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Osservai Liam leggere ancora una volta la lettera, bisbigliando rapidamente una parola dietro l'altra con lo sguardo sbarrato e la testa accucciata sul foglio. Poco dopo si distese sullo schienale e si portò le mani davanti agli occhi.

-Cazzo...- sussurrò, scuotendo la testa.

Rimasi sulla sedia di fronte alla sua, taciturna e con lo sguardo vuoto, attendendo soltanto che facesse qualche commento o che si sfogasse, come io mi ero sfogata il giorno prima.

Lo avevo invitato a casa mia e gli avevo mostrato la lettera. Aveva esitato un po' prima di prenderla, ma alla fine l'aveva letta, mormorando ogni tanto un "non ci credo".

Si alzò e cominciò a girovagare per la casa con una mano fra i capelli e la lettera nell'altra, che svolazzava trascinata.

-Cazzo!- quasi gridò e si accucciò sulle ginocchia.

Iniziò a piangere, singhiozzando e respirando in modo strano.

-Non è possibile...- riprese e ricominciò a leggere la lettera, forse sperando che quelle parole svanissero magicamente.

Io a malapena riuscii a trattenere le mie lacrime: vederlo in quelle condizioni, a piangere disperatamente sul pavimento, mi faceva venire una sfrenata voglia d'accompagnarlo, di accucciarmi al suo fianco, di scaricare tutta la rabbia e tutta la frustrazione.

Ma non piansi. Piuttosto, mi accorsi che qualcosa non andava: il suo respiro si stava facendo spaventosamente più pesante. Si portò una mano sul petto e si sedette a terra con gli occhi pieni di lacrime e il volto completamente rosso. Mi alzai di colpo dalla sedia e gli andai vicino: stava avendo un attacco di panico.

-Liam. Liam, guardami,- ripetei, prendendogli il mento per indirizzare il suo viso verso il mio.

Scosse più volte la testa e continuò a muoversi e a cercare di respirare fra il pianto.

-Okay...- ripresi, posizionandomi di fronte a lui in ginocchio, -Allora chiudi gli occhi e stringimi la mano. Concentrati soltanto sulla tua mano che stringe la mia, il più forte che puoi.-

Fece come gli stavo indicando e mi prese con vigore la mano, mentre chiudeva gli occhi e provava con tutto se stesso a smettere di piangere. Ma no, continuava, come se non riuscisse a fare altrimenti. Così decisi di fargli poggiare la schiena contro il muro e gli dissi: -Pensa a Zayn. Dov'è ora? E' al lavoro?-

Mi guardò e richiuse gli occhi, poi strinse la mia mano con una forza tale da provocarmi un dolore sempre più intollerabile. Cercai comunque di ignorarlo e di concentrarmi esclusivamente sul suo respiro.

-Chiudi gli occhi e pensa a lui mentre è nel suo negozio. Sai, no? Mentre si fuma una sigaretta appoggiato alla finestra, oppure mentre indica la stanza a dei nuovi ragazzi che sono andati lì per suonare. Mentre scrive sulla sua scrivania, mentre sorseggia una bottiglia di birra...-

Lentamente notai come il suo respiro si regolarizzasse e come riuscisse a poco a poco a mantenerlo sotto controllo, inspirando profondamente ed espirando in modo normale. La presa sulla mia mano si allentò e, dopo qualche altro secondo, riaprì gli occhi e mi guardò. Mi alzai e andai in cucina per riempire un bicchiere d'acqua e gliel'offrii.

-Non bere subito. Bevi solo quando avrai ripreso fiato.-

Si raddrizzò e prese il bicchiere, intanto che il suo viso riacquistava un colore meno intenso.

-Grazie Paige,- disse con il respiro affannato. -Come facevi a sapere esattamente cosa fare?-

-Be', durante i primi tempi in cui ero andata a vivere da mio padre, la ferita della morte di mia madre era ancora fresca e spesso mi prendevano degli attacchi di panico. Poi ho imparato a controllarli e a prevenirli, fino a farli smettere del tutto. A me aiutava anche alzare le braccia in aria e cantare.-

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