Roma

600 45 58
                                    

La doccia fa rilassare i muscoli indolenziti dall'estenuante allenamento di pallavolo: l'acqua calda scivola sulla pelle facendola arrossare e donandole un sollievo piacevole. Cerco di concentrarmi sui miei pensieri ma le voci delle altre ragazze sovrastano la mia interiore. Giro la manopola per chiudere quel fiume caldo, afferro il telo e ci avvolgo il corpo. Mi avvio verso il borsone dove ripongo il bagnoschiuma e lo shampoo e, afferrando un altro asciugamano, tampono i capelli bagnati. Li pettino con cura, quasi maniacalmente: mi piacciono e, in parte, mi nascondono dal mondo, come se fossero il mio mantello dell'invisibilità, nonostante il colore sgargiante. Mi piace come coprono il seno inesistente e i fianchi leggermente pronunciati. Peccato non possano coprire anche le cosce ancora troppo piene per i mie gusti. Con l'aria calda del phon, asciugo i fili ramati, rendendoli leggermente mossi. Li districo con le mani, per non farli riempire di nodi. Il rumore dell'apparecchio sormonta il brusio delle voci che risuonano nello spogliatoio e, finalmente, riesco a concentrarmi sui miei pensieri:

'Oramai sono passate due settimane da quel giorno nello spogliatoio: avevo paura che Sebastian potesse reagire male davanti un mio rifiuto, avevo paura che mi potesse mandare a quel paese lasciandomi lì e mettendo la parola fine a una situazione neanche iniziata. Avevo paura che mi potesse dare della bambina, dell'immatura o, peggio ancora, che potesse definirsi annoiato. Non volevo che terminasse tutto in quel momento, ma non potevo neanche andare contro me stessa: non mi sentivo pronta per farmi toccare, per entrare così tanto in intimità. Non me la sentivo di fargli sfogare la passione e la frustrazione sul mio corpo, perché è quello che sarebbe successo: mi avrebbe mostrato la sua voglia che faceva trasparire con i baci, direttamente sul mio corpo. Proprio come aveva fatto afferrando i miei glutei: stretti in una morsa quasi dolorosa ma, al tempo stesso, di un piacere indescrivibile. Mi sono quasi sempre vergognata del mio corpo e per questo non ho quasi mai lasciato a nessuno il potere di poterlo esplorare. Eppure lui, con le sue mani, con le sue labbra, con la sua figura, riusciva a scacciare via dalla mia mente il disagio e il disprezzo che provavo verso me stessa, facendomi sentire sensuale. Non c'è stato un solo giorno in cui non mi ha voluta: ha cercato ogni scusa possibile per entrare in quel ripostiglio e baciarmi. So benissimo che non vuol dire nulla, che non significa che voglia me, ma il fatto di attrarlo fisicamente mi fa sentire bene. Mi fa sentire bene perché, anche se solo per pochi minuti, Sebastian è mio e io sono sua. Ci fondiamo, ci uniamo, ci respiriamo, ci viviamo. Ci sconvolgiamo per attimi, secondi, minuti, prima di tornare a ignorarci davanti al mondo. Questo mi sta facendo male ma, per ora, mi basta.' 

«Allora, Iris, non abbiamo più avuto modo di parlare» dice Greta, prendendomi di sorpresa e sedendosi di fianco a me. La guardo mentre inizio a rivestirmi:«Cosa vuoi?» le domando.

«Non vuoi sapere nulla?» ribatte lei, alzando un sopracciglio mentre incrocia le braccia e ghigna. 'Il segreto di Sebastian. Voglio saperlo? Voglio distruggerlo? Certo che no, non ora. E se mi facesse del male in futuro? Se ora si stesse solo prendendo gioco di me? Potrei usarlo contro lui nel caso in cui mi faccia del male' 'E se questo suo segreto distruggesse te?' fa capolino la mia coscienza: grano gli occhi e mi convinco a non voler saper nulla riguardante quel ragazzo; se vorrà, sarà lui a tirar fuori gli scheletri dall'armadio mostrandomeli uno a uno. 

«No, grazie» rispondo, lasciandola lì seduta, basita dalla mia risposta negativa. Non la biasimo: in fondo sono andata al suo compleanno solo ed esclusivamente per quella stupida scommessa ma, dal giorno in cui ho accettato, sono cambiate troppe cose. 
Afferro il borsone ed esco dallo spogliatoio, trionfante per aver fatto tacere quell'arpia: salgo le scale e incontro Davide nel cortile, intento a spazzare il fogliame oramai secco al suolo.
«Ciao, Davide! A domani!» lo saluto con enfasi. 

«A domani, Iris!» ricambia lui, sorridendomi e alzando la mano con cui teneva la scopa, lasciando cadere quest'ultima al suolo. Rido e oltrepasso il cancello per poi avviarmi alla fermata dell'autobus.  

~I hate you, I love you~ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora