Capitolo IV

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Dopo l'incontro con Neymar, la serata era andata tutto sommato decisamente bene.

Per i giorni successivi prevedevo gossip in quantità sulla presunta “coppia del momento”: il noto fuoriclasse del FC Barcellona Neymar Jr e la giovane brasiliana Jo Marques.

Ma gli sciacalli della stampa non ne erano a conoscenza, un po' perché si era trattato di una chiacchierata e un po' perché forse aspettavano degli scoop.

Pensai immediatamente che non li avrebbero mai avuti... ma mi sbagliavo.

L'indomani non incontrai né Claudette, né Roxanne, entrambe sconvolte e felici per l'accaduto, né ricevetti alcuna chiamata. Avevo controllato il mio telefono per più di cento volte, ormai; avevo alzato la suoneria al massimo, controllato sempre la batteria, ero perfino stata sempre attenta affinché le cinque tacche del campo segnate sul display rimanessero sempre cinque, ma non arrivavano telefonate. Quando ormai avevo aspettato fin troppo per quel giorno, mi coricai e cercai invano di non pensarci più.

La stessa notte rimasi sveglia fino a tardi, stesa sul mio letto, a rimuginarci su. Non avevo parlato alla mia famiglia del mio incontro, ma non lo avevo ritenuto necessario, dal momento che di “concreto” tra noi non c'era stato niente.

Il mio sonno fu interrotto alle 7.43 dalla suoneria del mio telefono. Aprii gli occhi e con il cuore a mille raggiunsi la scrivania, dove giaceva il cellulare sotto carica. Staccai velocemente il caricatore dalla presa e lessi il nome sul display.

Neymar.

“Buongiorno bellezza! Ti ho svegliata?” chiese Neymar, che, per quanto si intendeva, era in attività da alcune ore.

“Io? No, no affatto! Mi fa piacere sentirti.” L'emozione mi aveva totalmente eliminato il sonno.

“Anche a me! Ci sei tra... circa tre quarti d'ora?”

“Mhh... okay. Sì, ci sono.” Non sapevo per cosa, ma cercavo di essere quanto più disponibile possibile.

“Allora spero che ai tuoi non dispiaccia lasciarti per un po' di giorni.” continuò Neymar.

“Oh, no! Loro sono partiti per il Madagascar, torneranno fra una settimana circa. Basterà fargli un colpo di telefono... di solito mi lasciano sempre fare ciò che voglio.”

“Benissimo, prepara le valigie che si parte! Ci vediamo alle 8.30 al terminal 3 del JFK”

“Dove andiamo?”

“Questo è un segreto!”

Neymar attaccò senza che io potessi proferire parola.

Realizzai che erano le 7.45 e cominciai a prepararmi così rapidamente che dieci minuti dopo ero già pronta, e mi mancavano solo le valigie.

In verità, ne riempii solo una: per qualche giorno sarebbe bastata la mia valigia più grande, anche se non avevo idea di dove saremmo andati e della temperatura che avrei trovato.

Decisi dunque di adeguarmi a quella attuale di New York, e pensai che se fosse stato freddo, avrei comprato qualcosa lì.

Dopo aver ricevuto il permesso dai miei (dissi loro che sarei andata a Miami per una gita di pochi giorni), mi feci accompagnare al T3 dell'aeroporto di NYC da un taxi, che, per mia fortuna, sostava sotto casa.

Arrivai lì poco dopo l'orario fissato, e dopo un paio di minuti Neymar mi raggiunse. Lo salutai e salimmo su un aereo privato. Portava sulla parte anteriore le iniziali “njr” ed era nero.

L'interno, come era prevedibile, era molto diverso da quello di un aereo normale: anzitutto, quello di Neymar aveva dei divani veri e propri in pelle bianca, dei tavolini sparsi per tutta la pianta. Era un vero e proprio salotto, evidentemente non arredato da lui, che, con il suo modo di vestire, contrastava bruscamente con l'ambiente elegante.

Per tutto il viaggio fui intenta a guardare dall'oblò per riuscire a capire dove fossimo diretti, ma sotto di noi c'era solo un fitto strato di nuvole che impedivano la visuale e lasciavano al sole il compito di cuocermi il volto. 

Quando decisi che era inutile guardare fuori ed ustionarsi, abbassai il finestrino dell'oblò ed espirai, lasciando finalmente rilassare il collo e poggiare la testa indietro sul poggiatesta.

“Manca ancora poco!” disse Neymar.

Ad avvalorare il fatto c'erano i vuoti d'aria sempre più frequenti che mi avevano sempre provocato giramenti di stomaco e di testa.

A differenza mia, Neymar sembrava non importarsene granché. Era seduto sul divano di fronte al mio e mi guardava divertivo mentre esternavo polemiche sugli atterraggi degli aerei. Mi disse che lui era abituato e che dopo un certo tot di voli non lo avrei sentito più nemmeno io.

Nel frattempo i suoni si ovattavano sempre di più a causa dell'aria che dallo stato di rarefazione passava ad uno stato decisamente più “solido”.

L'incubo finì quando finalmente sentii il carrello uscire dall'aereo e, dopo pochi secondi, le ruote toccare a terra e sopportare una frenata molto brusca, che mi spinse in avanti quasi facendomi cadere.

Le procedure di sbarco brevissime (perché i passeggeri eravamo solo noi due) terminarono e feci per avviarmi al portello di sbarco, ma Neymar mi bloccò.

Aveva strategicamente fatto abbassare tutti i finestrini quando ero in preda alla pressione, in modo da impedirmi di guardare fuori.

Si avvicinò a me, mi fece voltare e mi coprì gli occhi con una mano, mentre con l'altra mi aiutava a scendere le scale del portello anteriore dell'aeromobile nero.

Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a quanto fosse delicato e piacevole il tocco della sua mano, né di bearmi di esso che Neymar, senza lasciarmi la mano, mi lasciò aprire gli occhi e mi sussurrò ad un orecchio:

“Bentornata a Rio de Janeiro”

Brasileiros (Neymar Jr Fanfiction)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora