Sebastian
Non riesco ancora a capacitarmi di come abbia potuto perdere il controllo: sono cosciente da tempo che Iris provi qualcosa per me e, al tempo stesso, so anch'io che lei mi smuove qualcosa che nessun'altra ragazza ha mai smosso. Eppure, non riesco né a tenerla vicina, né ad allontanarla. Sono sommerso in un mare di domande, in un oceano di perché.
Non capisco come mai faccio in modo e maniera di ferirla e non capisco perché, se la vedo soffrire e star male, cerco il modo di curarla. Sembra quasi... Come se fossimo la cura del nostro stesso male.
Mentre assaporavo le sue labbra, quelle stesse labbra su cui poggiai le mie un giorno di tre anni fa mentre lei dormiva, combattevo tra la razionalità e il mio istinto primordiale: quest'ultimo m'intimava di spogliarla, di farla mia. Eppure, qualcosa, mi bloccava: mi dicevo che non era giusto regalarci quell'attimo di felicità, destinato a restare unico nel suo genere.
Perché io e lei ci completiamo ma, al tempo stesso, ci distruggiamo. Non voglio vivere una storia malata, non voglio farla soffrire e, soprattutto, voglio che questo senso di appartenenza totalmente errato, che questo brusio nella testa e il cuore palpitante, smettano di essere collegati a lei.
Non è giusto: non è giusto desiderarla a tal punto da abbassare le mie difese e mostrare la mia parte di cuore. Non è giusto farle vedere che ci tengo veramente a lei. Non è giusto che sia solo lei la persona che riesce a buttar giù la mia armatura. Non è giusto che riesca a farmi dire cose che nemmeno a quella che chiamo mamma, ho mai detto.
Non è giusto perché, nel momento in cui lei verrà a sapere il mio segreto, mi abbandonerà, come hanno fatto tutti, tutti tranne Anna e James.
Mi guardo allo specchio e, nel riflesso davanti a me, vedo il demone che sono diventato: non a caso ho deciso di tatuarmi un discepolo di Satana sulla schiena. Perché io, come lui, sono un dannato.
Mi sciacquo velocemente il volto, afferro il borsone ed esco da casa mia. Passo davanti l'abitazione di Iris e penso a quanto mi manchi dormire con lei: è più di una settimana che non la vedo; a scuola non è venuta per via della frattura al naso e, io, non sono mai andato a trovarla. Fisso l'entrata della sua dimora e, dando un veloce sguardo all'orologio, deduco che a quest'ora sia a cena con i suoi genitori. Sorrido ripensando alle volte in cui, pur di evitarmi, si è strozzata. Poi, però, il sorriso muore davanti a un altro pensiero: 'O alle volte che non ha mangiato nulla.'
Stringo la cinghia del borsone e mi dirigo in palestra: 'Non capirò mai perché vuole farsi del male in quel modo. Due anni fa ho cercato di salvarla, anche se nel modo peggiore. L'ho sorpresa in bagno mentre rigettava e, senza volerlo, con tutta la rabbia che avevo in corpo, causata da quel gesto che si stava infliggendo, ho urlato dinnanzi ad alcune ragazze di smetterla di provocarsi il vomito. Da quel giorno, tutta la scuola iniziò a deriderla, rivolgendole offese come: 'bulimica' , 'anoressica del cazzo', 'malata mentale.'
E, da allora, non mi rivolse più la parola, fino a poche settimane fa. All'inizio, non capii subito quanto quel distacco da parte sua potesse farmi male, eppure, dopo un mese che non mi parlava, non partecipava alle cene, mi evitava come la peste, ho capito che, infondo, non la odiavo come pensavo. Mi ero solo auto convinto che di lei non m'importasse, che tutto quell'odio fosse vero e, invece, l'unica persona per cui provavo davvero risentimento era me stesso.
Era colpa mia se quella ragazza così delicata stava passando l'inferno, era colpa mia se stava soffrendo e, quel giorno, mi ripromisi che mai più le avrei causato dolore, mai più l'avrei ferita; anche se, questo voleva dire, ferire me stesso.
Provai a togliermela dalla testa in ogni modo: il primo fu divertirmi con quante più ragazze possibili ma, più assaporavo e usavo i corpi delle altre, più desideravo avere quello di Iris. Quando capii che non era quella la strada giusta, provai a fumare assieme a Matteo ma, ahimè, non ero proprio portato. La prima volta che mi feci una canna, stetti così male che il mio migliore amico non ebbe il coraggio di riportarmi a casa mia, perciò chiamò i miei genitori e li avvisò che sarei rimasto a dormire a casa sua. Mi girava la testa e vomitai non so quante volte. Quindi, di conseguenza, scartai anche questa opzione, assieme a quella degli alcolici. Poi, pensai che una cosa che mi sapeva distrarre c'era: la kick boxing. Da allora vado in palestra tutti i giorni. Prima di ricominciare a parlare con Iris, devo dire che sembrava un buon metodo per occupare il tempo senza chiedermi cosa stesse facendo quella carota. Mi allenavo fino allo sfinimento, combattevo di tanto in tanto e riuscivo a sfogare l'odio represso verso me stesso e verso il mio passato che, a quanto pare, era tornato a bussare alla mia porta.
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~I hate you, I love you~
RomanceIris e Sebastian, nemici giurati fin dai tempi dell'asilo, cercano di evitarsi in tutti i modi: eppure, in un modo o nell'altro, finiscono sempre per ritrovarsi, attaccarsi, ferirsi, distruggersi, curarsi. Lei, una ragazza forte all'apparenza, ma fr...