Louis indicò la tela accanto alla mia. «È libera?»
Gli sorrisi timidamente, annuendo.
Non era la prima volta che Louis mi spiccicava parola. In genere, ci limitavamo sempre a salutarci o a fare qualche commento gentile sui dipinti di entrambi. Louis era una bella persona: sempre gentile, disponibile, una vera e propria fonte di intelligenza. Ero sicura di non aver mai incontrato qualcuno come lui. Sapeva sempre cosa dire, anche durante le brutte giornate. Infondo, c'era anche da dire che era l'unica persona, a parte Noora, che aveva fatto caso a me.
«A cosa stai lavorando?» Mi chiese, una volta essersi sistemato con i suoi colori a tempera e i suoi pennelli.
Guardandolo che si arrotolava la camicia sulle braccia, sospirai. «Non ne ho idea.»
Louis sorrise, come se sapesse cosa stessi provando. «Beh, se ti fa star bene, neanche io so da dove cominciare.»
Mi fece ridere e ne avevo davvero bisogno. Ero ancora nervosa per colpa di Noora. Durante il tragitto verso l'aula d'arte, avevo avuto come il presentimento che avesse voluto intendere qualcos'altro con le sue parole, come se mi stesse dicendo Eccomi, sono completamente libera. Ti prego, fa' qualcosa. Allo stesso tempo, c'ero io, che con la mia timidezza e il senso di agitazione perenne non ero neanche buona a distendere e a mostrare i miei sentimenti, o almeno quella piccola parte di cui ero consapevole. Avrei voluto dirle che non volevo altro che baciarla, sentire cosa provassi davvero, se mi sentissi giusta per lei e se lei fosse giusta per me; avrei voluto toccarla, infilare le mie dita tra i suoi capelli, sentire come le sue mani si incastonavano con il mio corpo troppo lento per stare in corsa con i suoi movimenti. Avrei tanto voluto stringere la sua mano come lei stringeva la mia, ma la mia mente dubbiosa mi aveva letteralmente riempito di domande che fu difficile anche solo non esplodere. Provava anche lei quello che avevo iniziato a provare io, molto prima di allora? O era solo un modo per dirmi Sono tua amica, da ora. Non lo sapevo, ma quel piccolo lasso di tempo, che mi divideva dalla fine della giornata scolastica, lo spesi a pensare e a lasciare che la mia mano scorresse sulla tela risultando, al suono della campanella, una marea di strisce colorate a cui avevo dato vita soltanto pensando a me, a lei, ai miei sentimenti confusi e alle mie emozioni totalmente sballate.
«Ti sei impegnata, però.» Commentò poi Louis, sistemandosi il giubbotto addosso.
Deglutii e posai in fretta la tela che avevo usato, in modo tale che nessuno si accorgesse del mio orrido disegno. «Non ha senso.» Commentai.
Louis scosse la testa. Il modo in cui lo fece, risultò ai miei occhi così prevedibile, così a conoscenza di quello che avevo creato, che mi fece pensare a cosa, in realtà, avessi davvero creato. «Se l'hai disegnato, ha un senso, Anaïs.» Mi posò una mano sulla spalla. «Non reprimere l'arte. Lei sa come guidarti sulla giusta via.»
«Wow, parole davvero sagge.» Commentò una terza voce, dalla soglia dell'aula.
Realizzai, subito dopo sentendo la voce di Noora nella stanza, che io e Louis eravamo gli unici rimasti all'interno. Arrossii d'impulso e mi allontanai dal ragazzo.
«Tu chi sei, scusami?» Chiese Louis, aggrottando la fronte.
Noora indossava i suoi occhiali dalle lenti ambrate e accennò ad un sorriso debole, quasi malizioso. «Sono Noora.» Si presentò.
Alzai gli occhi su di lei.
Il tono sembrava duro, piatto, distaccato. Che cosa l'aveva indotto a parlare con quel tono?
«Louis.» Rispose, quasi confuso da quella conversazione.
Gli toccai un braccio. «Ci vediamo domani, okay?» Lo rassicurai.
Louis corse a guardarmi. «Okay.» Suonò più come una domanda, la sua risposta.
Presi il mio zaino dal pavimento e, a passo felpato, superai anche Noora.
