10- L'essenza di Rossi

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Avvicino le mani al fuoco scoppiettante, e nonostante il calore abbia già preso possesso di tutte le fibre del mio corpo non riesco a smettere di tremare convulsivamente.

Probabilmente è colpa dell'adrenalina che è ancora in circolo nel mio corpo in grande quantità.
Dopo quello che agli occhi degli altri è risultato un piccolo incidente essi si sono diretti tutti verso un giro di ispezione del territorio, lasciando all'accampamento solo me, Travis e Rossi.

Quest'ultimo non mi ha lasciata da sola un secondo da quando mi ha tirata fuori di forza dall'acqua, senza però aprire bocca neanche una volta.
Rimane seduto su un ceppo di legno dall'altra parte del fuoco, con le braccia strette intorno al petto tonico, la mascella contratta e gli occhi smeraldo illuminati dalla luce rossa fissi sul mio corpo.

Mi sento decisamente nuda sotto questo sguardo indagatore, nonostante tutto il mio corpo sia avvolto da una coperta di lana pesante che è stata portata in caso di emergenze come questa.
Travis, invece, sta riposando nella sua tenda.

Il solo ricordo di aver perso il controllo delle mie azioni un'altra volta mi fa andare in bestia; l'ho colpito con una gomitata all'occhio e al torace -facendogli decisamente male- mentre lui stava solo cercando di aiutarmi.

La cosa che però mi spaventa più di tutte è che non mi ricordo assolutamente niente dell'accaduto. Solo una cosa mi rimane impressa come un marchio a fuoco: la faccia di quell'uomo che rideva di me. Mi porto le mani al viso e mi strofino la pelle con vigore, come per svegliarmi da questo terribile incubo. Porto poi gli occhi in quelli della persona che ho di fronte, in modo da creare un qualsiasi tipo di contatto.

Se le spalle non si alzassero di pochi millimetri scandendo il ritmo del suo respiro penserei che sia una statua scolpita nel marmo.

«Sei andata dallo psicologo?» domanda brusco, di punto in bianco.
Mi guarda come se l'accaduto in realtà fosse colpa mia.
Non apro bocca, decisa a non dargli la risposta che lui vuole e che non ha diritto di ricevere: tutto ciò che riguarda il mio passato sono fatti miei e di nessun altro.

«Marshall» tuona secco, alzandosi in piedi.
Un brivido percorre tutta la mia spina dorsale, ed istintivamente arretro leggermente. Sono seduta anche io su un ceppo di legno, ma questo mio movimento insensato mi sbilancia, e finisco con il sedere per terra.

Se devo essere sincera, mi sento persa. È come se qualcosa avesse smosso dei piccoli segmenti della mia mente dopo il processo, distruggendo tutti i progressi che ho fatto. La faccia di quell'uomo, poi, mi ha destabilizzata completamente, facendomi perdere il contatto con la realtà. Solitamente, ciò accade quando rivivo qualcosa delle notti di New York, come era successo con Jackson quando non aveva tenuto le mani a posto, ma mai in modo così travolgente.

«Non sarei qui, tenente» ribatto con lo stesso tono acido usato da lui precedentemente, prima di alzarmi in piedi a mia volta.
È già più alto di me di parecchi centimetri, non voglio che la sua figura svetti sulla mia di più di mezzo metro se rimango seduta.

«Non mi piace, questa storia» dice torvo.
Porta una mano sotto al mento, e mi chiedo cosa stia passando in quella testa così irraggiungibile da parte di qualsiasi umano sulla faccia della terra.

«Quanti anni hai?» chiede freddo mentre interrompe il flusso di pensieri.
Si è studiato una serie di domande più corte possibili, alle quali devo dare una risposta ancora più breve, in modo da non sentirmi psicoanalizzata nonostante sia proprio ciò che sta cercando di fare.

«Ne ho compiuti diciannove ad inizio Gennaio» dico mentre il mio sguardo inizia a vagare tra gli alberi in cerca di qualcosa di più interessante di lui.

Soldier - CARTACEODove le storie prendono vita. Scoprilo ora