Cap. 6: È davvero bella

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{Pov's Adrien}
Notai distrattamente, disteso sul mio letto a peso morto, i raggi del sole che battevano luminosi sulle finestre della mia camera da letto, cercando di penetrare all'interno attraverso le tapparelle semichiuse.
Continuavo a girare su me stesso voltando contemporaneamente il cuscino dalla parte più fresca, ogni qualvolta ne sentivo la necessità.

Sarei restato l'intera giornata a godere della comoda tranquillità di questa mattina, con una temperatura ancora non molto calda ed il cinguettio degli uccelli che mi trasmettevano una strana sensazione di felicità e di benessere.

Sarei restato per altre lunghe ore sul letto, poiché tale voglia venne alimentata sempre più dal fatto che iniziò un nuovo lunedì. Ma quello non era un lunedì qualunque: sentivo che quella sarebbe stata una giornata piena di novità, completamente nuova.

Mio padre, il famoso stilista Gabriel Agreste, era ovviamente obbligato a viaggiare in tutto il mondo a causa del suo lavoro ed io, come un cane da passeggio, dovevo seguirlo ovunque lui andava. Non affittamo mai una casa le cui pareti ci hanno dovuto sopportare per più di un anno. Non ho mai avuto l'opportunità di incontrare delle qualsiasi persone e dire loro "questa è la mia città!". Frequentavo quasi una scuola diversa all'anno, ognuna in città e magari paesi diversi, per questo lui stesso mi iscrisse a numerosi corsi di lingue: dal cinese al francese, dallo spagnolo all'italiano al tedesco.

Quella mattinata mi toccava il mio primo giorno di scuola a Parigi. Mio padre non esitò, ovviamente, a iscrivermi a una delle scuole più prestigiose della città, nonostante il mio desiderio di frequentare scuole pubbliche, dove non esistevano, o almeno in raro numero, raccomandati o figli di papà, dove nessuno si credeva superiore all'altro e si vantava per la quantità di soldi che gestivano i proprio genitori. E io me la immaginavo così quella scuola. Sentii dire da amici di mio padre che, ovviamente, anche la figlia del sindaco frequentava tale istituto. Quel giorno avrei desiderato come non mai restare chiuso in camera, a disperarmi e a chiedermi perché dovevo condurre una vita del genere, fuori dalla mia portata.

Ma le urla del signor Agreste e i costanti tic toc vicino la porta di camera da parte dell'aiutante di mio padre, mi portarono via da tutti quei pensieri. In effetti si fece molto tardi e la colazione mi attendeva. Come al solito, nell'enorme sala da pranzo ero presente solamente io. Nessuno a darmi il buongiorno o a chiedermi come mi sentivo per il mio primo giorno di scuola, come ogni normale ed umile famiglia. Evidentemente erano tutti troppo indaffarati per badarmi.

Presi velocemente il mio zainetto azzurro posto sulla scrivania al piano di sopra e mi affrettai a raggiungere la limousine nera che quotidianamente utilizzava mio padre. L'unica voce che mi accompagnò durante il tragitto fu la musica della radio, che per un po riuscì a distrarmi dalle molteplici domande che si sovrapponevano l'una sull'altra nella mia testa a riguardo della mia nuova scuola.

Arrivai al traguardo pochi minuti dopo e subito notai la limousine circondarsi di numerosi ragazzi e ragazze. Nel mentre, l'autista, un omone alto e grosso, borbottò arrabbiato qualcosa che non riuscii a capire e continuava a premere il clacson con lo scopo di liberare l'auto da tutti gli spettatori che in breve tempo si radunarono li vicino.

Perfetto, già da questo avvenimento apparii dinanzi agli occhi degli altri esattamente l'opposto di quello che realmente ero: un ragazzo semplice!

Scesi dalla limousine con una certa vergogna e timidezza. Tutti gli occhi erano puntati nella mia direzione e si alternavano tra l'auto gigantesca ed io. Tutti gli alunni dell'Istituto, sia del primo del secondo del terzo del quarto che del quinto anno, erano radunati in quell'atrio che affacciava su un enorme parco. Dovevo ammettere che non era niente male, ciò che mi preoccupava maggiormente erano i compagni e gli insegnanti.

