Capitolo 26

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Sono solo lacrime
E solo senza la si può spiegare
È solo un po' di acqua con il sale
È solo un'occasione per cantare a bassa voce
Una canzone d'amore
Di quelle che ti fanno un male cane
Ma che la scienza non ti può spiegare
Non c'è niente da capire sono lacrime perché
Ti voglio bene, eh
Perché ti voglio bene
Ti voglio bene

(9 Primavere, Ermal Meta)


I giorni passarono, inesorabili. Tutti avevano preso uno strano ritmo. Adrien era in casa solo la sera, tra la scuola, i corsi e il lavoro era spesso impegnato e, quando non lo era, cercava di passare del tempo con Marinette.

Gisèlle si destreggiava tra lo studio contabile dell'azienda di famiglia, la scuola e Jonathan. Ormai capitava sempre più spesso che lei si fermasse per qualche giorno a casa del ragazzo. Il loro rapporto era sempre più solido.

Ines e Michelangelo si vedevano sempre più spesso. Appena avevano un po' di tempo libero, si rifugiavano in un parco vicino al centro, per poter stare un po' insieme.

Tra un nemico e l'altro, un po' di routine e qualche evento mondano arrivò anche Natale.

La famiglia Agreste aveva raggiunto un accordo dopo "spietate" discussioni: il cenone della vigilia i ragazzi lo avrebbero passato con chi volevano, mentre il giorno vero e proprio di Natale lo avrebbero passato tutti nella villa, con Jonathan e la famiglia di Marinette. Quest'ultima era un po' titubante all'inizio, ma su insistenza di Adrien avevano infine accettato.

Il primo pensiero di Gisèlle, quando aprì gli occhi fu Oggi è Natale. Amava l'atmosfera natalizia, ma non le piaceva il giorno in sè. Le ricordava troppo quando Régine era ancora in vita, quando si vedevano tutti e passavano dei bellissimi momenti. Quell'atmosfera si era raffreddata con la sua morte e si era completamente congelata con la scomparsa di Zoe.

Si alzò e, come ormai di consueto, mise la giacca del ragazzo che fino a poco prima giaceva accanto a lei. Accese la luce per cercare gli occhiali. Odiava quando non li trovava al primo colpo sul comodino, dove li lasciava la sera. A volte si sentiva un po' sciocca a tastare la superficie del mobiletto, in cerca degli occhiali come se fosse una cieca, ma non aveva alternativa (anche qui, chi li porta sa bene cosa intendo).

Jonathan si agitò appena, prima di alzare un braccio e coprirsi gli occhi. -Spegni quella la luce, amore, fa un casino di rumore.*- borbottò, con un vago sorriso sulle labbra e gli occhi ancora chiusi. Gisèlle sorrise.
L'aveva chiamata amore. Ancora non avevano raggiunto quello step. Arrossì, per poi andare in bagno. Spazzolò i denti e lavò il viso. Andò in cucina, preparò il caffè e le padelle per la colazione di Jonathan. Su quel punto non avevano raggiunto un accordo preciso, ma il ragazzo si era adattato alle abitudini di lei. Ora comprava caffè espresso per moka, del latte e biscotti. Per lui, continuava a cucinarsi le uova strapazzate e bacon. Cosa che Gisèlle continuava a pensare come disgustosa e inaccettabile. Storse il naso mentre gli preparava l'occorrente. Anche quello, era un tacito accordo. Chi si svegliava prima preparava gli utensili all'altro. Ma ancora non riusciva proprio a tollerare quella colazione.
Mise su il latte, canticchiando.

-Siamo di buon umore, stamattina?- Jonathan la osservava, appoggiato alla parete. Evidentemente, lo aveva svegliato accendendo la luce, altrimenti dormiva sempre un'oretta in più, quando non lavorava.

-mmm- gli rispose solo lei, non dando una vera e propria risposta. Si voltò e versò il latte nella tazza, prese i biscotti e si accomodò. Lui prese immediatamente il suo posto, preparandosi gli ingredienti.

Gisèlle continuava a canticchiare, ma non conversarono. Lei odiava parlare al mattino.

-Allora, a che ora dobbiamo essere da te?- domandò , solo quando fu certo che lei avesse finito la sua tazza. A volte si sorprendeva ancora di come, in poco tempo, avevano imparato le reciproche abitudini.
Lui sapeva che lei, fin quando non terminava la sua colazione, non rispondeva, a qualsiasi domanda. Poteva cascare il mondo, che lei doveva finire la sua colazione e il suo amato caffè.
Lei sapeva che lui avrebbe potuto rimandare all'infinito la colazione e non gli avrebbe dato fastidio. Per lei le persone che potevano non mangiare al mattino erano quasi esseri mitologici.
Lui sapeva che lei odiava lasciare i piatti in lavastoviglie o nel lavandino. Prima di fare qualsiasi cosa, dopo i pasti, li doveva sistemare.
Lei sapeva che lui odiava quando lei non metteva a posto il dentifricio in bagno. Diceva che la punta si seccava e diventava disgustosa.
Era buffo.
-Magari un po' prima di pranzo.- rispose. Si alzò, mise la tazza nel lavandino e gli si avvicinò da dietro. Gli circondò il collo con le braccia e lo baciò sulla guancia. -Buon Natale.- sussurrò.
Le spalle di lui tremarono nel tentativo di reprimere una risata. -Sei in vena di coccole?- la prese in giro. Lei però annuì, con fare infantile, strusciando il suo naso nell'incavo del collo di lui.
Jonathan la afferrò e la fece accoccolare contro il suo petto.
Le mise le mani sulla pancia, iniziando a farle il solletico.
Gisèlle rise, non riuscendo a fermarsi.
Il gioco, inevitabilmente, si concluse con un bacio.
E poi la ragazza rimase lì, tra le sue braccia. A volte pensava che avrebbero potuto essere ovunque, ma se erano in quella posizione allora tutto era perfetto.

Fino alla fine | Miraculous, le storie di Ladybug e Chat Noir.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora