda. Poi sbuffa e mi accorgo che forse un po' nervoso lo è anche lui.


Adesso che l'ansia del primo incontro è scemata la gioia nel rivedere mio fratello dopo quindici anni si fa largo. Calo le mie barriere e lo abbraccio. Rimane interdetto per un secondo, poi mi avvolge con le braccia. È inesplicabile come mi sembri familiare e rassicurante questo posto. Rimaniamo alcuni minuti così; il viso schiacciato contro il suo petto. Come hanno potuto tenerci lontani? Quanto meno soli ci saremmo sentiti se non ci avessero separati? Mi torna alla mente il periodo successivo alla nostra separazione. Stetti non so quanto tempo a cercarlo stanza per stanza, chiamando il suo nome con gli occhi lucidi di pianto. Il costato gli si gonfia e sgonfia a ogni respiro. All'improvviso mi accorgo di stare piangendo.

Ares se ne accorge e si scosta. Mi asciuga una lacrima con il pollice e mi dà un bacio in fronte. 


Nota dell'autrice: Ciao, intanto grazie per essere giunto fin qui. *_* Mi rendo conto che questo capitolo risulti più piatto degli altri, quasi di passaggio. Il fatto è che in realtà queste tre parti facevano parte dello stesso capitolo. Ho dovuto dividerlo per evitare di pubblicare capitoli troppo lunghi qui su Wattpad. Il prossimo capitolo, invece, avrà un punto di vista inaspettato.

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