«Perché non capisci che mentendomi mi ferisci? Iris, con te mi sono aperto come non ho mai fatto con nessuno. Perché non puoi farlo anche tu? Perché non puoi rendermi partecipe delle tue emozioni? So che in passato ti ho fatto del male, ma ti prometto che non ho più intenzione di ferirti» aggiunge, facendo crollare ogni mia difesa. Ha ragione: dovrei fidarmi di lui, dovrei potergli parlare di ogni cosa, eppure non ci riesco. Ho così paura di soffrire così tanto, di essere derisa e attaccata che non riesco a farmi vedere debole e a crollare davanti i suoi occhi.
«Io, io...» questo è tutto ciò che riesco a farfugliare mentre fisso un punto del pavimento.
«Iris, parlami» afferma lui, con tono supplichevole e disperato. Odio sentirlo così, odio il fatto di star rovinando con le mie stesse mani l'ultimo giorno che passeremo insieme. M'impongo di smetterla di frapporre questa barriera tra noi, eppure il mio cervello non mi permette di far uscire le parole dalla mia bocca. Il cervello non mi permette di parlare, ma non impedisce al mio corpo di reagire. L'afferro, lo tiro a me e lo abbraccio, scoppiando in un pianto di dolore, singhiozzando e stringendolo il più possibile a me.
«Non voglio che te ne vai, non voglio restare sola, di nuovo» dico, soffocando le parole tra il contatto con le mie labbra e la sua clavicola. Una sua mano scivola tra i miei capelli, le sue labbra sulla mia fronte cercano di darmi conforto come la mano che mi circonda la vita.
«Neanche io vorrei, credimi, non ora che ti ho» dice lui, e questo mi da un senso di consolazione. Alzo lo sguardo e col naso arrossato, gli occhi che bruciano e il respiro affannato, mi tuffo sulle sue labbra che riescono a calmarmi e a infondermi pace. Lui è così: la mia malattia e la mia cura. Ci stacchiamo da quel contatto, facciamo aderire le nostre fronti e un sussurro arriva al mio orecchio:
«Ora vai a casa a farti una doccia calda: io passo al Burger King, al supermercato e vengo da te con un panino grande quanto la tua faccia e una scorta di popcorn al caramello. Tu prepara le coperte, Netflix e le tue labbra.»
Lo guardo come una fessa: mi sa sorprendere sempre ed è per questo che lo amo. Annuisco, lo bacio, mi alzo e, con un sorriso forzato lascio la sua stanza. Faccio attenzione a non farmi vedere da nessuno e, miracolosamente, raggiungo l'uscita in silenzio e inosservata. Appena varco il cancello, davanti a esso si ferma un camion blu con su scritto 'Traslochi'. Un nodo in gola quasi m'impedisce di respirare e con le lacrime agli occhi scappo via, verso casa mia. Corro il più velocemente possibile e il freddo che domina su Roma, sulla mia pelle in fiamme, evapora come acqua su di una piastra ardente. Arrivo dinnanzi la mia abitazione e, a causa degli occhi appannati, faccio fatica a infilare la chiave nella serratura del cancelletto. Sento lo schiocco dell'apertura e capisco che qualcuno deve averlo aperto da dentro. Alzo gli occhi e mi ritrovo mia madre davanti: è ancora in vestaglia e ha il viso sconvolto. Poi, quel gesto di cui ho bisogno: allarga le braccia nella mia direzione e io, come una bambina che ha bisogno di sentirsi al sicuro, mi ci butto. Stringo forte questa donna che, senza far domande, sa sempre cosa fare. Piango, piango senza ritegno, piango incurante di chi possa vedermi o sentirmi. Piango sperando di far uscire il dolore che mi sta uccidendo.
«Amore, andrà tutto bene» mi sussurra, mentre mi accarezza i capelli.
«Mamma, ho paura di non farcela» ammetto. Ho paura di cadere nei vecchi vizi, quelli indetti a causa del dolore che provavo: e trovo davvero ironico il fatto che la causa sia sempre lui, anche se per differenti modalità.
«Iris, tu sei forte. Ce la farai» dice lei e, staccandosi da me, mi prende per mano e mi conduce fin dentro casa, dove ad aspettarci c'è anche mio padre: anche lui ha un volto sconvolto, occhiaie e la preoccupazione che regna sul viso. È seduto sul divano e, rivolgendomi un sorriso, mi fa cenno di andargli vicino. Mi dirigo verso di lui assieme a mia madre, ci sediamo e, entrambi, mi stringono a loro. Restiamo così, abbracciati, per parecchio tempo, proprio come quando ero bambina. Non potrei chiedere di meglio.
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~I hate you, I love you~
Storie d'amoreIris e Sebastian, nemici giurati fin dai tempi dell'asilo, cercano di evitarsi in tutti i modi: eppure, in un modo o nell'altro, finiscono sempre per ritrovarsi, attaccarsi, ferirsi, distruggersi, curarsi. Lei, una ragazza forte all'apparenza, ma fr...