Subito dopo, si avvicinarono a me, evidentemente intimiditi, un gruppo di ragazzi del primo anno. Uno di loro aveva la pelle abbastanza abbronzata; era alto, snello ed indossava un paio di occhiali neri ed un berretto rosso. Proprio questo, era stato il primo a rivolgermi la parola.
X: hey. Emh, davvero bella macchina fratello!
A: grazie mille, è di mio padre.
X: sei fortunato ad avere un auto così, chissà che sballo!
Dietro le spalle del ragazzo con il berretto rosso, c'era un altro, più mingherlino e dai capelli rossi, che aveva annuito trepidamente.
A: beh, ti ringrazio, ma sinceramente non fa per me, non sono come mio padre...
Non riuscii a terminare la frase che subito intraprese un nuovo discorso, sembrava piuttosto agitato anche lui.
X: io mi chiamo Nino Lahiffe. Tu sei nuovo, giusto? Non ti ho mai visto prima d'ora.
A: sì sono nuovo. Piacere, io mi chiamo Adrien.

Passai minuti interi a parlare con Nino e con gli altri ragazzi del gruppo e notai che, alla fine, non erano viziati, capricciosi e affatto ingenui come mi pensavo. Sembravano dei ragazzi davvero simpatici.
N: Adrien, se capitiamo nella stessa classe vuoi essere il mio compagno di banco? La scuola è iniziata da poco più di una settimana, ma io non sto vicino a nessuno momentaneamente, dato che gli alunni sono dispari.
Il cuore mi si riempì di gioia a tali parole. Con i numerosi spostamenti da città in città non ero mai riuscito a farmi degli amici e quel giorno, in pochi minuti, trovai subito un compagno di banco.
A: certamente!
Esclamai con entusiasmo, alzando il tono della voce.

Erano le 8:30. Finalmente la campanella suonò ed io e Nino entrammo insieme nella nostra classe, dopo aver chiesto ad un professore la mia nuova sezione. Parlammo tutto il tempo di musica, dei nostri hobby e delle nostre vite, fin quando arrivò l'insegnante. Fortunatamente, il mio nuovo migliore amico -così mi definì fin da subito- colse la mia vera natura, dimenticando le maniere da riccone con cui mi presentai dinanzi la scuola.

La classe aveva una disposizione davvero molto curiosa: sembrava un piccolo stadio con forma rettangolare, poiché i posti a sedere in fondo si trovavano su un ripiano più in alto e man mano che i banchi erano più vicini alla cattedra dell'insegnante, i ripiani si presentavano più bassi.
Io e Nino abbiamo accolto i primi posti.

Circa mezz'ora dopo, una ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri, entrò in classe senza far rumore e senza farsi accorgere dal professore vicino la lavagna, che oramai aveva già iniziato la sua lezione. Si sedette proprio dietro di me. Aveva un'aria stranamente familiare, ma non riuscii ad assimilare il suo volto a nessun altro. Mi colpì subito, era davvero molto carina.

Le lezioni non iniziarono certamente nel migliore dei modi. La prima materia della giornata fu storia, tanto odiata dal sottoscritto.
Pieno di noia, mi avvicinai lentamente a Nino e chiedendogli della ragazza seduta sola alle mie spalle.
N: si chiama Marinette, fratello, è la figlia della miglior pasticcera di Parigi.
A: ah, sarà un'altra raccomandata allora...
N: affatto! È gentile, simpatica e premurosa. Eravamo alle medie insieme, negli anni passati ho avuto una cotta per lei. Ma non dirle niente eh!
A: e, dimmi Nino... È fidanzata?
N: sì Adrien, con quello lì.
Mi indicò un ragazzo seduto al terzo banco della fila opposta. Era magro, con occhi azzurri e capelli bruni che gli adornavano il viso.
N: si chiama Nicholas. Ma dimmi, fratello, perché me lo stai chiedendo? Non è che ti piace Marinette?

Nino aveva uno sguardo piuttosto eccitato, ma mentendo gli negai la verità.
Tornò a concentrarsi sulla spiegazione del professore, nel mentre mi girai lentamente verso Marinette che fortunatamente non si era accorta di nulla poiché stava disegnando sul suo quaderno. Era davvero bella.

L'inizio di una nuova vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora