Danae - Capitolo 13

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Sono di nuovo davanti al portellone, ma questa volta c'è qualcosa di diverso. Me ne accorgo dal silenzio in cui è avvolta la sezione, un silenzio corposo, il silenzio di un posto deserto. Così me ne rendo conto: sono davanti al portellone, ma dal lato sbagliato. Non so come sono finita nella sezione A e la mia gente è rimasta dall'altra parte. Dovrei essere desiderosa di esplorare il luogo sconosciuto, non è così. Tutto ciò che desidero è tornare dentro, tra le quattro mura che conosco bene. Colpisco la porta e chiamo i miei familiari: mia madre, mia zia, Ares.

Poi lo sento, un rumore lontano, tanto lontano che sembra provenire da fuori dal bunker.

Tum. Tum. Tum.

Il suono si insinua nel sogno e mi sveglia.

All'inizio credo sia il rumore proveniente dalla sezione B, e immagino un'altra me intrappolata dietro al bestione di metallo, poi appena la mia mente esce dall'intorpidimento del sonno mi accorgo che si tratta invece di qualcuno che bussa alla porta. Ormai è quasi una settimana che non sento più il rumore che mi ha tenuta sveglia notti e notti.

Un altro colpetto, questa volta più incerto dei precedenti: la persona che ha bussato è ancora davanti la porta. Non si tratta di mia madre, lei l'avrebbe sfondata e si sarebbe precipitata dentro. Inoltre nel corridoio c'è troppa quiete per essere mattina. La radio-sveglia me ne dà conferma, è passata da poco la mezzanotte.

Deve essere lui, Ares.

Sono tentata di far finta di niente, non mi va che mi veda con gli occhi gonfi di sonno e le righe del cuscino sul viso, inoltre sono ancora un po' scossa dal sogno bizzarro che mi ha lasciato una sensazione amara in bocca, poi però mi decido a raggiungere l'uscio, quanto meno per sapere cosa voglia.

«Devo parlarti...» dice mio fratello, prima ancora di essere invitato a entrare. Gli faccio cenno di accomodarsi. Indossa la maglia elastica che è la nostra tenuta da notte, mi accorgo, e per qualche oscura ragione non porta le pantofole.

«Che succede?» pronuncio in maniera piatta, troppo stanca e assonnata per dosare l'enfasi necessaria a distinguere le domande dalle affermazioni. Il suo sguardo indugia un attimo sulla mia divisa da notte antracite ma io incrocio le braccia come a volermi proteggere dalla sua vista e lo costringo a distogliere lo sguardo.

«Cosa cercavi il giorno del nostro fidanzamento sotto i portelloni di contenimento che dividono le due sezioni?» Sono stata una stupida a credere che avesse lasciato correre, in fin dei conti avrei fatto lo stesso. È il momento di essere sincera.

«Continuo a sentire questo rumore...» dico, poi faccio una pausa e lo osservo per capire se mi creda. Sembra turbato, ma meno di quanto mi sarei aspettata, «sono convinta che nella sezione A ci sia qualcosa. Voglio andarci, voglio andare a vedere.»

«Cosa? Vuoi andare nella sezione deserta?» Adesso è allarmato, ovvio, voglio scavalcare un portellone inespugnabile e vagare tra gli scheletri dei nostri defunti concittadini sterminati dalla Mephista.

«Devo»

«Perché? Perché per te è tanto importante raggiungere l'altra parte?»

«Le nostre risorse di cibo stanno finendo, Ares.» 

«Cosa? Quando? Nonno lo sa?» Le sue iridi blu acqua sono puntate su di me, questo non se lo aspettava.

«Tra due anni forse potremmo non avere nessuna comunità da salvaguardare. Comunque sì, penso proprio che nonno lo sappia.»

«Hai parlato con lui? Deve avere un piano B, di sicuro deve averlo.»

«E se fosse rimasto ancora qualcosa dall'altra parte? C'era una fabbrica lì, no? Potremmo provare a usarla.»

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