Seth - Capitolo 21

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Ci fu un incidente qualche anno fa, un operaio della squadra di mio padre toccò un filo scoperto e rimase folgorato. Noialtri ci guardammo in giro alla ricerca di un qualsiasi oggetto di materiale isolante da poter utilizzare per soccorrerlo e alla fine mio padre lo aiutò a mani nude. Lo salvò.

«Ho esitato un attimo, prima di mettere in pericolo la mia vita e ho esitato perché ho pensato a te e ai tuoi fratelli senza un genitore,» mi disse quella sera mio padre. Avevo iniziato a lavorare da poco ed ero molto turbato per quanto successo.

«ma poi sai cosa mi ha convinto ad aiutarlo? Sempre tu. Perché ho pensato, ho pensato che dovevo darti questo insegnamento: che a volte vale la pena di mettere a rischio la nostra incolumità per aiutare gli altri.» Quel giorno salvò una vita in cambio di una lievissima bruciatura sulla punta delle dita; eppure non sarà il solo a portare per sempre sulla pelle quel dono per me.

Quando sono tornato dalla cena di Carlie mi sono accorto che Astrea era andata via. Per un attimo ho pensato che fosse meglio così, la mia famiglia avrebbe corso meno pericoli senza una fuggitiva nascosta in casa. Poi però ho pensato alla sua vita passata in cella e al fatto che abbia solo un paio di anni in più di mia sorella. Ho messo a paragone la mia mutazione genetica e la sua. Ho vissuto sulla mia pelle cosa significa essere diversi, con la sola differenza che a me non è costato la libertà.

I miei genitori hanno cercato di dissuadermi dall'andare a cercarla, anche loro ne sono dispiaciuti, ma vogliono proteggermi. Allora mi sono avvicinato a mio padre e gli ho afferrato le mani, le ho voltate e gli ho mostrato le tenui cicatrici sui polpastrelli. E lui mi ha fissato con occhi lucidi di paura e di orgoglio.

All'inizio la cerco un po' a caso, dopo mi costringo a ragionare su dove possa essere andata, poiché temo che gli uomini di Glauco la trovino prima di me. Da quando ho acceso la telecamera nella cabina dei comandi e l'ho vista, ho capito che sarebbe stata mia responsabilità.

Escludo le abitazioni private: nessuno correrebbe il rischio di nascondere una fuggitiva. A parte me. Restano i luoghi pubblici, come ad esempio la scuola. Sempre ammesso che riesca a trovarla, non sarà un buon nascondiglio per molto, visto che tra poche ore farà giorno. Decido di ripercorrere la strada a ritroso dalle prigioni a casa mia, nel tentativo di intuire dove i suoi occhi possono essersi poggiati e di conseguenza quale posto possa esserle sembrato un buon nascondiglio. Mentre mi muovo svelto, cerco di ricordare ciò che ci siamo detti.

Prima di convincermi a portarla a casa le ho parlato della cisterna di purificazione, ricordo. C'è una buona possibilità che si trovi lì. Non so per quanto sarà un buon rifugio, comunque, adesso che il sindaco ha sguinzagliato i Funzionari.

Spingo la porta di ferro e lei è lì, seduta sul suo vestitino da cerimonia.

«Ci avrei giurato che mi saresti rimasto tra i piedi!» dice con il suo tono autoritario, ma lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro subito dopo. Sperava che la trovassi, anche se non l'ammetterà mai.

«I Funzionari ti stanno cercando» dico.

«Lo so.»

«Questo posto non sarà sicuro per molto. Prima o poi gli verrà in mente di controllare qui.»

«Bene. Quanto credi che mi rimanga di libertà?» La sua domanda e soprattutto il suo tono rassegnato mi mettono tristezza. Non c'è disperazione nella sua voce. Non c'è nemmeno rabbia. In quella frase ci sono tutti i probabili tentativi che avrà fatto per liberarsi dalla sua prigionia; ci sono tutte le lacrime che avrà già versato; ci sono tutte le disillusioni di sogni che non si avvereranno.

«Stava cercando una cura, ma ero stanca dello stordimento dovuto all'anestesia» dice all'improvviso, «Guarda...» sposta una ciocca di capelli e mi mostra un quadratino sotto la nuca, rasato, su cui c'è una cicatrice recente.»

«Sei stata operata al cervello?»

«Molte volte. Spesso mi diceva che se solo ci fosse stata un'altra persona come me tutto questo non sarebbe stato necessario. Diceva che per me forse, un giorno, avrebbe fatto anche questo sacrificio.»

Ho smesso di ascoltarla diverse parole fa, perché nella mia mente si è fatta spazio una decisione. So dove nasconderla e so che questo potrebbe arrecarmi danni ben peggiori delle dita bruciacchiate.

Faccio un respiro profondo e dico: «Alzati. Dobbiamo fare una cosa.»

«Cosa?» chiede.

«Aprire un portellone.»


Nota dell'autrice: Gente, ci siamo. Non so voi ma io sono gasatissima. Vi anticipo che il prossimo capitolo, il ventiduesimo, chiuderà la prima parte. 

Seth aprirà davvero il portellone come dice? Come starà andando la prima notte di nozze di Ares e Danae?

Questo capitolo è stato breve, ma siamo a una svolta importante e dilungarmi inutilmente non mi sembrava carino; dopotutto avete aspettato questo momento per ben ventuno capitoli.

Allora, cosa mi dite della frase pronunciata da Astrea? Seth era troppo distratto per starla a sentire, ma voi? Cosa pensate che voglia dire?

Aspetto impaziente le vostre teorie. 

Come sempre, ogni vostra critica o consiglio è ben accetto. <3

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una traccia del vostro passaggio, lasciate un commento per me, anche solo una emoticon.

Un abbraccio, 

Giuliana. <3

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