PROLOGO

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years ago

Continuai a camminare, allontanandomi dall'enorme folla di ragazze, con cui poco prima, avevo vissuto il concerto. Lasciai alle spalle le urla e i singhiozzi per l'evento appena concluso e senza guardarmi intorno attraversai la strada.
Controllai di sfuggita l'orologio e vidi che erano le dieci di sera. Ad occhio e croce ero a quindici, forse venti minuti da casa.

Accelerai il passo e nel mentre, mi concentrai sui dettagli che mi erano attorno: ero circondata, sia a destra che a sinistra, da palazzi vecchio stile e finestre poste una accanto all'altra, delineate a sua volta, da una ringhiera di ferro. Accanto ad ogni finestra c'erano dei piccoli vasi con dentro delle piante che data la distanza non riuscivo a distinguere.
Portai lo sguardo oltre gli edifici e vidi in lontananza le piccole luci della Torre Eiffel già accese; tenui da qui ma comunque bellissime.
Mi meravigliai per qualche secondo, ma poi continuai a guardare l'effetto che le luce facevano sul panorama e mi diede quella sensazione di... forse quella sensazione di spensieratezza che non sentivo da tempo, ma che allo stesso tempo mi fece tornare alla realtà; al concerto, ai video e alle foto che avevo fatto solo pochi minuti prima.
Volevo tornare indietro e riviverlo un'altra volta. Solo un'ultima volta. Perché sapevo che dopo aver attraversato la soglia di casa, quella sensazione di spensieratezza si sarebbe completamente dissolta.

Mi guardai di nuovo intorno prima di sentire il fragoroso rumore di un claxon alle mie spalle. Voltai di scatto la testa e sorprendentemente, vidi il mio amico che accostava la sua auto nera accanto al marciapiede.
Abbozzai un piccolo sorriso e mi avvicinai al veicolo.
«Cosa fai in giro a quest'ora?» mi chiese lui, sporgendo testa e gomito dal finestrino.

Incrociai le braccia. «Dovrei chiederti la stessa cosa.»
Non mi piaceva affatto il suo interesse nei miei confronti. E non sapevo neanche se definirlo amico.

«Dai bambolina, non essere così scortese...» guardò in giro prima di continuare. «hai bisogno di un passaggio?» il suo tono non mi convinceva, sembrava agitato.

«Preferisco tornare a piedi.»

«Continuando così, impiegherai un'eternità.» si tirò indietro una ciocca di capelli. «andiamo, con la macchina impiegherai molto meno. Ci vorranno al massimo dieci minuti.»

Riflettei attentamente e infatti, come aveva detto lui, avrei impiegato la metà del tempo ad arrivare a casa. Iniziai a sentire piccoli brividi di freddo percorrermi la spina dorsale. Decisi di accettare il suo invito.
Salii in macchina, allacciai la cintura di sicurezza, lui ingranò la marcia e la macchina partì.
«Questa volta hai vinto.» ribattei, e subito dopo sorrisi. Anche lui sorrise, ma non mi guardò.
Ispezionai il veicolo e notai che era stranamente pulito.
Manteneva sempre la macchina in modi orrendi; cicche di sigarette, bottiglie di birra sparse ovunque e cose del genere.
Non diedi molta importanza ai particolari e guardai fuori dal finestrino; la vita sembrava scorrere più velocemente del solito, ma sapevo che era solo un'illusione.

La macchina accostò di colpo.
Non capendo cosa stesse succedendo, guardai confusa il mio amico; teneva gli occhi puntati sulla strada e non ne capivo il motivo.
«Qualcosa non va?» gli chiesi, sporgendo la testa in avanti. Cercai di guardarlo negli occhi, ma lui voltò la testa dalla parte opposta.

«Mi dispiace bambolina...» sussurrò ripetutamente. Lo fece più di tre volte. Iniziava a farmi paura.

«Ma che dici? Perché dovrebbe dispiacerti?» girai completamente il busto verso di lui. «Vuoi spiegarmi cosa succede, o vuoi tenertelo per te come fanno i bambini di quattro anni?»

Poi si voltò verso di me. Aveva gli occhi lucidi e il labbro inferiore gli tremava. Il mio respiro accelerò. Non capivo cosa stesse succedendo, neanche una virgola.
«Sai troppo.»

***

«Mi dispiace.» sussurrò lui, mentre posava con delicatezza il mio corpo sull'asfalto gelido. «Mi hanno ordinato di farlo, sai troppo... bambolina mi dispiace.»
Continuava a scusarsi, lo ripeteva e ripeteva mille volte. Aveva ancora la pistola in mano; non sapevo esattamente di che calibro fosse, vedevo solo il suo braccio tremare. Agganciato alla canna della pistola, c'era una specie di tubo nero che la rendeva ancor più spaventosa.
Era un silenziatore.

Mi guardai il petto e vidi una piccola macchia rossa che pian piano si diffondeva sulla felpa che indossavo.
Al centro, un foro.
Il dolore si intensificava sempre di più, come il rimorso di essere entrata in quella maledetta macchina. Non sarebbe accaduto nulla di tutto questo se avessi insistito nel raggiungere casa da sola.

«P-perché?» ansimai con tutte le forse che mi restavano in corpo, non erano molte. Sentivo il mio respiro farsi sempre più debole. Il petto mi faceva male. L'odore dolciastro del sangue che sentivo nelle narici era disgustoso. Riuscivo a sentire il metallo del proiettile nel mio petto. La mia felpa era totalmente impregnata di sangue viscido e nauseante.
Non lo sopportavo, il dolore era troppo forte. Sentivo i battiti del mio cuore che rallentavano e lui era ancora davanti a me che mi accarezzava i capelli, come se per lui quello che stava facendo fosse la normalità più assoluta.
«C-cosa aspetti a scappare? Qualcun...»

«Resterò qui finché non avrai esalato l'ultimo respiro.» mi guardò negli occhi.
Sapevo perché lo stava facendo.
Lui ricordava benissimo cosa c'era stato tra noi qualche mese prima e lo ricordavo anch'io; era stato solo un bacio, anche se lui era ubriaco - e forse un po' anch'io -, era riuscito a farmi sentire libera. Libera da tutti i problemi che mi circondavano, libera dalla mia famiglia... libera da tutto.

Chiusi gli occhi, e in quel momento, mi lasciai andare.

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