Roma Termini - termine corsa del treno

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«Vabbè, dai. Solo un'ora e quaranta di ritardo. Credevo peggio» mormorò Niccolò non appena sentì l'annuncio che scandiva la tanto agognata prima meta. Mandò un messaggio veloce alla madre, chiedendo anche la giornaliera foto di Gobbo. Teresa aveva obbligato il figlio a farle sapere dove si trovasse - fosse mai che andasse ad allungare la lista di persone rapite e mai ritrovate - e lui, rassegnato, aveva chiesto in cambio la foto del suo micione adorato. L'avrebbe messo in valigia ben volentieri se non fosse stato per il problema del pelo che lasciava ovunque. Si alzarono entrambi, portandosi nello stretto corridoio. Il treno che passava sugli scambi faceva ondeggiare i passeggeri che si erano già alzati e alcuni, intenti a togliere le proprie cose dalla cappelliera, rischiarono di perdere l'equilibrio. Domenico stringeva con forza l'angolo del poggiatesta di un sedile, ma Niccolò, davanti a lui, sembrava farci poco caso.

Il suo telefono trillò poco dopo e Domenico sbirciò da sopra la sua spalla, cercando di capire in che posizione fosse il gatto.

«Oh, non ti preoccupare. Gobbo sembra fare yoga almeno venti volte al giorno» gli disse Niccolò, notando la sua espressione confusa nel momento in cui bloccò il telefono.

«A me sembrava posseduto».

«Dipende dai momenti. Parliamo comunque di un gatto che è peggio di Marta nel mettermi nei casini».

Domenico si passò una mano sul volto: si sentiva stanco, avrebbe voluto solo dormire per dodici ore. Ed erano solo a Roma Termini. Avrebbero avuto più di dieci ore - ritardi esclusi - di viaggio. Avrebbe voluto già essere sulla spiaggia, stravaccato su un asciugamano, ad ascoltare i pettegolezzi della cugina e con nonna Assuntina che contrabbandava panini nella borsa frigo.

Niccolò era già sul marciapiede del binario, gli sembrava piuttosto rilassato - la sua scorza da pendolare l'aveva aiutato a sopravvivere, ma di certo sarebbero arrivati entrambi pronti per la notte di Halloween. Lo aspettava appoggiato alla valigia mentre Domenico, a fatica, cercava di scendere dal treno con il proprio trolley.

«Ma scusa, eh. Voi fuorisede non dovreste tornare per buona parte dell'estate a casa?» gli chiese Niccolò stringendo la maniglia della valigia non appena Domenico gli fu davanti.

«Cosa è l'estate?» sibilò il siciliano in risposta, quasi in dialetto. «Finisco a fine luglio gli esami, a settembre ne ho due. E devo iniziare a pensare alla tesi».

Niccolò annuì. «Capito, capito. La situazione per me è la stessa. Solo che per la laurea sono più in ritardo di questo treno, sommato a quello, quello laggiù e quell'altro ancora» gli disse indicando il regionale veloce, due treni alta velocità e un regionale per Orte - tutti con un ritardo minimo di cinquanta minuti.

Domenico sospirò, guardando l'ora. «Sono venti alle sette. Il treno parte alle ventuno e trentuno. Che vuoi fare?»

«Mangiare!» rispose Niccolò con un sorriso. «E dovrei procurarmi un po' di alcol...»

«Già che ti devo presentare come il mio ragazzo, magari evita di fare la figura dell'alcolizzato».

Niccolò sorrise, avviandosi verso l'interno della stazione. La gente continuava a sciamare sul marciapiede, spesso urtando con i propri bagagli quelli di Niccolò e Domenico.

«Andiamo da McDonald o preferisci la terrazza Termi...» Niccolò non finì la frase, richiudendo immediatamente le labbra non appena vide l'espressione truce di Domenico nel sentire il nome del fast food.

«Tu, stupido campagnolo, osi proporre a me, Siciliano DOC, di andare a mangiare dal McDonald? Osa fare un'altra domanda del genere e ti lascio senza cannoli per tutto il tempo che sei con me».

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