Capitolo 19

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Adagiai sul letto mio figlio e dopo avergli rimboccato le coperte, tirai fuori il pugnale.

Dovevo farmi forza. Avevo commesso un errore e in quel momento avevo l'occasione per porvi rimedio. Non potevo dubitare: dentro quel bambino c'era il male, era nato da un seme d'odio. Era mio dovere ucciderlo prima che diventasse troppo potente per farlo.

Alzai il braccio e strinsi più forte che potevo l'arma che stringevo in mano. Presi la mira e trattenni il fiato, poi affondai il pugnale nel cuscino, a poca distanza dal volto di Fawynto.

La mia mano aveva cambiato traiettoria all'ultimo secondo, ma non appena conficcato nel guanciale, il pugnale scomparve, così come era apparso.

Il tempo che avevo a disposizione era scaduto.

Rivolsi lo sguardo verso il cielo stellato, visibile dalla finestra vicino al letto, in cerca di consolazione. Avevo condannato il mondo. In quel momento sperai che nel tempo la natura di Fawynto sarebbe mutata.

Uscii dalla sua camera. Avevo bisogno di respirare dell'aria fresca. Mi sedetti sull'orlo di un precipizio per riflettere, poi decisi di ammirare il dormiente paesaggio notturno.

L'aria trasportava l'ultimo odore che i fiori avevamo emanato, prima di richiudere la loro corolla. Era inebriante e piacevolissimo. La mia tranquillità venne interrotta, non appena udii un fruscio provenire da dietro un cespuglio. Era Fawynto, con il suo inseparabile lenzuolo.

Si era destato per un incubo. Che fossi io? Non lo saprò mai. Il piccoletto mi chiese di raccontargli la storia del "Tempo nel Giardino e nel Mondo", e non appena si assopì, lo coricai, nuovamente, nel suo letto.

Lo guardai dormire beatamente. Quella notte mi domandai se un giorno verrò mai perdonato per la mia viltà.

Nei mesi successivi, provai, più volte, a rivelargli la sua vera origine, ma invano. Optai, quindi, per porgli ogni giorno una domanda; come: "Faresti mai del male a tuo padre?", così da intuire qualche cambiamento e ricondurlo sulla retta via il prima possibile. Questa domanda, le prime volte, disorientò Fawynto; d'altro canto io, come risposta, ottenni frasi come: "Se fai del male agli animali dei Quattro Settori, sì.". Nella maggioranza dei casi le risposte erano in chiave umoristica, perciò finivamo per farci delle grasse risate. Peccato che poi, il cambiamento tanto atteso uscì allo scoperto.

Le risposte erano sempre positive, ma avvertii che nel ragazzo si era accesa una scintilla, che aveva innescato l'ordigno. Lo spirito della madre si era destato. Tale cambiamento non mancò ad essere percepito in prima persona anche da me.

Il tempo aveva ripreso a scorrere, ma, adesso, la sua scadenza avrebbe contrassegnato la fine di un'altra persona. Da qualche luna, avevo appreso che all'interno del mio corpo c'era un potente veleno. Era interessante il modo in cui questa sostanza estranea inibiva la mia forza vitale, e, consequenzialmente, degna di una ricerca approfondita.

La sua origine mi è tutt'ora sconosciuta, tuttavia sono più che certo che il "veicolo d'avvelenamento" sia Fawynto.

Non esiste morte più adeguata che il veleno, per me. Lenta, silenziosa e atroce.

Prego con tutto me stesso che il mondo non debba soffrire al mio stesso modo. Non lo sopporterei neanche da morto. Non troverei pace. Dannerei la mia anima in eterno.

Ebbene ho deciso di continuare questa farsa: farò credere a Fawynto di non sapere nulla. Così recitando, dovrebbe avere una maggiore soddisfazione, durante l'attimo della mia morte.

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