Caffeina e miagolii

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«No! Stupido Gobbo!» urlò Niccolò quando il gatto si distese sopra i suoi appunti, rigirandosi per cercare di ottenere le attenzioni del padrone che, sospirando, iniziò a fargli i grattini sulla pancia. Il gatto, chiamato Gobbo in "onore" della Juventus, iniziò a fare le fusa, muovendosi sempre di più e facendo cadere dal tavolo vari evidenziatori dai colori che Niccolò considerava improbabili. Facevano parte della scorta di evidenziatori color pastello che Marta gli aveva comprato dopo aver scoperto che Niccolò non li usava. Era stato un affronto per lei e lui aveva dovuto cedere alle pressioni psicologiche della ragazza.

Niccolò si alzò, certo che ormai avrebbe potuto mandare a quel paese lo studio - tanto mica era il gatto a dover affrontare l'ultimo esame il trentuno di luglio a Santa Marta. Gobbo saltò giù, tirandosi dietro vari fogli e Niccolò gettò la testa all'indietro con fare disperato mentre il gatto gli si strusciava alle gambe.

«Mi riempi di peli le ciabatte» borbottò lui dirigendosi in cucina per farsi un caffè mentre il gatto continuava a gettarsi in attacchi poco pianificati contro le sue infradito.

Come arrivò in cucina, il gatto si piazzò davanti alla ciotola, posta vicino alla porta finestra che dava sulla terrazza, iniziando a miagolare.

«Santo cielo, stupido gatto» borbottò Niccolò passandosi una mano sulla fronte. Era rimasto da solo a casa con quel gatto perennemente in cerca di cibo e coccole mentre i genitori erano alla casa al mare. Li avrebbe raggiunti per qualche giorno, prima di partire con Domenico.

Marta non aveva ritirato fuori la questione, si era limitata a sborsare il necessario per permettere loro di partire, poi, come gli altri, si era buttata a capofitto nella sessione imminente, collezionando una serie di trenta e lode che aveva festeggiato con una festa a casa sua. Niccolò e Francesco, mentre lei parlava con un'amica dell'ennesimo, eccellente voto, si erano guardati, avevano preso due lattine di birra e brindato a quel diciotto strappato al professore che si ostinava a bocciare i tre quarti degli studenti iscritti ai vari appelli. Domenico era scoppiato a ridere, unendosi al brindisi per il ventidue all'esame di Statistica. Il solo ricordo della faccia sconvolta di Marta strappò un sorriso a Niccolò che era rimasto imbambolato nel mezzo della cucina con i croccantini del gatto in mano. Si rese con orrore che li stava versando in terra e che Gobbo aveva approfittato della manna, iniziando a ripulire il pavimento dal casino combinato dal ragazzo distratto.

Niccolò si trattenne dal lanciare il gatto da parte, lasciandolo mangiare. Tanto i genitori non c'erano, non si sarebbero mai accorti che Gobbo avesse mangiato fuori pasto e così tanto. Un grammo in più o in meno non avrebbe influito sul peso del gatto – per niente longilineo.

Niccolò sospirò, rimettendo a posto la scatola: Marta riusciva a tormentarlo anche quando non era presente. Avanzò a passo deciso mentre il gatto finiva di mangiare i croccantini agitando la coda fino a raggiungere lo sportello in cui tenevano tutto il necessario per preparare il caffè.

Teresa voleva che la cucina fosse sempre in ordine e Niccolò, complici anche le minacce di ricevere un mestolo in capo, cercava di passare meno tempo possibile nel regno della madre. Ogni pentola aveva il suo posto: non l'aveva mai voluta rinnovare, se non per il forno che si era rotto all'improvviso. Pur di riaverlo in tempi brevi, l'aveva preso nero, il che stonava terribilmente con il bianco di tutti gli altri elettrodomestici e arredi. A quel punto Teresa aveva comprato una tavola nera, scatenando le ire di figlio e marito. Li aveva messi a tacere urlando che, se i colori non erano di loro gradimento, potevano anche evitare di presentarsi a cena con un netto risparmio sul costo della spesa. Nonostante il resto della casa fosse sullo stile antico, la cucina era un colpo di modernità in cui Niccolò sentiva di perdersi – tanto che da quando i genitori erano partiti lui si era messo a dieta: paste con sughi pronti o con il tonno o pizza o sushi ordinati a domicilio. Prese la moka, dosando al grammo la quantità di polvere necessaria per poi metterla sul fuoco. Il gatto saltò sul piano, iniziando a strusciarsi miagolando contro il braccio di Niccolò che gli grattò la testa. Gobbo fece le fusa, saltando poi sulla spalla del padrone e conficcando gli artigli sulla maglietta per mantenere la presa.