«Dove stai andando?» Mi chiese, tornata ad usare il suo tono familiare. «Non hai salutato come si deve il tuo ragazzo!»
Ad un tratto, mi sentii al quanto violata, perfino da lei. Come aveva fatto a sapere che facessi parte del corso di arte?
Glielo chiesi, voltandomi di scatto verso di lei. Non mi sarei mai immaginata di aver coraggio a sovrastarmi su di lei in quel modo.
Noora incrociò le braccia. «Ho tirato ad indovinare.» Rispose.
Socchiusi gli occhi. «Hai tirato ad indovinare.» Ripetei, senza crederle. «Louis non è il mio ragazzo.» Aggiunsi poi, ripensando alle sue parole.
Socchiuse le labbra. «Possiamo essere amiche, Anaïs?» Mi chiese, dopo qualche secondo. «Ti chiedo solo questo.»
Smisi di camminare. Quella sua proposta fu interessante. Fu davvero interessante perché, in qualche modo, significava che aveva pensato a me durante la giornata e che aveva avuto un disperato bisogno di pormi tale domanda; avermi come amica significava qualcosa per lei, qualcosa di genuino, o magari la stessa cosa che significava per me - ma la mia ultima tesi era piuttosto inappropriata. Volevo che me lo ripetesse ancora, ancora e ancora, fin quando la notte non fosse calata e noi non ci fossimo trovate su un letto, magari nella mia camera, in soffitta, dove nessuno ci avrebbe detto nulla e non ci avrebbe giudicate, magari a parlare di stelle e a quanto fosse bello condividerle l'una con l'altra. Mi immaginai come sarebbe potuto essere un mondo ipotetico in cui io e lei eravamo più che delle estranee, delle amiche. Mi immaginai poi un altro mondo ipotetico, dove io e lei non eravamo per niente delle amiche, ma qualcosa di più. Qualcosa che mi turbava dalla mattina alla sera e a cui non sapevo dare una risposta certa, sicura.
Perché pensare a me e a Noora come qualcosa di più di due semplici ragazze che si vogliono bene mi faceva sentire come se stessi peccando?
Strinse le braccia del suo zaino, come se il mio momento di riflessione la stesse pressando. «Non c'è bisogno che tu mi dica niente, se non vuoi avere niente a che fare con me.» Si morse un labbro, per poi respirare profondamente. «Lo capirei. Dopo aver mollato il suo ragazzo, viene a chiedere pietà a me.» Disse, con una voce strana, forse tentando di avere il mio stesso timbro di voce.
Avanzai verso di lei. Ora o mai più. «Ci sono almeno una ventina di ragazze che pagherebbero oro pur di essere tue amiche. Perché hai scelto di chiederlo a me?» Non lo chiesi con agitazione, con freddezza o con necessità di sapere. Lo chiesi con calma, con nessuna agitazione che mi corresse dietro. Volevo saperlo perché volevo sentire la sua risposta.
D'un tratto, le sue ali d'angelo si infuocarono, rendendola un angelo in fiamme, in trappola dal suo stesso fuoco che l'aveva sempre alimentata. La vidi appesa ad un filo, senza parole, senza sapere che giusta risposta darmi. Sembrava in pericolo, in cerca di ossigeno. Per la prima volta, la ragazza che pensavo non avesse alcun punto debole, si stava trovando in difficoltà. Ma durò un po', perché seppe subito maneggiare il suo fuoco, scagliandolo contro di me e bruciandomi. «Perché non vorrei essere accanto a nessun'altra, se non accanto a te.» Fu così soave il modo in cui lo disse, così naturale, così intimo che non si vergognò neanche un instante. Accennò il suo sorriso ormai quotidiano e mi porse una mano.
La guardai, poi guardai i suoi occhi.
Volevo che quella mano mi accarezzasse la guancia e mi dimostrasse quanto fossi importante per lei ma, in realtà, gliela strinsi come segno d'accordo.
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Nel tuo disordine
Teen Fiction'Mi obbligò a guardarla profondamente negli occhi. Me li sentii dentro, in un instante. «Fammi spazio nel tuo disordine, Anaïs.» Sussurrò con un filo di voce, come se neanche avesse detto quelle parole. Venni completamente e totalmente balzata fuori...