10.Il GG Day

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"Jessie is a friend,
I know it's been a good friend of mine
But lately somenthing's changed that ain't hard to define
Jessie's got himself a girl and I want to make her mine"
Jessie's girl - Rick Springfield

Gelato.

Non so se l'ha pronunciato Adam, o se è solo una parola nella mia testa.
Siamo ancora l'uno vicino l'altro, Adam mi parla e mi fa tornare nel mondo reale.

"Allora cosa ne dici? Molliamo l'allenamento per oggi, tanto non riusciremo a fare comunque più niente. Prendiamoci una pausa.. Ti offro un bel cornetto due gusti"
"Preferisco la coppetta, io."
Rispondo determinata.
Quella parolina magica, o forse il suo tocco, basta per alleviarmi il dolore e riprendermi.
Riuscirei persino ad alzarmi da sola, anche se Adam non me lo permette.

"Sai, io adoro il gelato! È una delle mie tre piccole cose di oggi" dico a Adam mentre affondo il cucchiaino nella mia coppa gelato tre.
Melone cocco e cioccolato.
Un orgasmo.
"Anche io lo adoro. Quando ero piccolo e mi facevo male, mia mamma mi dava sempre il gelato dicendo che era la cura di tutti i problemi, anche quelli di cuore".
Sorride continuando a morsicare il contorno del cono.
Il suo sguardo triste mi spezza il cuore.

Mi racconta che sua madre è morta quando era piccolo.
Non si ferma sui dettagli, lo racconta come una fiaba.
Come se non lo riguardasse, come se stesse raccontando la storia di qualcun'altro.
Mi parla di quando era bambino.
Di quello che aveva fatto da ragazzo,
tra scuola, bravate e prime esperienze.
Mi racconta di quanto fosse stato difficile il suo trasferimento in Florida per l'università e il suo ritorno ad Atlanta.
Rivivo la sua vita tramite sue parole, e mi incanta.
A

llungo la mano posandola sulla sua che vaga sul tavolo.
I suoi occhi cercano i miei, e lì si fissano per dei secondi infiniti.

"Ma cosa sarebbe la faccenda delle tre cose?" mi chiede sorridendomi.
Speravo gli fosse sfuggito quel piccolo particolare.
Perché è una stupidata nata quando ero bambina.
Una stupidata che mi aveva insegnato mio padre dopo che avevo perso la mia prima partita di calcio.

Ero seduta in panchina, ormai tutta la squadra era negli spogliatoi, ma io continuavo a piangere con le mani che nascondevano il mio viso e raccoglievano le lacrime.
Mi sentivo sconfitta, mi sentivo in colpa perché la mia squadra aveva perso.
Fin da allora sentivo una responsabilità verso le mie compagne, mi sentivo il leader, e sentivo di aver fallito.
Alle mie compagne non importava, avevano alzato le spalle, e sorridendo erano andate a fare la doccia.
Io no.
Io avevo dato tutto in quella partita, e averla persa per me era la sconfitta più grande di tutte, perché ci mettevo sempre il cuore nelle gare, non era solo uno sport per me, era la mia passione. "Non essere triste. Non esiste solo questo brutto momento nella tua giornata, sai? Pensa a quando oggi siamo andati a fare la spesa e mamma ti ha comprato le patatine. Pensa a quando ci siamo allenati stamattina in giardino e mi hai fatto ben due goal!" Mio padre si era inginocchiato davanti a me e mi aveva messo le mani sulle spalle.
E io alzai lo sguardo sorridendogli, pensando alle cose che mi aveva appena detto.
"Vedi?" mi disse notando il mio sorriso e toccandomi una guancia.
"Per ogni cosa negativa, ci sono sempre più cose positive a cui pensare."
E fu così che nella mia testa nacque quella lista.
Da quel giorno fino ad ora, ogni sera, non andavo mai a letto senza avere fatto la lista delle mie piccole cose.
Decisi che ce ne dovevano essere tre, il numero perfetto dato che era anche dispari.

Tre piccole coseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora