Non ignorarmi

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La Sveglia suona e un altro giorno arriva: 'Per fortuna oggi è venerdì!'

Mi alzo e, a fatica, mi trascino fuori la porta di camera mia, entrando nel bagno che si trova proprio dinnanzi alla mia stanza. Inizio a spogliarmi, lasciando la luce spenta, nella penombra dei raggi di sole che filtrano tramite grate della finestra: sfilo la maglia larga e lascio la mia schiena completamente nuda; sfilo i pantaloncini,lasciandoli cadere lungo le lunghe gambe eburnee. Afferro gli elastici degli slip che, al di sopra, hanno stampato tanti piccoli fenicotteri: 'Oh, quanto amo i fenicotteri.'

Prima di calare gli slip, sento qualcuno schiarirsi la voce da dietro di me; mi volto piano, terrorizzata: mio padre non entra mai in questo bagno e, quel suono, di certo non poteva provenire da mia madre. Quando sono abbastanza girata, vedo lui e caccio un urlo:

«Sebastian, che diamine ci fai qui?» Mi accorgo della sua espressione sorpresa e dei suoi occhi che mi guardano in modo famelico: 'Che diavolo gli prende?' La sua mascella si contrae, deglutisce, poi un brivido di freddo: 'Cazzo, sono nuda!' Mi affretto ad afferrare un asciugamano e, rossa in volta per l'imbarazzo, gli ordino di uscire dal bagno. Mi guarda negli occhi e, con un sorriso malizioso, mi regala una riverenza ed esce, lasciandomi lì, da sola, in pieno imbarazzo: 'Mi ha vista nuda, quasi nuda. Oh no, ha visto le mie imbarazzantissime mutande con i fenicotteri. O forse neanche ci ha fatto caso data la poca luce. Ma, conoscendolo, non si sarà fatto scappare neanche un particolare. E poi, cosa diamine ci fa qui? Perché era nel mio bagno?'

Dopo tutte queste domande, mi lego i capelli in una crocchia disordinata e mi accingo a entrare in doccia. L'acqua calda fa arrossare la mia pelle, ogni volta. La strofino con la spugna dove ho messo del bagnoschiuma alle more, insapono bene e sciacquo. Esco, avvolgo il corpo in un telo e torno nella mia camera dove, seduto sul letto, trovo lui:

«Devo vestirmi, esci di qui»

«Non ti chiedi perché sono qui?» domanda lui, cogliendomi di sorpresa. Mi sarei aspettata una risposta a tono da parte sua. Alza lo sguardo su me e, con il cenno del capo, annuisco.

Si alza e viene verso di me; indietreggio fino a toccare la porta con la schiena. I nostri occhi non si staccano: Sebastian è dinnanzi a me,con addosso solo un paio di pantaloncini della tuta. 'È davvero bello e, la kickbox, a quanto pare da ottimi risultati. Forse dovrei farla anch' io.'

Allunga il braccio di fianco al mio viso: lo guardo e vedo guizzare i muscoli tesi. Torno a fissarlo e, pian piano, piega il gomito, facendo sì che i nostri petti quasi si tocchino: sento il suo respiro sul viso e il mio petto inizia a muoversi su è giù in modo irregolare. Non credo di riuscire a tollerare tutta questa vicinanza.

«La dolce Teresa si è offerta di ospitarmi per i prossimi dieci giorni, in quanto i miei sono dovuti tornare in America per sbrigare delle faccende. Sei contenta, Iris?» mi domanda. Spalanco la bocca: 'Questo è un incubo... Un incubo reale.'

Col suo ghigno, mi scosta dalla porta, mi sorpassa ed esce. Prima di chiudere la porta dietro di sé, mi dice:

«Spero per te che la prima volta che lo hai fatto, non indossavi quelle mutandine con i fenicotteri. Anche se così si spiegherebbe perché sei single.»

Non mi da il tempo di ribattere che mi lascia lì, colma di rabbia. Mi affretto a indossare un jeans verde militare e una maglia a maniche corte nera, coperta in parte dal giacchetto militare con sopra un adesivo a forma di fenicottero. Lego i lunghi capelli rossi in una treccia morbida, mascara sulle lunghe ciglia, che mettono in risalto i miei occhi verdi e giù per le scale. Trovo mia madre intenta a dialogare con quel mostro:

~I hate you, I love you~ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora