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C A L V I N

Mi sono sempre sentito diverso dagli altri, obbligato a nascondere il vero me e a crescere circondato da odio e disprezzo nei miei confronti, anche quando gli altri non lo sapevano.

Abbiamo tutti quell'amico stupido che si diverte a fare battutine sugli omosessuali e che quando un ragazzo si rifiuta di andare dietro a una ragazza bella e dal corpo pieno di curve lo addita con una frase come "Cos'è? Sei gay?".
E, anche se loro non potevano saperlo, ogni volta che lo dicevano sentivo una fitta al cuore e mi facevano stare male, come se fossi qualcosa di mostruoso e disumano.

Mio padre è sempre stato omofobo ed è cresciuto in un ambiente che l'ha portato a crescere a vecchio stampo. La maggior parte delle volte usa la religione come scusa: "Dio ha creato un uomo e una donna perché potessero procreare. Se andremo avanti così, la razza umana arriverà alla sua estinzione".
Sentirlo parlare in questo modo mi ha portato a rinnegare chi sono veramente, fino ad arrivare ad odiarmi con tutto il cuore.

Poco tempo più tardi, però, sono giunto a una conclusione: non è la religione a rifiutarci, sono le persone ad usarla come scusa.

Qualche volta vorrei che mio fratello fosse ancora vivo per suggerirmi la cosa più giusta da fare e per aiutarmi ad affrontare i nostri genitori.
Era il più piccolo, ma anche il più maturo e intelligente.
Forse, se fosse ancora qui, adesso staremmo preparando il discorso da fare a mamma e papà, scegliendo le parole giuste e aiutandomi a trovare quel minimo di sicurezza di cui ho bisogno.
Ma sono sicuro che non mi avrebbe mai lasciato solo e che mi avrebbe accettato per quel che sono.

All'età di dodici anni ebbi la prima cotta per un ragazzo, o almeno la prima che accettai e che ammisi a me stesso.
Il cugino di Tasya, che ancora oggi rivedo nei lineamenti della mia migliore amica, era arrivato in città insieme ai genitori e si sarebbe fermato a Yellowknife per qualche mese.
Avevamo molte cose in comune e diventammo amici nell'arco di qualche giorno, finché anche lui non si rese conto di provare una certa attrazione nei miei confronti.

Prima di quel fatidico giorno non avevo mai conosciuto qualcuno in cui riporre la mia fiducia, perché nessuna delle persone che mi circondavano era abbastanza affidabila e l'unica era ormai morta da due anni.
Finché una chioma di capelli castani non entrò nella sua stanza e lanciò un urlo di sorpresa misto shock: Tasya.

Non so spiegare perché, ma quella ragazza mi colpì fin da subito – letteralmente, mi lanciò un cuscino contro e mi urlò di uscire dalla sua stanza.
Si creò un'amicizia che non era come le altre: lei era una forza della natura, sempre col sorriso stampato in volto e pronta a combattere qualsiasi battaglia. Sapevo che avrei potuto contare su di lei per qualsiasi cosa e inoltre lei sapeva già della mia omosessualità, perciò non avevo nulla da perdere.

Guardo l'orologio, che segna le otto di sera, e poi passo alla tavola elegantemente apparecchiata. Ho pensato a tutto: alla cena, alle candele, alla musica... Una buona atmosfera in teoria renderà migliore anche il loro umore, no? Non riesco a nascondere il mio nervosismo, che mi fa camminare avanti e indietro per tutta casa più e più volte.

Vorrei poter dire di essere una di quelle persone che combattono per i loro diritti, ma sarebbe una bugia bella e buona. Mentre per le strade c'è gente che viene picchiata, derisa e uccisa pur di non nascondere chi sono veramente, io sono sempre rimasto nell'ombra affiancato dalla paura. Non sono mai stato coraggioso e non mi sono mai fatto sentire. Preferisco vivere dietro alle altre persone, tenendo i miei giudizi per me e adeguandomi alla situazione in cui mi ritrovo.

Non sono nulla.

Sento la porta principale aprirsi e corro subito verso l'ingresso, trovando i miei genitori intenti a sbarazzarsi delle borse della spesa. «Ciao, Calvin. Scusa il ritardo, ma in cassa avevamo davanti un'anziana che metteva la spesa nelle buste a rallentatore» dice mia madre, lasciandomi un bacio sulla guancia. «La cena è già pronta?»

