Capitolo 14

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Zefirus non era abituato a tutto quel silenzio, così, per non sentirsi solo, passeggiava tutto il giorno nella foresta, senza sentire il bisogno di cambiare abiti quando passava da un settore all'altro. Faceva ritorno al maniero solo per dormire, anche se i primi giorni non ebbe forza a sufficienza per entrare lì dentro.

In queste settimane il ragazzo, che ormai possiamo chiamare "Guardiano", non aveva mai lasciato la chiave donatagli dal padre; ne fece una collana per tenerla sempre vicino al cuore. Aveva trasferito tutto l'amore che provava per Gilnie in quell'oggetto e ormai ci si era affezionato.

Il giovane cercava addirittura di non assopirsi, pur di restare il meno possibile in quella dimora; però col tempo accumulava sempre più stanchezza, finché non dormì per circa un giorno intero.

Durante il suo profondo assopimento, un bagliore nacque dal petto del ragazzo, trapelando da sotto la camicia. Era la chiave. Questa sbucò al di fuori dell'abito senza problemi e rimase ferma a mezz'aria, fluttuando dolcemente davanti al torace di Zefirus, seguendone l'andamento indotto dal respiro caldo e melenso del ragazzo. In quel pesante sonno, il suo corpo divenne leggero: esso rispose al richiamo dell'oggetto alzandosi lentamente e cercando di non svegliare il suo proprietario. Iniziò, quindi, a girovagare per il buio maniero guidato dalla chiave illuminata.

Nel caso vi foste imbattuti nei corridoi di quella immensa casa, avreste visto un ragazzo diciasettenne delirante, se non sbronzo, sgambettare e ondeggiare in maniera stravagante; soffermandosi ogni tanto, per sbattere violentemente contro il muro per poi cadere a terra a corpo morto e rialzarsi subito dopo indenne, in quanto il corpo non era riuscito ad agire prontamente al repentino cambio di direzione.

La chiave, infatti, sembrava alquanto spaesata: imboccava un corridoio, facendo inoltrare il ragazzo nell'oscurità a passo spedito, quando poi si sentiva un rumore, probabilmente il mignolo del piede che urta una cassapanca, questa invertiva la rotta, dopodiché era possibile vedere il sonnambulo uscire dal buio con la bava alla bocca e un'espressione da completo demente, stesso comportamento di coloro che avendo subito un'anestesia totale, sono inerti al dolore.

La scorrazzata notturna arrivò al termine quando i piedi scalzi di Zefirus si fermarono davanti alla camera del padre. Dopo aver riscontrato qualche problema con l'apertura della porta, la chiave invitò il corpo del ragazzo a spostare il letto, per poi condurlo dentro una botola situata sotto di esso.

Il portello era polveroso e la maniglia, lurida e incrostata dalla ruggine. Il tunnel era umido e buio, ma per il Guardiano non fu un problema: la chiave era fonte di luce e lui dormiva beatamente. Il tombino che chiudeva l'uscita del passaggio tremò a causa della testata che gli diede il ragazzo, il quale, dopo averlo alzato, sbucò in un angolo della serra, confinante con le cucine, al pian terreno.

Più che ragazzo sbronzo, definirei la chiave stessa, sbronza: aveva sottoposto Zefirus ad un'impresa eroica per condurlo semplicemente nel giardino, all'esterno del maniero. L'andamento sbilenco del corpo, però, non accennava ad andarsene. Non appena messo un piede al di fuori dell'uscio principale, il corpo del giovane, come attirato da una potente calamita, si schiacciò alla parete esterna cercando di diventare un tutt'uno con questa. La chiave aveva iniziato a trainare ancora di più, perciò, in queste condizioni, la passeggiata notturna continuò accelerando il ritmo di avanzamento. Dalla velocità con cui viaggiava, quando sbadigliava, i denti del giovane rischiavano di sradicare muschio e pianticelle di passaggio, cresciute nelle crepe del muro.

Ad un certo punto il ragazzo dovette correre per restare dietro alla chiave. Ripassò più e più volte avanti e indietro nello stesso tratto, pareva che volesse lucidare la parete millenaria del maniero, usando il proprio corpo come spugna. Finalmente, per la prima volta in quella lunga nottata, la chiave sembrava essersi decisa. Essa si conficcò in una fessura triangolare fra due pietre, l'impatto fu talmente potente che Zefirus sbatté forte la testa e rischiò di rimanere strozzato dal filo teso della collana. Si svegliò.

In quel momento la priorità del Guardiano era di tornare a respirare, riuscì ad allentare la collana agitandosi a casaccio, poi sentì un suono simile a uno scatto meccanico. Le pietre della parete iniziarono a roteare e a staccarsi le una dalle altre cadendo a terra e alzando una nube di polvere. Zefirus ne ricevette una in piena mascella che lo fece cadere a terra, rompendo il filo della collana. Finalmente era riuscito a liberarsi dalla morsa al collo.

La polvere si depositò sul terreno, lasciando visibile un ingresso a forma d'arco, nel muro.

Il colpo assestatogli dalla pietra aveva assolutamente svegliato il Guardiano, che, cautamente, rimosse la chiave dal muro. In fondo alla sottile fessura fra le rocce, era presente una serratura. A seguire, la parete iniziò a riformarsi e le pietre cadute a terra tornarono al proprio posto. Nella sorpresa il ragazzo tentò, invano, di fermare il processo; ma al suo completamento, aiutandosi con la magia, siccome la serratura era irraggiungibile da una mano umana, aprì nuovamente la porta.

Curioso di conoscere cosa era nascosto dietro quel passaggio, Zefirus fece tre passi avanti, ma una profonda fitta muscolare lo fece piegare in due dal dolore, espandendosi in tutto il corpo. Gemette portandosi le mani alla testa e all'addome.

I colpi ricevuti quella notte stavano tornando in superficie.


Il Guardiano degli AlberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora