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Sleep on the floor - The Lumineers

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Ottobre 2006 (cinque anni prima) - Irlanda​

Avevo sempre immaginato il mondo come una distesa di verde infestata dagli uomini, che la calpestano senza nemmeno ringraziarla per aver permesso loro di camminare, di parlare e di vivere. Eppure, osservandolo da quella casetta sull'albero costruita nella casa dei vicini, la visione cambiava radicalmente. Mi sentivo come un'osservatrice esterna, che guardava il mondo da un'angolatura distaccata da tutto il resto e mi piaceva. Ero libera di pensare ciò che volevo senza sentirmi giudicata e senza ricevere domande indiscrete da chiunque notasse la mia espressione persa nel vuoto della contemplazione.

Davanti ai miei occhi vi era una stradina silenziosa, immersa nel verde acceso dei parchi irlandesi. Quella in cui abitavo era una bella zona, ma era anche circondata da un alone di tristezza che spesso mi soffocava. Ed era strano, perché a me piaceva la tristezza.

E' un sentimento che quasi tutti gli esseri umani provano almeno una volta nella loro vita e spesso viene disprezzato. Ecco perché io lo trovavo interessante. Anche la gioia, certo, ma la tristezza era diversa. Più sottile.

Si può essere tristi perché il telefono appena acquistato è caduto e ora non funziona più bene, ma sarebbe più accurato allora dire che si è dispiaciuti per aver sprecato soldi inutilmente; o si può essere tristi a tal punto da raggiungere la disperazione, che è un livello che supera la tristezza.

La tristezza è malinconica ed è grigia, un po' come il cielo quando è inverno, eppure quella tristezza, in quella stradina, era ben differente. Era buia, non grigia, e rispecchiava la solitudine in una giornata soleggiata.

Dall'altro lato della strada vi era una panchina di legno. Mi divertivo a osservare le persone che, non appena la vedevano, vi ci sedevano per trovare un momento di riposo durante una giornata stancante. Avevo sempre immaginato il primo incontro di due anime gemelle, di due persone che lì si sarebbero conosciute e che lì avrebbero dato inizio a una lunga vita da vivere e da costruire insieme.

Sebbene non fossi mai stata una ragazza che si emoziona con qualsiasi forma di romanticismo, sognare cose del genere mi rilasciava una bella sensazione.

Non appena ebbi finito i compiti, mi ritirai in casa e mi misi a leggere un libro su un divano che poteva ospitare dieci persone; ma non era mai successo, perché in quella casa non c'erano mai state dieci persone.

Dopo me ne andai a dormire e ritrovai una banconota di venti euro sul cuscino. Sospirai e la riposi assieme a tutte le altre nel vecchio portagioie che un tempo apparteneva a mia madre. E infine sognai i suoi occhi sorridermi e la sua dolce voce augurarmi la buonanotte.

***

In mattinata c'era un sole infuocato ed io non volevo andare a scuola, perché era irritante dover incontrare quei professori che non facevano altro che far sprofondare la tua autostima sotto terra.

Il pullman scolastico arrivò puntualmente alle otto e fui abbastanza svelta da scendere le due rampe di scale e uscire di casa, mentre notavo che il parcheggio esterno era già senza la Lamborghini nera. Mi sedetti al solito posto, in prima fila, al fianco di quel ragazzino moretto che mi sorrideva sempre. Era gentile e non idiota e viscido come gli altri tredicenni o quattordicenni presenti su quella vettura.

-Ciao Paige!- disse, mettendo in mostra l'apparecchio argentato.

Io gli sorrisi, ma continuai a stare per i fatti miei, pensando a come avesse scoperto il mio nome.

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