«Ho fatto il possibile con quello che avevamo nel frigo» rispondo, prendendole uno dei sacchetti dalle mani e portandolo in cucina.

Mentre io e mamma sistemiamo la spesa, mio padre si siede a tavola e guarda il telegiornale commentando di volta in volta le notizie che vengono annunciate.
Quando si zittisce per ascoltare la giornalista parlare penso sempre sia il momento giusto per dichiararmi, ma ogni volta vado nel panico e richiudo la bocca senza dire nulla.

«Cosa dovevi dirci?» chiede ad un certo punto, cogliendomi alla sprovvista. Sgrano gli occhi e mi volto a guardarlo, con un'aria deve essere talmente stralunata che lo spinge a continuare a parlare. «Hai detto che avresti preparato questa cena per annunciarci qualcosa. Di cosa si tratta?»

Boccheggio. «Io...»

«Si tratta di Tasya?» interviene mia madre, arrotolando gli spaghetti con la forchetta. «A proposito, come sta? Non ci hai parlato molto di lei nell'ultimo periodo.»

«Sta bene, più o meno» rispondo, tenendo lo sguardo basso. «Non la sento spesso essendo molto impegnato, ma ha degli alti e bassi ogni giorno. Ho parlato con Zacharias, uno dei suoi amici, e ha detto che di recente è peggiorata.»

«Povero angelo, non si meritava proprio di perdere la vista in quello stupido incidente» commenta.

Mio padre sospira. «Per fortuna ne sei uscito illeso, Calvin. Solo Dio sa cosa avrei fatto se ti fosse accaduto qualcosa.»

Cala un silenzio tombale, quasi imbarazzante, causato dall'argomento che fino ad oggi è sempre stato un tabù.
I miei genitori mi avrebbero potuto perdere in quell'incidente, ed essendo il loro unico figlio rimasto in vita hanno detto di non volerne più parlare, forse troppo scossi per realizzare la cosa.

«Hai presente Tatiana, la nostra vicina di casa?» chiede mia madre, dandomi una piccola gomitata per richiamare la mia attenzione. Annuisco. «Sarà una delle organizzatrici del concorso di Miss. Yellowknife. Non è pazzesco? Un concorso di bellezza e scelgono una che va in giro con i sandali e i calzini, assurdo!»

«Davvero?» chiedo, accigliato. «Non sarebbe dovuta essere Linda l'organizzatrice?»

«Sì, ma lei si occuperà della parte dei discorsi. È tradizione che le ragazze ne facciano uno prima della chiusura della sagra, per spronare i cittadini a migliorare» spiega «La aiuterà anche sua figlia, Rachele. Eravate molto amici, ai tempi. La senti più?»

Nego col capo. «Da quando è partita per l'Italia abbiamo perso i rapporti. Credevo fosse ancora là.»

«Potreste sempre fare nuovamente amicizia» mi fa l'occhiolino. «Chissà, magari potrebbe nascere qualcosa.»

Abbozzo un sorriso nervoso e annuisco. Peccato non sia il mio tipo. Rimango a guardare i miei genitori in silenzio: lei continua a parlare di Rachele, mentre mio padre ribatte dicendo che Linda non gli è mai stata simpatica.

Vorrei poter dire loro la verità, ma non trovo le parole. Ho paura non mi accettino, mi rifiutino... Non voglio vedere la delusione nei loro occhi. Non voglio essere la rovina della loro reputazione: come la prenderebbe la gente a sapere che sono gay? Avevo organizzato un discorso perfetto, ma i miei piani sono andati in fumo nel momento in cui mi hanno chiesto di Tasya. Lei si aspetta così tanto da me, eppure vuole solo il meglio.
Vuole che io sia sincero e che sia felice.
Ed è quello che farò.

Faccio un respiro profondo. «Mamma, papà: sono gay.»  

N/A

Il prossimo sarà l'ultimo capitolo della prima parte e aiuto, non sono pronta.😭

Questo capitolo dal punto di vista di Calvin è stato un po' una sorpresa, ma non è stata una scelta casuale: quando l'intera storia finirà, capirete il motivo.

Siete pronti? Voglio sentire le vostre teorie.😏😏

Ora vado a farmi una doccia - sì, un'altra, ormai ci vivo lì dentro.

Al prossimo capitolo!❤️🍉

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora