II parte - 30

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Forse avrei dovuto essere più forte. Avrei dovuto farlo per le persone che amavo, non per me stessa. Se non fosse contato per loro, avrei comunque dovuto farlo per la loro reminiscenza, per ciò che mi avevano dato. 

Avevo compreso che quando si accetta l'arresa, tutto acquista semplicità e la stanchezza si dissolve in indifferenza, oppure inizia a fare parte di te senza che tu ci faccia caso.

Ecco cosa provavo in quel momento: nulla.

Non provavo nulla, ero soltanto indifferente alle mie emozioni e al passato; perché, a dir la verità, non ero mai stata forte come avevo creduto, e finalmente lo avevo capito. Tentare non era stato abbastanza. 

Semplicemente, non era accaduto.

Ed io questo lo avevo accettato.

***

Quando scesi dall'aereo percepii una sensazione estranea nello stomaco. Era come se non riconoscessi più quella terra, quel verde, quell'aria frizzantina e fredda. Eppure non era cambiato nulla dal giorno in cui l'avevo lasciata.

Nulla, eccetto me stessa.

Dal momento in cui avevo lasciato Londra, un malessere aveva attanagliato la mia pancia. Erano le emozioni che mi corrodevano l'interno, graffiando e martoriando.

Nostalgia, indecisione, confusione, paura.

Avevo osservato come l'aereo si staccava dal terreno londinese e si alzava in volo verso il sole e verso le nuvole. Avevo detto addio a quella città, avevo salutato Liam, la signora Meredith, Megan e tutto ciò che aveva lasciato un segno su quel capitolo ormai terminato.

Il viaggio durò poco e fu difficile lottare contro i pensieri e il mal di pancia che mi tormentavano instancabilmente; e fu strano ammettere a me stessa che la parte peggiore di tutto questo si presentò nel momento in cui toccai terra con i miei stessi piedi.

Percorsi l'aeroporto e mi immischiai nella folla che faceva avanti e indietro, chi per lasciare, chi per tornare. Io rientravo nel gruppo di chi stava tornando, ma mi sentivo fuori posto anche lì: tutti s'abbracciavano ed erano felici di essere finalmente tornati a casa, dalla loro famiglia, dai loro amici.

Io, quando vidi fra la gente quel ragazzo biondo salutarmi e venirmi incontro, non venni catturata da un sorriso solare come gli altri: era un sorriso un po' felice e un po' malinconico.

Mi si avvicinò con un abito professionale che gli dava un atteggiamento sostenuto e che stonava terribilmente con il suo sguardo dolce e da ragazzino.

-Quanto mi sei mancata, Paige,- sussurrò vicino al mio orecchio abbracciandomi e affondando il viso nel mio collo.

Lo strinsi forte e trattenni le lacrime perché, seppur anch'io avessi sentito la sua mancanza, era una mancanza con cui avevo imparato a convivere e vederla distrutta così improvvisamente era una nuova visione alla quale dovevo abituarmi. 

Il viaggio in macchina fu anche più strano dell'arrivo immediato. Vedere dal finestrino le strade che anni prima  ero solita attraversare regolarmente fu devastante. Scorsi perfino la casetta sull'albero, mia amica e compagna di riflessioni, pensieri, pomeriggi a suonare, canzoni nuove ed emozioni da sfogare. La salutai con un mezzo sorriso e le dissi segretamente di come i miei progetti fossero caduti in rovina in così poco tempo e di come la speranza di poter riuscire fosse stata risucchiata dentro lo stesso buco nero che li aveva infranti.

Mi chiesi che verso avrebbe preso la mia vita di lì in poi, mi chiesi se sarei tornata a essere la ragazza che ero un tempo e se avrei dimenticato quei due anni pieni di cambiamenti.

Ma no, non li avrei dimenticati.

Li avrei portati nel cuore come un tatuaggio permanente.

-

A/N: È sia l'epilogo della prima parte che il prologo della seconda, perciò... benvenuti nella seconda parte di Brave!

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