03. The Sun and its planets

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La mattina seguente nelle mie vene e nelle mie arterie strisciava una dose enorme di agitazione e di nervosismo che, insieme, crearono un senso di paura che non mi rassicurò nemmeno un secondo.
Non vidi Noora per tutta la mattinata. Pensai che si fosse trattato di uno scherzo poco gentile, perfino di uno sbaglio di persona. Mi sentii un po' presa in giro, seguendo quella mia convinzione, perché ci tenevo davvero tanto ad ascoltare cosa aveva da dirmi, perché non capitava tutti i giorni che Noora mi parlasse, perché aspettavo quel momento da tutta la vita e avrei pagato qualsiasi cifra per averla vicino almeno per qualche secondo in più. A mensa pranzai accanto a degli studenti che facevano parte del club astronomique e si stavano consultando per poter spiegare al meglio il loro progetto che se ne stava tra me e loro, un enorme plastico di polistirolo che rappresentava il Sistema Solare. Li sentii dire che bisognava accennare la gravità, che, seppure un elemento di grande importanza, doveva essere introdotto brevemente ma con una certa importanza ed evidenza, perché unico elemento di vitale importanza per tutti i pianeti uniti intorno al Sole.
Mentre li ascoltavo, mi sentii un po' come tutti i pianeti del Sistema Solare, così concentrati a girare intorno al Sole ogni giorno, ogni mese, ogni anno della loro esistenza da scordarsi di loro stessi. Io ero i pianeti e Noora era il mio Sole. Ero capace di dimenticarmi di ogni cosa quando lei era nel mio campo visivo, ero capace di scordarmi totalmente il mio nome ed essere certa che la mia unica essenza vitale fosse il suo, di nome, che fosse più importante ricordare il suo che il mio. E, come gravità, c'era quel sentimento strano che sentivo ogni qualvolta che la vedevo, un sentimento a cui non riuscivo a dare una spiegazione, una ragione, un'accettazione.
In quel momento, mi chiedevo se fosse tutta una messa in scena. Mi chiesi se Noora volesse davvero parlarmi o, come i suoi amici, si fosse soltanto presa gioco di me. Mi chiesi se pensasse qualcosa quando mi vedeva tra i corridoi.
«Finalmente ti ho trovata!» Esclamò proprio lei.
Spalancai gli occhi dall'evidente colpo di scena che aveva appena fatto. Non alzai lo sguardo su di lei, perché troppo presa a fare mente locale. Afferrò la mia sedia con le mani e si mise di lato, in modo tale che potessi vederla con la coda dell'occhio.
«Pensavi mi fossi dimenticata?» Aggiunse, scherzando, vedendo che non le rispondevo.
Presi un bel respiro e obbligai me stessa a guardarla. Per poco non mi scoppiò il cuore. «No.» Risposi vaga e fingendo di non aver dato molta considerazione alla conversazione della sera prima.
In realtà, volevo dirle, stavo morendo dalla voglia di vederti e mi stava uccidendo il fatto che, per un momento, avessi pensato che tu ti fossi presa gioco di me. Mi avresti uccisa, in quel modo.
Noora indicò il vassoio sotto il mio naso. «Hai finito? Vorrei parlarti da qualche altra parte. Qui ci sono troppe persone.» Lo disse a bassa voce, avvicinandosi perfino al mio orecchio per farsi sentire soltanto da me e non dai ragazzi che mi affiancavano e che ora avevano cominciata a fissarla.
Dalle sue parole, però, non sapevo cosa intendesse, se si vergognasse a farsi vedere in giro con me o se volesse davvero parlare in privato. In entrambi i casi, l'avrei accontentata. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei, per il Sole.
Ci alzammo e portai il mio vassoio sugli scaffali appositi. Poi, uscimmo, e lei mi sorprese: fece scivolare una mano nella mia una volta che la porta della mensa si richiuse. Smisi di respirare. Lo stomaco si contorse.
Perché lo stai facendo, perché mi stai facendo questo?
Noora abbassò lo sguardo sulle nostre mani, poi alzò lo sguardo su di me, con espressione neutra sul viso. Sembrava così sciolta al contrario mio, che stavo entrando in collisione. «Ti dà fastidio?» Fece cenno alle nostre mani.
Scossi la testa lentamente, senza saper benissimo che cosa provassi.
Noora volse lo sguardo verso la strada e continuammo a camminare fino alla porta d'uscita. Accedemmo in cortile, semivuoto.
Ci sedemmo sull'erba a qualche metro di distanza da tutti.
Lei si sdraiò del tutto, tenendosi soltanto con i gomiti. Io, invece, mi sedetti e mi strinsi le braccia al petto.
«Ho rotto con Davis.» Iniziò a dire.
Le risposi che mi dispiaceva.
Noora sorrise, quasi divertita. «Oh, avanti. Lo so che non ti dispiace perché è uno stronzo.»
Lo è sempre stato, ma l'unica cosa che mi uscii dalla bocca fu: «Hai ragione. Non mi dispiace.»
Noora si mise a giocare con dell'erba, arricciando le labbra.
Sembravano così morbide che mi sarei potuta infrangere in esse con tanta facilità da non accorgermene nemmeno.
«L'ho lasciato perché non mi è piaciuto il suo atteggiamento nei tuoi confronti.» Lo disse lentamente, staccando le parole con così tanta bravura che quasi mi addormentai a sentire il suo discorso sillabato. Fu come se volesse che capissi ogni lettera. «Ti ha fatto male.» Aggiunse, visibilmente dispiaciuta. «E non voglio che ti faccia male.» Posò i suoi occhi sui miei, che intanto la stavano già guardando.
Abbassai lo sguardo verso il suolo. «Mi sono sentita soltanto... violata.» Risposi, in un sussurro, come se avessi voluto giustificare le azioni di Davis.
Noora serrò le labbra e si avvicinò di più a me. Sentii il suo calore addosso. «Non voglio sapere perché ti senti violata, ti ringrazio anche solo che me lo stai dicendo.»
Ero tornata a guardarla, a fissarla, concentrata sul movimento delle sue labbra e sulle sue parole. Ero coraggiosa abbastanza da rivelarle un pezzetto della mia vita? «È mia madre che stavo disegnando.» Dissi, senza guardarla negli occhi. Perché lo stavo dicendo a lei? Che cosa aveva di diverso lei dagli altri? Volevo davvero condividere il mio cuore con lei?
Noora aveva abbozzato un sorriso debole. «Tua madre dovrebbe essere onorata di essere ritratta da te.»
Non le dissi niente. «Chi vorrebbe essere ritratto da me? Non sono mica Monet!» Scherzai su, più rilassata di prima.
Noora frenò una risata. «Io.» Rispose, sincera. «Ho visto di sfuggita quel disegno ed era davvero realistico, Anaïs.»
Quando pronunciò il mio nome, sembrò tutto così facile. Avrei potuto esserle amica, avrei potuto scambiare i miei segreti con lei, avrei fatto qualsiasi cosa pur di tenermela stretta, perché era importante per me.
«Disegnare è soltanto un modo per tenermi occupata.» Alzai gli occhi verso il cielo. «E funziona bene.»
«Hai del talento.» Commentò, al quanto felice di dirlo.
«Grazie.» Bofonchiai, sull'orlo del rossore.
«Non sei abituata ai complimenti, eh?»
Ridacchiai quasi silenziosamente, scuotendo la testa.
Noora mi toccò, mi sfiorò una guancia. Rimase a guardarmi con uno sguardo perso, concentrato.
Deglutii.
Scese a guardarmi le labbra, poi le sue si allargarono in un sorriso e tornò sui miei occhi. «Sei arrossita.» Disse soltanto. Allontanò il suo contatto dal mio viso, per tornare a stendersi comodamente.
Restammo qualche secondo zitte.
Io contemplai quello che era appena successo. Mi sentii di nuovo vuota senza le sue dita vicino al mio viso, senza i suoi occhi rivolti solo ed unicamente a me. «Perciò è colpa mia.» Conclusi, strizzando un po' gli occhi.
Noora corse a guardarmi. «Colpa tua?»
«Tu e Davis.»
Noora scosse la testa e la inclinò. «Ho soltanto aperto gli occhi.»
In quel momento, avrei voluto davvero baciarla e fregarmene degli altri, perfino della mia testa. Ma feci morire il pensiero, alzandomi. Se fossi rimasta ancora un po' accanto a lei, avrei perso il controllo, cosa che non rispecchiava affatto la mia persona. «D-Devo andare.»
Mi seguì con lo sguardo, con aria confusa. «Ho detto qualcosa che non dovevo dire?» Si alzò anche lei.
Scossi la testa, presa da un batticuore che non mi stava facendo ragione. «No, no. Non è per te.» Mi sistemai i capelli. «Devo... Devo raccogliere e sistemare le mie cose per il corso d'arte e devo assolutamente far presto.» Le dissi, evitando di farla sentire in colpa, con scarsi risultati.
«O-Okay.» Mi rispose. «Ci vediamo in giro?»
Non le risposi. Tornai di corsa a scuola e mi chiusi in bagno, con il fiato sospeso. Mi portai una mano sul cuore e poggiai la testa contro il muro, socchiudendo gli occhi.
Si sentivano così nervosi e sudati, i pianeti, quando il calore del Sole si imbatteva contro di loro?

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