Capitolo 7: Camomilla o caffé?

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«Marinette, saresti così gentile da ripetermi ciò che ho appena detto?»
La voce severa ed acuta di madame Mendeleiev fece scoppiare in un attimo la bolla del sogno ad occhi aperti che circondava la ragazza in questione. Dopo il lieve bacio che Adrien aveva silenziosamente posato così dannatamente vicino alle labbra del suo alter ego, la giovane non aveva fatto altro che ripensarci e premere continuamente il tasto replay della sua memoria per rivederlo in continuazione. Nonostante la stilista avesse tentato di convincere il suo cervello in fibrillazione che fosse stato semplicemente un delicato gesto che accompagnava un saluto implicito, i suoi desideri continuavano ad assordarle la mente, mormorando che ci dovesse essere qualcosa sotto, allietandola ma sfinendola allo stesso tempo.
«Uh... c-chiedo scusa, madame, ero disattenta.» si scusò, confidando nel briciolo di bontà che sperava girasse da qualche parte nel cuore dell'insegnante perché questa non la punisse o ammonisse troppo pesantemente.
Perché non poteva perdersi nei suoi pensieri in una lezione di madame Bustier? La docente dai capelli rossi pareva avere solo bontà in corpo, e quando si sentiva in dovere di rimproverare qualcuno, lo faceva ricorrendo ad una dose di tatto tale da farlo sembrare una lieve discussione tra amici di vecchia data.
«L'ho visto, signorina.» sentenziò la professoressa, incrociando le braccia sul camice bianco. «Non è la prima volta che ti vedo distratta, né oggi né in altre lezioni precedenti a questa.»
Marinette dovette trattenersi dal contrarre il viso in una smorfia, già percependo l'imminente punizione a cui l'avrebbe sottoposta madame Mendeleiev. «Mi scusi, le assicuro che non ricapiterà più.» fu tutto ciò che riuscì a mormorare, sperando in meglio.
«Ne sono sicura, visto che un pomeriggio passato a riordinare l'aula di chimica ti farà riflettere sullo stare attenta in classe.»
La campanella trillò, interrompendo l'ammonimento giusto in tempo perché la corvina potesse sospirare senza ricevere un altro rimprovero.
Perfetto.
Non vedeva l'ora di passare il pomeriggio chiusa nell'aula di chimica, circondata da fialette, sostanze infiammabili dall'odore nauseante, e lavabi perennemente sporchi ed incrostati che non avrebbero mai più visto la luce di una pulizia perfetta.
«Mi spiace, Mari.» le giunse alle orecchie la voce empatica e leggermente divertita di Alya, che la guardava sorridente di consapevolezza e dispiacere. «Forse potresti chiedere al tuo Principe Azzurro di darti una mano, dopotutto è lui il colpevole di questa punizione.» le strizzò l'occhio, alludendo quasi apertamente ad Adrien, che – per sua fortuna – non dava segni di aver udito quel ritaglio di conversazione.
L'aspirante fashion designer scrollò le spalle, ma non replicò, facendo intendere alla sua migliore amica di aver colpito nel segno.

Marinette si asciugò la fronte imperlata di sudore, un canovaccio in mano e tanta forza di volontà in corpo. Mentre il giorno prima avrebbe abbracciato con tutta se stessa il calore della primavera, in quel momento non avrebbe disprezzato il clima frigido di fine novembre: i termosifoni avrebbero fatto la loro parte. Purtroppo, l'istituto Françoise Dupont non era dotato di impianti di condizionamento, perciò la possibilità di alleviare il caldo si limitava a due soluzioni precarie: aprire le finestre o liberarsi dei capi d'abbigliamento superflui. Buona fortuna a convincere il personale scolastico a farle tenere aperto anche solo lo spiraglio di una singola finestra. Secondo loro, lasciare un'alunna sola in un'aula deserta con la finestra aperta equivaleva ad un rischio altissimo – quasi stessero permettendo ad un bambino al principio dei due anni di giocare con una motosega accesa.
In quanto alla seconda soluzione... beh, la corvina l'aveva adottata, ma il fatto di rimuovere la felpa che portava le aveva donato sollievo per pochi – sacrosanti, non c'è che dire – minuti, prima che il caldo la prendesse nuovamente sottobraccio come un amico di vecchia data. In più, non era nemmeno sicura che il codice scolastico le permettesse di farsi vedere con quella maglietta. Non era nulla di volgare o troppo eccessivo, ma lasciava scoperte le spalle e copriva da sotto le clavicole in giù, mentre le maniche rivestivano parte delle sue braccia. Non le sembrava un crimine indossarla, ma vallo a capire, il dirigente scolastico.
Sospirando, Marinette si munì di un grande carico di pazienza, e cominciò a pulire il primo lavabo che raggiunse. Era letteralmente sola, nell'istituto, eccezion fatta per un paio di bidelli che girovagavano apparentemente senza meta tra i corridoi lustri di cera della scuola.
«Hai bisogno di aiuto?»
La ragazza voltò distrattamente il viso verso la fonte del suono, intendendolo come la gentile offerta di una collaboratrice scolastica, ma dovette ricredersi.
«A-Adrien!» squittì, presa totalmente alla sprovvista dalla presenza del biondo, appoggiato allo stipite della porta con un sorriso divertito.
«Lieto di rivederti, Marinette.» asserì Adrien, affiancandola e munendosi anche lui di uno straccio, con cui cominciò a lustrare la superficie opaca di un lavabo e del ripiano in marmo circostante.
«M-ma che cosa ci fai qui?» tartagliò la moretta, trasalendo leggermente. «Cioè, n-non che io sia dispiaciuta d-di vederti, anzi, è sempre una benedizione... v-voglio dire! A-avrai sicuramente di m-meglio da fare... perché sei qui?»
Dio, si sarebbe presa a pugni se fosse stata da sola e non avesse corso il rischio di risultare persino pericolosa, oltre che psicotica e problematica agli occhi dell'amico. Perché il costume e la maschera le permettevano di parlare, abbracciare, dormire accanto e non svenire dopo un bacio mancato con il ragazzo dei suoi sogni, mentre la sua forma civile la faceva apparire come un disastro balbuziente ed analfabeta?
«Beh, mi dispiaceva rimanere a casa tranquillo ed immaginarti mentre faticavi qui tutta sola, così mi sono fatto accompagnare per darti una mano.» spiegò con calma il modello, gli occhi concentrati sul suo lavoro.
Quel ragazzo era straordinario. Indubbiamente, eccessivamente, indiscutibilmente eccezionale.
«O-oh... beh, grazie...» la lingua della giovane scivolò leggermente sui suoi denti, ma le permise, sostanzialmente, di pronunciare la breve sentenza che aveva in mente.
Così si diedero da fare per pulire da cima a fondo quell'aula di chimica, che sembrava essere rimasta intoccata per secoli, prima di dover essere sistemata da due poveri adolescenti, entrambi – una più dell'altro – in qualche modo costretti a caricarsi quel lavoro sulle spalle.
«Stanca?» mormorò Adrien, seduto accanto all'amica sopra uno dei banchi rigorosamente lucidati e privi anche del più piccolo granello di polvere.
Senza nemmeno rispondere delle sue azioni, Marinette abbandonò la testa sulla spalla del modello, lasciandosi sfuggire un sospiro affermativo. La mancanza di sonno di quei giorni stava seriamente cominciando a far notare la sua presenza, e lo sforzo di quel pomeriggio – da comparare ad un combattimento contro una delle vittime del supercattivo di Parigi – aveva fatto la sua parte.
Sentì un braccio avvolgersi intorno alle sue spalle scoperte, e si aggrappò istintivamente alla maglietta del biondo – per la prima volta in quella giornata accettando ed abbandonandosi al calore, invece di respingerlo.
Percepì una lieve esitazione – quasi un momento di riflessione – da parte del compagno di classe, prima che l'attirasse a sé, permettendole di appoggiarsi contro il suo corpo in un abbraccio abbozzato. Si sentì arrossire quando le venne posato un bacio tra i capelli, ma cercò di liberare completamente la mente da quei pensieri per non muovere l'ennesimo passo falso.
«Marinette...» un mormorio affettuoso lasciò le labbra del modello – più che un richiamo, solo un leggero sussurro di consapevolezza e qualcos'altro che lei non colse.
Gli rispose con un sospiro quasi impercettibile, nel silenzio di quella classe finalmente pulita. Ad eccezione delle infinite volte in cui la corvina si ritrovava a dover affrontare una qualsiasi interazione verbale – da un discorso articolato ad un semplice scambio di saluti – con il giovane, quel ragazzo le infondeva un senso di calma e tranquillità che mai aveva sentito prima. Stare con lui era come tastare la superficie liscia di una coperta di velluto: rasserenante, silenzioso, soporifero.
Benché quel rilassamento fosse rinvigorente, Marinette, in cuor suo, sapeva di aver bisogno anche di una dose di caffè in quegli scambi di fumanti tazze traboccanti di camomilla. Non gradiva ammetterlo – forse non riusciva nemmeno a concepirlo completamente – ma era così, che le piacesse o no. Sebbene il pensiero fosse un boccone duro da mandar giù, quel caffè di cui necessitava aveva una forte tendenza ad essere associato ad un costume dalla tonalità altrettanto scura. Un grande contrasto con la fosforescenza di un paio d'occhi felini tinti di smeraldo. Come poteva – quel maledetto gattaccio – infiltrarsi così silenziosamente nei suoi pensieri da farsi notare soltanto quando lei non trovava più la possibilità e forza d'animo di smuoverlo e ricacciarlo indietro? Era complicato, sfinente e sicuramente una battaglia persa sperare di liberare la mente da quel ragazzo avvolto nel costume provocante che si ritrovava addosso. Doveva essere sicuramente una tendenza destinata a sfiorire col tempo, quella di non riuscire a distogliere il suo organo cerebrale da quell'irritante quanto assordante gatto di strada. Sicuramente era tutto dovuto alla sensazione che Marinette aveva provato quando Chat Noir le aveva confessato – con una serietà capace di far rabbrividire chiunque nel raggio di dieci metri – che la sua forma civile aveva anche la più piccola chance di trionfare sulla ben più amata ed elogiata eroina ricoperta di puntini neri. Spiegazione più che plausibile alle orecchie assetate di risposte della moretta confusa, che aveva piantato le radici – quasi dovuta ad una costrizione implicita ma prepotente, in effetti – nella sua mente assorta.
Marinette dovette trattenersi per non liberare lo sbuffo ribollente nella sua gola, e cercò di trovare conforto proprio tra le braccia di uno dei protagonisti del suo stato di febbricitante perplessità. Confidando in quel profumo tanto inebriante, affondò il viso sul collo dell'amico, tentando di nascondere la sua mente succosa agli occhi dei pensieri spaesati e confusionari. Sentì le braccia di Adrien circondarle la vita con tatto e calma e quasi sperò che azzardasse un movimento più audace, che potesse aiutarla a pensare che ciò che la attraeva di Chat Noir era presente anche in quel timido ed educato ragazzo.
Gesto che, ahimè, non arrivò mai.

Ed eccomi a postare proprio al terzo anniversario di Miraculous!🎉🎊

Come sempre, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto!🧡

Alla prossima❤️

Call it what you want ~ Miraculous LadybugDove le storie prendono vita. Scoprilo ora