Siamo in arrivo a: Catania Centrale (forse)

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«Dove siamo?» mugolò Niccolò quando sentì una mano di Domenico appoggiarsi sulla spalla.

«In Sicilia» rispose quello sbadigliando.

«Siamo arrivati, quindi?» chiese l'aretino rigirandosi nel letto e guardando l'altro con aria assonnata.

«Ecco... no. Siamo fermi da almeno mezz'ora».

«Che ore sono?»

«Le sei di mattina... hanno dato l'annuncio poco fa».

«Del ritardo?» chiese Niccolò sbadigliando di nuovo.

«Sì...»

L'aretino borbottò qualche insulto, aggiungendo poi che avrebbe dovuto lasciarlo dormire piuttosto che dire qualcosa che sapeva da anni. Che il treno facesse ritardo era più certo di trovare Gobbo addormentato sopra il termosifone non appena le temperature scendevano sotto i cinque gradi. Domenico si sedette sul proprio letto, piegandosi appena per sbirciare fuori: il sole stava sorgendo, illuminando la campagna che si estendeva davanti ai propri occhi. C'era qualche casa circondata da orti, i cui tetti sembravano brillare sotto la prima luce del mattino.

Domenico, sospirando, spostò la mano, lasciando che la tendina tornasse al suo posto. Era felice di essere quasi a casa, un po' meno del fatto che il treno si fosse fermato in mezzo al nulla. Prese istintivamente il telefono: era certo che nessuno sarebbe stato sveglio a quell'ora. Avrebbe comunque mandato un messaggio alla cugina, giusto per informarla che il treno sarebbe stato in ritardo.

E conoscendola, avrebbero dovuto aspettare alla stazione per qualche decina di minuti prima che arrivasse. Era certo che tutta Catania sapeva che lei, Rita, ovunque dovesse andare, arrivava sempre con almeno venti minuti di ritardo. Qualcuno scherzava sul fatto che sarebbe arrivata tardi anche al suo matrimonio, ma sapendo che dopo qualche giorno sua madre si sarebbe risposata, Domenico era certo che l'ultima ad arrivare sarebbe stata lei, non la sposa.

Tornò a distendersi sul letto, scorrendo con poca voglia la home di Instagram, piena di foto di gente in vacanza nei posti più disparati e disegni di artisti che seguiva.

Chiuse l'app - restare a guardare video di gattini e saponi tagliati lì non l'avrebbe aiutato a passare il tempo. Optò per giocare a Fruit Ninja: qualcuno lo prendeva in giro per avere ancora quel gioco sul telefono nel 2019, ma lui rispondeva sempre che era un ottimo modo per scaricare la tensione prima e dopo gli esami, soprattutto immaginando che ci fosse la faccia dei professori al posto delle angurie.

Ed era anche un ottimo modo per procrastinare lo studio.

Gettò il telefono di lato quando la luce dello schermo gli fece quasi lacrimare gli occhi: non sapeva per quanto tempo avesse giocato o per quanto il treno fosse rimasto fermo, bloccato nel punto in cui avevano dato l'annuncio.

Domenico si alzò nuovamente dal letto, lanciò una rapida occhiata all'aretino che era tornato a dormire, con un braccio penzoloni e la maglia che lasciava scoperta buona parte della pancia. Senza fare rumore, dopo aver indossato le ciabatte, uscì nel corridoio per prendere una boccata d'aria. Si era fatto troppo caldo nella cuccetta e lui non riusciva certo a dormire in quel modo. Sopportava bene il caldo, sì, ma quello era asfissiante. Si appoggiò al corrimano, guardando fuori, immerso nel silenzio.

Fino a quel momento non aveva pensato al fatto che avrebbe dovuto presentare Niccolò come il suo ragazzo.

Lo considerava carino dal primo momento in cui l'aveva visto, ma non aveva certo idea del fatto che fosse gay. Riteneva semplicemente che Niccolò, come i suoi colleghi di ingegneria, non fosse interessato a una ragazza per il semplice motivo che in quella facoltà erano un numero tendente allo zero.

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