Mail fantasma e cocktail

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«Ninì, va tutto bene?» gli chiese Marta osservando l'amico che continuava a fissare il cellulare. Niccolò annuì. «Sto solo aspettando che mi arrivi l'esito dell'esame» mormorò lui aggiornando per la decima volta la posta in arrivo. Marta roteò gli occhi. «Vedrai sarà andato bene!»

«Mh...» fece lui, ritenendo che fosse andato peggio che male. Era convinto di esser stato bocciato senza pietà per la quinta volta consecutiva – non che fosse la prima volta: con Francesco avevano toccato quota otto per passare l'esame di analisi. Tutti e tre i ragazzi si chiedevano come facesse Marta a intascare solo trenta e lode al primo appello: dopo giorni di teorie del complotto erano convinti che non fosse altro che un robot.

Marta incrociò le gambe sul lettino, inclinando appena la testa: non era la prima volta che squadrava in quel modo Niccolò e ormai lui ci aveva fatto l'abitudine al fatto che lei si imprimesse nella testa ogni singolo dettaglio – che fossero i capelli corti e scuri che aveva pettinato male anche quella mattina, che fosse il costume rosso ormai sbiadito o il modo in cui teneva le bacchette al giapponese. L'aveva preso in giro per anni e ancora lui non era stato capace di imparare.

L'aveva invitata al mare per qualche giorno, ma lui passava più tempo a fissare il cellulare piuttosto che a giocare a racchette – ottenendo il solo risultato di essere in ansia e bianco come una mozzarella.

Per poco il cellulare di Niccolò non finì nella sabbia quando, improvvisamente, sentì un qualcosa di freddo arrivargli sulla schiena: istintivamente nascose il collo tra le spalle, assumendo un'espressione talmente buffa che Marta riuscì a immortalare con un veloce scatto. Un attimo dopo, sua madre aveva iniziato a riempirgli la schiena con la crema solare nonostante le sue vive proteste. Marta era scoppiata a ridere, mentre il padre di Niccolò, sdraiato a leggere le notizie sportive sul giornale, borbottava quanto fossero noiosi i vicini di ombrellone che lasciavano liberi i figli di scorrazzare sulla spiaggia e scavare buche nella sabbia schizzandola anche sulle persone nelle vicinanze.

«Ecco, ora molla codesto telefono e vai un po' in acqua! Non ti cambierà la vita pigiare di nuovo quel tasto!» sbottò Teresa finendo di spalmargli la crema. Niccolò sospirò, appoggiando il telefono nella borsa e alzandosi di malavoglia. Marta afferrò il pallone, iniziando a correre verso l'acqua.

«L'ultimo che arriva è un bischero!» urlò lei e Niccolò maledisse tutte le volte in cui aveva rinunciato a prendere parte a una team di atletica per tenere testa a Marta. Continuava a chiedersi come facesse a eccellere in tutto, poi si ricordò della conclusione a cui erano arrivati lui e i due amici dopo mesi di studi approfonditi: non era un'umana, era un demone in incognito.

Dopo aver passato la giornata al mare, Marta e Niccolò avevano deciso di uscire, anche se sapevano benissimo che il centro di quella cittadina non era per niente vivo. Giusto qualche ristorante dai prezzi fin troppo elevati e un bar che serviva alcolici dai nomi strani sul lungomare, una farmacia aperta ventiquattr'ore su ventiquattro che Marta aveva sfruttato per comprare uno spazzolino che aveva inavvertitamente lasciato a casa; infine, la cosa più interessante, oltre al luna park nella pineta, era un locale aperto da poco vicino al porto. Quest'ultimo era diventato la loro meta per quasi tutte le sere. Marta si sedette con molta grazia, girando distrattamente la cannuccia nel bicchiere di mojito che aveva ordinato continuando a fissare Niccolò. Dal canto suo, l'aretino non faceva altro che fissare il telefono, imprecando sottovoce contro il sistema dell'università di Firenze e il professore. Sospirò, rimettendolo in tasca e bevendo un sorso del suo cuba libre.

«Allora» esordì Marta prima di bere un sorso del suo drink, stando attenta a non rovinare il rossetto. Niccolò l'aveva aspettata per due ore, continuando la sua opera con i Lego mentre Gobbo gli agitava la coda davanti alla faccia, cercando di infilarsi dentro la torre che il padrone stava costruendo e alla fine Marta era riuscita a finire di prepararsi, dando sfoggio di tutte le sue abilità di trucco – acquisite per lo più guardando video da YouTube come lei stessa ammetteva. Indossava un semplice abito rosa stretto in vita da una cintura nera e dei sandali dello stesso colore. Niccolò aveva optato per gettarsi addosso una maglietta rossa che non figurava tra quelle della cesta vicino alla lavatrice e un paio di pantaloncini corti di jeans, senza rinunciare alle sue immancabili scarpe bianche che sembravano stare insieme per miracolo. Marta l'aveva squadrato da capo a piedi, ringraziando che Niccolò fosse il suo migliore amico e non ragazzo. Non sarebbe mai uscita con uno come Niccolò che non era in grado nemmeno di concepire il concetto di cravatta. «Quando partite?»

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