Gli allenamenti

514 47 42
                                    

Mi affretto a preparare il cambio per gli allenamenti di pallavolo: oggi inizierò e non vedo  l'ora di fare un po' di esercizio fisico. Sono tre giorni che non vado in palestra e non posso far a meno di vedermi ingrassata, nonostante la bilancia segni sempre quarantotto chili: gli stessi con cui fui ricoverata due anni fa. Gli stessi per i quali mi hanno definita malata. Mi guardo allo specchio e non posso far a meno di notare i miei difetti: le braccia non sono toniche, le gambe non sono abbastanza snelle, il seno è piccolo e mi pare di vedere anche il doppio mento. 'Brutta.' Questo è ciò che la mia testa continua a dirmi. Oggi non mi sento a mio agio col mio corpo, oggi lo voglio coprire: indosso una felpa nera davvero troppo grande per me, che mi arriva quasi a metà coscia. Sotto metto dei jeans non troppo aderenti, le Vans e corro giù.

«Tesoro, le mandorle sono sul tavolo» dice mia madre, mentre si affretta a indossare l'ultimo orecchino di perle, perfettamente abbinato al tailleur avana.

«No, mamma, grazie. Farò colazione a scuola» mento. Non ho intenzione di mangiare il solito cornetto, non ho intenzione d'ingurgitare il solito Twix con Claudia. Oggi non ho intenzione di assumere nessun tipo di caloria o grassi. Oggi digiunerò.

«Papà, andiamo?» domando, correndo in macchina per non sentire le continue lamentele di mia madre sulla mia alimentazione. Non ho voglia di sentire prediche riguardanti la mia vita: in fondo non credo di sbagliare a tenere alla forma fisica. Non penso di star ricadendo di nuovo nell'errore commesso qualche tempo prima. Non credo che mi stia distruggendo, di nuovo. Non credo.

«Eccomi!» esclama l'uomo, cogliendomi di sorpresa mentre entra in auto. Sobbalzo e tiro una testata al finestrino, facendomi veramente male. Il suo sguardo appare basito in un primo momento, per poi trasformarsi subito dopo in divertito.

«Papà, ma sei matto? Vuoi avvisare?» gli domando, massaggiandomi il punto dolente. Mi crescerà un bernoccolo.

«Hai ragione, tesoro. Ma noto che ultimamente sei spesso sovrappensiero» risponde mio padre, facendomi riflettere: nell'ultimo mese e mezzo, i miei pensieri sono stati occupati quasi sempre da Sebastian. Non so come sia possibile che si sia insinuato così tanto dentro di me: è nei miei pensieri, nelle parole, sulla pelle e fin dentro le ossa. È nelle canzoni che ascolto, nei paesaggi che vedo, nei luoghi in cui mi trovo. Lui è ovunque io mi trovi perché Sebastian vive dentro di me, il nero dentro il bianco come yin e yang. Sorrido a questi pensieri e capisco quanto lui sia più presente e indispensabile di quanto credo: un mese. Gli ci è voluto così poco per prendere possesso di ogni aspetto della mia vita. Un mese per cambiare il mondo che prima conoscevo e stravolgerlo a suo piacimento. Un mese per farmi capire che, in realtà, io non l'ho mai odiato, ma odiavo il fatto che lui non mi volesse. 

Infilo le cuffie dell'i-pod, scelgo la canzone e schiaccio play: 

«...stammi vicino da togliermi il fiato stanotte
ti avrei voluto sussurrare
stammi vicino quando tutti diranno di stare lontano da me
che queste braccia sono così stanche
stanche di respingerti ora
che queste braccia ti stanno aspettando ancora...»

Canto queste parole con un filo di voce, sorridendo per poi mordermi il labbro: 'Ti odio, Sebastian Smith.' Arriviamo davanti scuola, saluto mio padre e scendo dalla macchina: scorgo subito la figura di Claudia. Fuori piove e decido di indossare il cappuccio della felpa per ripararmi, le mani nelle grandi tasche e mi avvio verso la mia amica che mi aspetta con in una mano l'ombrello e nell'altra il solito sacchetto bianco contenente il cornetto. Di fianco c'è un Matteo al telefono, visibilmente furioso. Mi avvicino e saluto la mia amica:

«Buongiorno, Cla.» Lei mi guarda dalla testa ai piedi, come se avesse davanti un alieno. Noto gli occhi sgranati, la bocca leggermente schiusa e un filo di terrore le percorre gli occhi: 'Che le succede?'

~I hate you, I love you~ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora