23.

34 3 4
                                    

Lasciai tre banconote al tassista e entrai in aeroporto. Durante il tragitto ero riuscita a trovare un biglietto per Parigi. L'aereo sarebbe partito dopo un'ora e avrei avuto tutto il tempo per fare i controlli che servivano.
Per un attimo i miei occhi furono offuscati dalle lacrime; alzai lo sguardo e sbattei le palpebre per evitare di attirare l'attenzione delle persone che si trovavano accanto a me.
Brusii di ogni genere rieccheggiavano in tutto l'aeroporto ed iniziai a sentirmi spaesata. Quella sensazione l'avevo provata anche il primo giorno che misi piede a Londra. Era tutto perfetto ma caotico allo stesso tempo.

Presi un lungo respiro e mi guardai intorno: bambini troppo vivaci che correvano intorno a genitori segnati in volto dalla stanchezza, turisti sud americani vestiti in modi orribili e intravidi qualche persona in giacca e cravatta; sicuramente in viaggio per lavoro.
"Comunichiamo ai passeggeri del volo per New York, Gate 10, che la navetta per raggiungere l'aereo partirà tra dieci minuti.", sentii dire da una voce femminile che proveniva da un altoparlante. Poco dopo, intravidi delle persone correre verso sinistra.
Avendo tra le braccia una semplice cartellina e il telefono, mi sedetti e aspettai accanto ai controlli, finché la voce dell'altoparlante non avrebbe nominato il mio volo.

Era passata più o meno mezz'ora da quando avevo attraversato la porta di casa di Harry per andarmene.
Era tutto così strano. Le sue parole si ripetevano nella mia testa, il suo sguardo, la mano con cui teneva la foto che tremava.
"Io da quel giorno non ti ho mai dimenticata".
Cosa stava a significare, che Harry in qualche modo si era preso una cotta per mia sorella, quindi di me?
Non sapevo cosa pensare, nella mia testa era tutto confuso. Forse se glie l'avessi detto, tutto questo non sarebbe successo.
Non avevo neanche il tempo di ripensarci, che la rabbia prendeva possesso di me. Ma insieme alla rabbia, c'era anche il pentimento. Mi stavo pentendo di avergli urlato in faccia. Harry voleva solo delle spiegazioni, era del tutto ragionevole.

Il telefono mi vibbrò ne tasca dei jeans.
Simon.
Sbuffai e declinai la chiamata.
Spensi il telefono per evitare altre chiamate o messaggi da parte di Simon, o addirittura di Harry.
Mi guardai intorno e cercai di concentrarmi sui dettagli circostanti, mentre sentivo un aereo partire. Il rombo del motore riuscì a farmi ronzare le orecchie.
Notai dei turisti girare a zonzo nell'aeroporto, sembravano spaesati. Dai tratti del viso, sembravano indiani. Una bambina di circa quattro anni stava giocando con un elefantino di pezza mentre seguiva i passi della madre con tutta l'attentamente possibile.
La piccola aveva i capelli corti e indossava una salopette jeans, sotto a questa, una maglietta bianca. Ai piedi aveva delle ballerine completamente rosa.
Sembrava felice.
Forse sarei stata felice anch'io un giorno. Ero venuta a Londra per trovare la felicità che tanto bramavo, ma ancora non riuscivo ad esserlo e non ne capivo il motivo.
Mi balenò nella testa che forse Harry mi avrebbe resa felice in qualche modo, ma continuando così, non avremmo concluso niente.
Se gli avessi detto dall'inizio quello che provavo per lui, quello che sentivo, quali fossero le mie emozioni, forse sarebbe andata diversamente.

"Informiamo i passeggeri del volo per Parigi, che il volo è stato anticipato e che l'imbarco sta per iniziare. Gate 6. I passeggeri in compagnia di bambini e i passeggeri cui posto assegnato dal numero 10 al numero 29 sono invitati a presentarsi all'accesso riservato." sentii dall'altoparlante, ma questa volta la voce era maschile e stridula.
Controllai velocemente il biglietto e il numero del mio posto: 15. Mi alzai di scatto e mi avvicinai alla zona di imbarco prima degli altri. Passai i controlli di sicurezza deponendo il telefono, la cartellina e la cintura su una specie di vassoio rigido di metallo.

Il momento era arrivato. In un'ora e mezza sarei arrivata a Parigi e avrei rivisto la lapide di Eva.
Da sola.

***

Tornare a Parigi, sentire l'odore dello smog, il motore dei motorini, delle auto. Vedere i bar, i ristoranti... tutti i momenti della mia infanzia si ripresentarono nella mia mente.
Il taxi mi lasciò proprio davanti l'entrata del cimitero del Père-Lachaise.
Oltrepassata la soglia, un'aria gelida mi sfiorò la pelle e mi spettinò i capelli, provocandomi brividi su tutta la spina dorsale. Iniziai a camminare. Avanzavo e iniziai a guardarmi intorno. Il tempo non era dei migliori; grandi nuvole nere e minacciose avanzavano verso la mia direzione. Strinsi la cartellina tra le braccia e continuai a camminare. Oltrepassai qualche tomba circondata da muschio verde e molliccio, poi mi fermai. In lontananza una persona attirò la mia attenzione.
Alto, magro, con addosso l'abito tarale e delle scarpe da ginnastica.
Mi avvicinai, anche se per colpa degli alberi non vedevo granché, avevo riconosciuto quella persona.
«Dominique!» lo chiamai, cercando di mantenere un tono moderato, per evitare di disturbare la gente intorno a noi.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 16, 2018 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

SecretDove le storie prendono vita. Scoprilo ora