how are you?

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La pioggia batteva rumorosamente sulle finestre della stanza n.287, le goccioline disegnavano percorsi astratti sul vetro e regnava il silenzio assoluto.

Era una camera piccola, ordinata e così pulita che sembrava non essere occupata da nessuno.

A rompere il silenzio innaturale vi era solo il lento respiro della ragazza sdraiata sul letto, braccia incrociate dietro la testa e cuscino sotto i piedi.

Aveva una pelle così chiara che sembrava non aver mai visto la luce e lo sguardo assente.

Osservava apatica il soffitto bianco davanti a sé e immaginava gli scenari più assurdi.

Il lampadario sarebbe crollato, uccidendola o ferendola gravemente.

La sua piccola città sarebbe stata colpita da un violento terremoto e lei avrebbe perso la vita fra le macerie.

Un uragano avrebbe spazzato via i resti.

Magari, proprio in quell'stante, qualcuno avrebbe fatto crollare la porta e avrebbe iniziato a sparare a raffica con un mitra.

Era tutto così ideale, nella sua mente.

Sbuffò silenziosamente e prese a contare le goccioline che scorrevano lungo la superficie liscia del vetro.

Le giornate non passavano mai in quella stanza e Perrie si sentiva ogni giorno più debole, meno felice e sempre più assonnata.

Fosse per lei, avrebbe già preso a pugni la finestra e si sarebbe lanciata giù, ma i medici avevano costruito speciali ringhiere all'esterno e messo protezioni alle finestre, per reprimere i suoi istinti suicidi sempre più numerosi.

Si alzò dal letto, pettinandosi i capelli con le mani e andando verso l'armadio.

Restò a lungo lì davanti, pensando a cosa indossare, e infine optò per un abito da the giallo fosforescente e stivali di gomma verdi.

Iniziò a saltellare per la stanza e sbattè rumorosamente all'angolo della scrivania, sentendo il dolore lancinante al mignolo propagarsi per tutto il corpo come un sollievo.

Girò più volte su se stessa e uscì dalla stanza, canticchiando 'Ehy Jude' e scendendo velocemente le scale: si sentiva felice, avrebbe tanto gradito un giro sulle giostre, e non pensava al buio o ai suoi genitori; momenti molto rari nella sua vita.

Si sedette a un tavolo nella 'sala riposo' e cominciò a specchiarsi su un cucchiaino, complimentandosi da sola per l'acconciatura o il trucco, che comunque non aveva.

Osservò le guance rosse e paffute e se le pizzicò, come per tentare di rendere quel colore ancora più vivo, strofinò pigramente gli occhi e li spalancò, facendo boccacce e facce buffe che solo lei era capace di fare.

"Buongiorno Perrie, di buon umore oggi?" domandò all'improvvisa una delle infermiere del luogo.

La ragazza annuì, non riuscendo a comprendere il senso della domanda: non era sempre felice, dopotutto?

"Si Jade, grazie." Rispose sorridendo e osservò il volto gentile della donna.

Avrà avuto sì e no trent'anni, ma il suo volto era solcato da piccole rughe, che tradivano la sua età e portavano la gente a credere fosse più anziana; nasino all'insù e occhi color nocciola, gentili e profondi.

Ricordava anche che l'infermiera aveva tinto i capelli di diversi colori: blu, rossicci e cioccolato e aveva provato a convincere la giovane a fare lo stesso.

Era decisamente una persona meravigliosa, ed era una delle uniche persone di cui Perrie si fidava in quel posto, che appariva così freddo e buio ai suoi occhi.

"Come va oggi?" domandò all'improvviso, abbandonando il tono formale e sedendosi accanto a lei, mano sulla spalla e sorriso tenero.

"Bene, te l'ho detto.. cos'ho che non va?"

"Nulla, è che in quest'ultimo periodo ti vedo cambiata. Sai che puoi dirmi tutto, qualunque problema o cazzata."

Ed era vero: Perrie si era sempre confidata con Jade, le aveva detto tutto, ogni dubbio, ogni timore, ogni pensiero strano e l'aveva sempre sentita come una vera madre.

Era vero anche che la giovane durante l'ultimo periodo si era comportata diversamente dal solito, e i suoi sbalzi d'umore erano peggiorati.

Qualche giorno fa Jade aveva trovato Perrie seduta in corridoio, al buio e sola, con delle bruciature sugli avambracci e le lacrime che le rigavano il volto.

La ragazza non era riuscita a fornire alcuna spiegazione sul perché si trovasse lì e come fosse successo, ma aveva l'aria stanca e confusa e si era deciso di chiudere l'argomento per sempre.

Fatto sta che poche ore dopo era in camera sua, impegnata a saltare sul letto e fischiettare melodie assurde, come se avesse già cancellato il ricordo di poco prima, come se non esistesse.

Jade sapeva, conosceva tutta la sua storia, i suoi sintomi e la sua diagnosi, e si era sempre preoccupata di stare accanto la più piccola, come a volerla proteggere dal mondo esterno e dalla cattiveria della gente.

Perrie era malata, forse lo sapeva, forse non se ne rendeva conto, forse ignorava tutto.

Fatto sta che i medici le avevano diagnosticato un disturbo bipolare di secondo tipo due anni fa, ricoverandola nell'Heartland Counselling Services, e da quel giorno era cambiato tutto.

Sorrideva di meno, e quando lo faceva, era solo perché gli episodi depressivi si alternavano a quelli maniacali, mangiava poco e contro voglia, e aveva perso l'abitudine di curare i suoi amati capelli, che adesso ricadevano morbidi e mossi sulle esili spalle.

Perrie, fino a qualche anno fa, era una ragazza normale, una come tante, che riusciva a distinguersi dalla massa solo grazie allo stile hippie e colorato, che amava uscire con le amiche e fumava di nascosto nei bagni della scuola.

Tutto è cambiato il tre agosto di due anni fa, quando i genitori affogarono durante una giornata di mare tempestoso e agitato, di fronte ai suoi occhi.

Non si seppero mai le dinamiche reali dei fatti, se fosse stato omicidio o suicidio spinto dalla disperazione, Perrie non confessò mai a nessuno ciò che aveva visto, l'orribile scena di cui era stata incomoda spettatrice.

Neanche a Jade.

Era semplicemente uno di quei segreti che porti dentro di te, che ti lacerano l'anima, ti fanno passare notti in bianco, che non riesci a raccontare per non sembrare troppo bisognoso di attenzioni o cure. Un macigno che porti con te, nel bene e nel male.

Da quella volta la vita della bionda cambiò radicalmente.

Vomitava ogni sera.

Piangeva nel suo letto, soffocando i singhiozzi nel cuscino fradicio.

Sfogava la rabbia e i sensi di colpa su se stessa, sul suo corpo.

Beveva spesso, lasciando che l'alcohol le divorasse il fegato e le offuscasse i sensi.

Dormiva poco, per paura di rivivere quel 3 agosto.

Era come se l'anima, la vera essenza di Perrie non fosse più esistita, scomparsa insieme ai cadaveri dei genitori del gelido Mar del Nord.

"Non ho niente, davvero, ha. Sono solo stanca, credo che andrò a dormire. Si. Buonanotte baba." Esclamò la bionda alzandosi e dirigendosi verso le scale a passo strascicato.

Jade guardò l'orologio appeso sopra la finestra: 14.50.

C'era davvero una cura per il disturbo di Perrie?

room 287 || zerrieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora