Capitolo 10

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«Tu sei Plagg, vero?» chiese Marinette guardando lo strano gatto svolazzante.

«Si» rispose secco quello, evitando accuratamente di guardarla negli occhi.

Marinette se ne accorse, ma non fece in tempo a dir nulla che i suoi genitori rincasarono.

«Plagg! Nasconditi!» esclamò subito la ragazza.

«Oh, non ti preoccupare, Adrien ha "gli occhi" per ora. Sono invisibile anche io» la rassicurò lo spirito.
"Accidenti... quei due dicono pure le stesse cose!" pensò subito dopo.

«Marinette, tesoro! Tutto bene?» chiesero in coro, allarmati dopo aver visto la confusione lasciata dalle ombre.

Cavolo! E ora come faceva a spiegare il salotto in disordine? E la ferita al braccio?

«Ehm... ecco io... h-ho provato a fare le pulizie! Si, le pulizie... ma si è rotta una finestra e...»
iniziò a balbettare lei tentando di nascondere il braccio fasciato.

«Oh, tesoro.... ti sei fatta male?» chiese preoccupata Sabine che, essendo una madre, queste cose non se le lasciava sfuggire di certo.
«Bè, direi che la prossima volta puliamo tutti insieme, ok?» cercò di sdrammatizzare Tom.

«S-scusatemi... sono proprio una frana...» disse Marinette abbassando lo sguardo, mortificata.

«L'importante è che tu non ti sia fatta nulla» disse con dolcezza Sabine carezzandole i capelli.

«Esatto, tu sei la nostra Marinette. Noi ti amiamo tantissimo» aggiunse Tom abbracciando le due donne della sua vita con le sue grandi braccia.

Marinette si riempì del calore di quell'abbraccio, come se il tempo si fosse fermato.

I suoi erano i genitori migliori del mondo: le avevano insegnato l'importanza della famiglia e dell'amicizia, a essere sempre onesta con se stessa e con il prossimo, ad aiutare chiunque fosse in difficoltà. Le avevano insegnato che cosa significasse volere veramente bene a qualcuno.

"Volere veramente bene a qualcuno..." pensò tra sé e sé.

Marinette non aveva più dubbi. 
Sapeva esattamente cosa fare: non avrebbe lasciato Adrien da solo e lo avrebbe aiutato a salvare Tikki. Angelo o non angelo.

«Forza e coraggio, rimettiamo tutto a posto!» esclamò Tom allegramente.

***

Dopo aver rimesso tutto in ordine e aver cenato, Marinette si ritirò nella sua stanza.
Non aveva perso mai di vista Plagg, col timore che potesse sparire da un momento all'altro.

«Tranquilla» l'aveva rassicurata lo spirito «se me ne vado via, Adrien mi ammazza.»

Una volta certa che i suoi genitori stessero dormendo, Marinette chiuse la porta della sua camera a chiave.
«Plagg... portami da lui» disse la ragazza con decisione.
Non era mai stata così sicura nella sua vita.

«Non se ne parla proprio! Lui mi ha chiesto di proteggerti! Portarti là equivale a farti uccidere!» si oppose lo spirito.

«Non mi interessa! Non posso lasciarlo da solo. Né lui né Tikki» rispose Marinette guardando Plagg dritto negli occhi. 
Al solo sentire il nome dell'angelo, Plagg avvertì una stretta allo stomaco: si sentiva inutile e impotente. Non era riuscito a proteggerla quando era più debole e adesso aveva mandato Adrien a salvarla, mentre lui era rimasto in panchina. Che codardo!

No, non poteva starsene con le mani in mano! Doveva fare qualcosa! Doveva salvarla! Ma non poteva lasciare sola Marinette o Adrien lo avrebbe disintegrato. Certo che quel ragazzo quando voleva sapeva incutere timore...

«E va bene ragazzina...» disse lo spirito mentre il suo corpo si avvolgeva nelle fiamme lasciando spazio alla figura di un'imponente pantera «salta su che ti porto da lui; ma guai a te se pensi di allontanarti da me!» la ammonì.

«Grazie Plagg!» esclamò Marinette salendo in groppa allo spirito.

"Sto arrivando, Adrien!" pensò la ragazza tra sé e sé, mentre Plagg, varcata la finestra, iniziò a volare verso l'Inferno.

***

Entrare nella villa di Gabriel fu più facile del previsto.
Fin troppo facile.

Mentre percorreva il tetro corridoio fu attaccato solo da poche ombre, ma grazie ai suoi riflessi e alla sua falce, toglierle di mezzo fu un gioco da ragazzi.
Adrien si guardava circospetto: non si sarebbe fatto sorprendere come era successo a casa di Marinette.
Improvvisamente un'ombra fece per attaccarlo alle spalle, ma lui l'avvertì immediatamente e con un salto all'indietro si portò alle spalle di quella, per poi farla fuori con un colpo secco.

«È troppo strano...» mormorò tra sé e sé «com'è che Gabriel non mi ha mandato contro tutto il suo esercito di ombre... eppure dovrebbe sapere che io sono...» ma non finì in tempo la frase che in lontananza, alla fine del corridoio, scorse un'ampia stanza circolare e,  proprio di fronte a lui, incatenata alla parete, sospesa, c'era Tikki, piena di lividi e ferite.

«Tikki!» urlò il ragazzo correndo verso di lei «Resisti! Ti porterò via di qui!»

«A-Adrien...» riuscì a dire lei debolmente «c-cosa ci fai qui? T-tu non dovresti essere qui...»

«Non ti preoccupare! Era la mia missione, no? Ritrovare l'angelo caduto e riportarlo in Paradiso!» disse lui mentre cercava di liberarla dalle catene colpendole con la falce «Certo che per essere un angelo sei proprio scarsa... potresti guarirti quelle ferite...» cercò di sdrammatizzare lui.

«N-no, non capisci... t-tu dovresti e-essere con lei» balbettò l'angelo.

«Non posso... non dopo che lei è morta per colpa mia...» disse lui fermandosi per un attimo.

«A-Adrien.... tu hai ricordato?»

«Si...»

CLAP CLAP CLAP.

«Ma che scena commovente!» disse Gabriel avanzando nella sala e battendo le mani lentamente.

«Gabriel!» digrignò i denti Adrien mettendosi sulla difensiva.

«E così ti sei ricordato! Ma che bravo! Ma questo non servirà a nulla!» gli rinfacciò il demone, mentre un'orda di ombre indistinte con tanti luminosi e maligni occhietti viola andava crescendo dietro di lui in un'informe massa oscura.

«Adrien, vattene via!» lo supplicò Tikki.

«Non posso lasciarti qua!» gridò il ragazzo.

«ATTACCATE!» ordinò Gabriel, mentre la moltitudine di ombre si scagliò contro il biondo.

Adrien si ritrovò circondato dall'oscurità più fitta, le ombre lo attaccavano simultaneamente da tutti i lati.
Inizialmente riuscì a difendersi, a schivare e a contrattaccare facendone dissolvere parecchie, ma quelle sembravano non finire mai e soprattutto sembravano non stancarsi mai, cosa che invece stava succedendo al povero Adrien.

Mentre stava infliggendo il colpo di grazia con la sua falce a due ombre, una terza lo colpì da dietro ferendogli la spalla.
Adrien gemette, ma non mollò la presa sulla falce.
Non avrebbe retto ancora a lungo, e uno contro un'infinità era davvero scorretto.
Doveva escogitare qualcosa, pensò mentre schivava per un soffio un tentacolo che mirava alla sua gamba destra.

«Sei solo un codardo, Gabriel!» si mise a urlare da dentro la coltre di oscurità «è facile per te mandare avanti i tuoi scagnozzi, ma tu non sai fare nulla! Arrivi solo nel momento più facile a prenderti le anime altrui!» lo provocò Adrien.

Solitamente Gabriel era un demone molto freddo e composto, ma sentirsi dare del buono a nulla... no, quello non poteva proprio tollerarlo.
Lui era Gabriel, uno dei demoni più potenti dell'Inferno e sicuramente il suo prestigio sarebbe cresciuto se si fosse appropriato dell'angelo e di quel ragazzino che...

«E va bene!» tuonò, facendo dissolvere le ombre in un attimo e scorgendo il ragazzo col fiatone, alcuni graffi, ma la falce ben salda in mano «Veditela con me se ne hai il coraggio, ragazzino!»

«Con molto piacere!» sogghignò Adrien asciugandosi un rivolo di sangue che gli colava dall'angolo della bocca.


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