«Stupido gatto...» borbottò Niccolò mentre quello si sistemava per bene. Lasciò il caffè sul fuoco, sperando che non passasse in sua assenza, quando sentì il telefono di casa squillare.

«Pronto?»

«Ciao, tesoro!» esclamò Teresa dall'altra parte della chiamata. Niccolò sentiva il mare in sottofondo e invidiava profondamente i genitori: l'unico mare che aveva visto era quello della disperazione. L'unica consolazione era che quell'esame fosse l'ultimo della sessione e poi i libri li avrebbe riaperti a settembre, anche se nonostante i suoi sforzi, era rimasto indietro di tre esami per poter passare alla magistrale. Ma come aveva detto con Francesco i primi giorni del primo anno, se mai avessero preso la laurea triennale, avrebbero fatto festa fino al mattino. Il fegato non li avrebbe ringraziati, ma pazienza.

«Ciao, mamma. Tutto bene?»

«Sì, tesoro! Volevo solo sapere se la mia palla di pelo sta bene!»

"Benissimo, ha appena fatto un pasto extra!" pensò Niccolò. Annuì, anche se la madre non poteva vederlo. «Sì, mamma. Non ha distrutto nessun vaso».

«Bene, bene!» Fece una pausa in cui Niccolò sperò di poter chiudere la chiamata, ma Teresa urlò: «E le mie pentole stanno bene?» così forte che il ragazzo dovette allontanare la cornetta dall'orecchio e il gatto saltò in terra spaventato.

«Stanno bene... il caffè! Ciao, mamma ci risentiamo presto!» urlò Niccolò nella cornetta che rimise a posto con poca grazia, correndo in cucina per spegnere il fuoco onde evitare che il caffè si rovinasse.
Riempì una tazza che usava di solito a colazione: non c'era il padre a tenere d'occhio i livelli di caffeina, quindi poteva sbizzarrirsi con la moka da tre piuttosto che un misero, inutile goccio di caffè. Si trascinò in camera, lanciando solo uno sguardo al gatto appollaiato vicino a una lampada. Alzò le spalle, vedendo che si era messo a dormire: invidiava anche il gatto che non faceva altro che mangiare e dormire, gli sarebbe piaciuto essere Gobbo, ma l'idea di dover avere addosso i colori della Juve lo ripugnava fino al midollo. Tornò a sedersi alla scrivania con il tesoro di caffeina tra le mani, osservando distrattamente i fogli.

«Mhmh... che vita di merda» borbottò fra sé guardando quelli che il gatto aveva gettato per terra. Svuotò in un sorso la tazza, appoggiandola a debita distanza dai libri, poi si chinò a raccogliere le pagine che aveva strappato dal blocco degli appunti.

Avrebbe voluto essere disteso su un lettino a cuocersi al sole, a sentire la madre che lo rimproverava di non essersi messo la crema e con il padre che leggeva solo la pagina sportiva del quotidiano.

Avrebbe dato tutti i cinquanta centesimi che gli erano rimasti nel portafoglio pur di lasciare Arezzo e buttarsi sulla sabbia a bollore.

Ma l'unica cosa imminente era l'esame della settimana successiva, che già lo tormentava con incubi di vario genere sull'argomento cosa che gli rendeva difficile concentrarsi senza sentire l'ansia assalirlo. Poi, la concentrazione andava a puttane ogniqualvolta gli tornasse in mente il fatto che sarebbe partito a breve con Domenico. Anche in quel momento appoggiò la testa sul tavolo, poi si alzò, lasciandosi cadere di peso sul letto. Nascose la faccia tra le mani: anche se non l'avrebbe mai ammesso, aveva un debito verso Marta grosso quanto la sua voglia di procrastinare.


L'angolino buio e misterioso

sì, ci sono stati esami il trentuno di luglio.
sì, erano anche a Santa Marta che è l'altra sede di ingegneria insieme a quella di Viale Morgagni... solo che per raggiungerla o si fanno quindici minuti a piedi o si fa la coincidenza tram-bus. O si va in macchina, ma da alcune zone non conviene. Meh. 

Comunque quella era (ed è) la situazione in cui versa la mia scrivania durante la sessione: fogli ovunque e calcolatrice dispersa da qualche parte. 

Il nome Gobbo deriva dal fatto che a Firenze i tifosi della Juve siano chiamati Gobbi. Non prendetevela con me, juventini, se ci siete ewe è solo un modo di dire, io manco seguo il calcio.

comunque sappiate che non avrei mai creduto di divertirmi così tanto a scrivere una storia d'amore :') quante cose che si scoprono... (ma soprattutto, a voi che ve ne pare?)

Ci si vede lunedì prossimo!

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