Capitolo 1

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«Alán, tesoro hai finito?»bevo del caffè dalla mia elegante tazza di porcellana bianca prima di infilarla nel lavabo certa che Antoniette, al suo arrivo, l'avrebbe lavata e sistemata al suo posto.
«si mamma, sto mettendo le scarpe» sorrido, anche se un po stanca a dire la verità.
Non mi piace molto che mio figlio debba dividere la sua quotidianità tra casa mia e quella di suo padre ma, allo stesso tempo non posso negargli l'opportunità di creare un legame con Pierre perché sarebbe una mancanza di maturità che a trentacinque anni non posso permettermi.
«eccomi»lo vidi scendere dalle scale del piano superiore, con quella valigia degli anni Avangers,comprata qualche mese fa.
Controllo l'orologio alla parete e mi ritengo fortunata ad essere in perfetto orario con quelli che sono i miei impegni lavorativi.
«mi raccomando, comportati bene e chiamami ogni sera prima di andare a letto» mi chino a baciargli i capelli color del grano, mentre quel paio di occhi color marrone,cosi uguali ai miei,mi salutano sorridenti.
«certo mamma»lascio che mi baci morbidamente una guancia e per farglielo fare devo chinarmi su di lui.
Lo stringo ancora un po mentre suo padre lo attende fuori, davanti la porta.
«fa tutti i compiti»gli ricordo ancora
e non pensare solo al calcio» continuo, sapendo bene quanto invece sia appassiona dello sport,soprattutto il calcio italiano.
Lo vedo uscir via dalla porta di casa,mentre la voce di Pierre lo accoglie, togliendogli dalle mani la valigia e prendendola probabilmente al posto suo.
Sospiro.
Questa casa,anche questa settimana apparirà vuota ma in compenso posso trovare un po' di tempo per me stessa.
Mi controllo allo specchio all'ingresso, sistemando bene il mio completo gonna e camicia di Burberry e pizzicandomi le guance per renderle più rosee.
Mi guardo attentamente, contenta del mio aspetto e sorrido...posso ancora sperare di trovare l'uomo giusto nella mia vita.
Pierre mi era sembrato lo fosse, questo perché condividevamo molte passioni, la moda prima di tutto ; avevo solamente ventitré anni quando lo conobbi per la prima volta, ero entrata dentro la sua impeccabile macchina di moda: la Yves Saint Laurent a Parigi, in Rue de Cambrai 11. Mi ero guardata attorno meravigliata, mentre le infinite ed eleganti creazioni mi osservavano spingendomi a scrivere di loro. Così, la mia testa unicamente rivolta ai tessuti, ai colori, alla magia della moda che  mi aveva fatto camminare, allontanandomi dal mio gruppo di colleghi universitari con cui ero andata a far visita ed ero finita di spalle davanti ad un massiccio corpo, le cui mani si erano posate sulle mie spalle, allora coperte da un semplice maglioncino di lana italiana, rosso. Pierre mi aveva sorriso, forse incuriosito dalla mia totale dedizione verso quelle che erano il frutto di un lavoro immane. Non fu quello il momento in cui io e Pierre iniziammo a frequentarci, ma fu il momento in cui capii realmente cosa volevo dalla mia vita.
Cosa era successo dopo?
Non avevo altro tempo a disposizione per perdermi tra i ricordi.
Infilai i miei amatissimi tacchi neri,appoggiandomi all'elegante lastra di marmo bianco, scarpe rigorosamente con tacco a spillo e poi indossai il cappotto stringendolo in vita.
Controllai che avessi preso tutto, dalla borsa nella quale avevo infilato le chiavi della macchina alla ventiquattr'ore dove vi custodivo alcuni documenti importantissimi, interviste e bozzetti per le copertine ,lavoro a cui mi dedicavo anche oltre il normale orario lavorativo.
Quando attesi che l'ascensore arrivasse al quinto piano, dall'appartamento vicino al mio  uscì un ragazzo che guardai per pochi attimi prima che ci  fosse del totale silenzio ,imbarazzante per entrambi che rimanemmo lì senza proferir parola.
Non l'avevo mai visto prima d'ora e onestamente non sembrava affatto un francese.
La pelle era decisamente più scura della nostra e si stava sistemando un maglione che era evidentemente stato infilato nella fretta.
Usciva dalla porta di casa di Varonique, una giovane studentessa ventiquattrenne che se non ricordavo male frequentava qualche accademia di arte , non l'avevo mai capito realmente.
Abitava  lì in affitto da tantissimo tempo,circa quattro anni ormai  e il padre, che avevo incontrato qualche volta in ascensore, era un noto imprenditore edile che permetteva alla sua giovane bambina di prendersela con calma.
Certe fortune,potevano capitare solo ad alcuni.
Entrò per primo nell'ascensore, sfilando dal suo paio di jeans un cellulare simile al mio con la quale iniziò a smanettare convulsamente.
Io, semplicemente entrai dentro dopo di lui e attesi che le porte si chiudessero e che raggiungessi il piano inferiore nel minor tempo possibile.
I cafoni, non mi erano mai piaciuti.
«ho la febbre, mister...salto gli allenamenti» parlò in italiano, con un accento decisamente strano come se a momenti potesse considerarsi quasi un dialetto di paese.
Era per me già difficile comprendere una lingua che non fosse la mia, ma addirittura provare a capirne il significato mi sembrò impossibile.
Il suono dell'ascensore mi distrasse e ritornai alla realtà,uscendo dall'ascensore con la tipica eleganza che mi aveva sempre caratterizzata.
Prima che uscissi fuori dal palazzo cercai gli occhiali da sole dalla borsa per indossarli, mentre per poco non  per terra per la furia con qui quel ragazzino si portò fuori.
Dove andava cosi di fretta?
«fa attenzione!»gli dissi innervosita ma non credevo nemmeno mi avesse sentita,talmente correva di fretta.
Probabilmente a lezione, ma era in notevole ritardo da già un'ora e mezza, considerato che erano le nove e trenta del mattino e ai tempi in cui frequentavo l'università le lezioni iniziavano alle otto del mattino,con una puntualità svizzera.
Quando raggiunsi la mia meravigliosa macchina, la aprii con la chiave automatica e mi ci infilai dentro, riportando al caldo le mie gambe, evitando che rimanessero esposte al freddo di Febbraio che qui a Parigi, quasi bruciava la pelle.
«pronto Claudiette» risposi alla chiamata della mia segretaria mentre adagiavo tutte le mie cose nel sedile del .
«mi sono messa in macchina adesso» le dissi sentendola parlare frettolosamente come se fosse preoccupata da qualcosa.
«non agitarti e aspettami; appena arrivo vedo cosa c'è da sistemare» provai a rassicurarla.
Nonostante lavorasse per me da ormai sette anni, praticamente da quando avevo firmato il mio contratto a tempo indeterminato,diventando la testa,il capo di Vogue, lei era immediatamente diventata la mia segretaria personale e ci avevo fatto abitudine alle sue chiamate pregne di preoccupazione anche per una banalità.
Certo, se mi fossi guardata attorno avrei potuto avere qualcuna che non iperventilasse così facilmente per ogni minima cosa che andasse storta , e nel mio mondo molte, forse troppe, cose andavano storte e a me toccava l'arduo compito di rimetterle a posto per quanto potessi ma, Claudiette era diventata madre da giovane e l'avevo presa con me assicurandole che tutto sarebbe andato bene, sia per lei che per la sua bambina, Clarisse che ormai aveva cinque anni .
In questa mattina, iniziata già molto freneticamente,avrei decisamente preferito fermarmi nella mia amata caffetteria Beccuci Bar a prendere un caffe italiano e una spremuta di arance rosse,rimedio naturale per eventuali raffreddori che, puntualmente bussavano a casa mia giusto prima che terminasse l'inverno ma, non potevo lasciare che Claudiette rimanesse li con le mani in mano, mentre chissà quante altre volte quel cellulare avrebbe squillato dentro la mia borsa.
Avevo lavorato, soprattutto dopo il divorzio mi ero totalmente dedicata alla mia carriera, portando quanto più in alto il mio nome e la mia reputazione.
Non potevo di certo lasciare che un matrimonio andato a rotoli, sfasciasse poi tutti i sacrifici che avevo fatto da giovane ragazza e cosi, se gli oroscopi e gli astri avevano scelto per me fortuna a lavoro e non in amore, beh...mi sarei data da fare.
Ci impiegai quasi quindici minuti abbondanti per raggiungere il parcheggio privato, in 33 Rue du Faubourg Saint-Honoré .
Come ogni giorno, la quantità enorme di turisti che riempivano i marciapiedi, fermandosi a guardare le vetrine di alta moda, rallentarono il mio passo, facendomi ritardare ancora.
«buongiorno, scusate il ritardo» salutai le gentilissime collaboratrici con cui condividevo la stragrande maggioranza delle ore della mia giornata poi, passai la chiamata al centralino dove Claudiette si affrettò a rispondere ed io, invece, mi dedicai ai due uomini seduti nei divanetti di pelle color panna.
«scusi, lei è Charlotte Dubois?»mi chiesero ed io gli strinsi la mano
«in persona» risposi portando inevitabilmente il mio sguardo sui loro capi d'abbigliamento.
La mia deformazione professionale ormai mi costringeva, inconsapevolmente, a scannerizzare le persone e i loro vestiti della quale molte volte erano proprio il loro biglietto da visita.
«avete un appuntamento?» lo chiesi perché generalmente ricevevo severamente per appuntamento, altrimenti avrei smesso di avere una vita privata e non volevo assolutamente perché il giovedì sera avevo la mia lezione di tennis e persino mio figlio mi seguiva, in quelle due settimane del mese in cui viveva con me e non con suo padre.
«no» rispose il più robusto dei due.
Mi guardai un po intorno, dopo di che aprii definitivamente la porta del mio studio e lasciai che si accomodassero per prima.
La mia disponibilità a lavoro era la tipica arma a doppio taglio e purtroppo nonostante più volte ricordassi a me stessa di non scendere mai a patti quando si tratta di tempo da dedicare a me stessa, anche semplicemente per un appuntamento per la manicure, alla fine poi finivo per uscire da questo impero alle dieci della sera, quasi tutti i giorni della settimana.
Spesso il mio lavoro mi aveva tenuta lontana da casa e dai miei affetti e non mi ero mai realmente posta il problema che qualcuno dei miei familiari magari potesse aspettarsi qualcosa da me.
Come ad esempio una semplice chiamata per le feste solenni, un piccolo regalo per i compleanni o la certezza che il mio posto a tavola, durante il cenone di capodanno ,fosse pieno della mia figura.
No, io avevo e continuavo a dare tutta me stessa per il mio lavoro e per la mia carriera, non sapendo ritagliare per me dello spazio utile a tenermi fuori dalle mura di questo imponente edificio, da questo studio che per me era comunque casa.
-in cosa posso esservi utile?- si guardarono tra di loro prima che uno dei due si decidesse a schiarirsi la voce e a parlare.
I miei corsi di aggiornamento, frequentati con assiduità,l'attenzione ai dettagli,la cura nelle parole e la passione sconfinata per la moda, avevano fatto si che il mio nome fosse stampato su pile e pile di riviste di moda, la mia per prima e questo, unito anche alla voglia dirompente che ho dentro di poter dare alle persone la possibilità di sentirsi bene indossando anche solo un semplice paio di jeans, mi ha portato inevitabilmente difronte situazioni a volte complicate.
Il giornalismo e la moda hanno da sempre avuto un ruolo di prima linea nella mia vita, a partire da quando avevo poco meno di cinque anni sino ad oggi .
«solo lei può aiutarci» in genere quando la gente iniziava così, non sapevo bene il perché ma finivo sempre per trovarmi difronte una montagna enorme di problemi a cui non dovevo minimamente dare udienza ma che in un modo o nell'altro finivano sempre per sobbarcarsi ai miei, che da loro erano già anche troppi.
Mi passarono quello che desumei fosse un album di una collezione primavera estate disegnata da qualcuno e afferrai quel cumulo indefinito di foto, pronta a dargli un veloce sguardo giusto per inquadrare l'artista.
«ci hanno mandato da lei» con le mani interruppi l'inizio di quel discorso, totalmente affascinata da alcune foto che mi finirono sotto gli occhi.
Le tenni rigide con le braccia per aria, per far si che la luce del sole mista a quella fredda dell'elegante lampadario del mio studio, mettesse in risalto ciò che mi appariva davanti.
Ero sempre stata la "donna delle sfide" e mai nessuna era stata sufficientemente in grado di far si che ne avessi paura, più che altro provavo solo del timore reverenziale utile a farmi vivere le esperienze con un certo brivido a percorrermi la schiena .
Mi alzai da quella poltrona di pelle e chiusi gli occhi sentendo già le mie sinapsi lavorare freneticamente; percepivo il rumore dei macchinari da stampa, l'odore tipico di inchiostro misto a quello della carta e infine sentii il freddo agghiacciante sparire completamente dalle mie mani e concentrarsi lungo tutta la mia spina dorsale.
«ho bisogno di vederli dal vivo» furono le uniche parole che riuscii a proferire mentre raccoglievo velocemente il resto delle foto che erano ancora scompostamente sparse sul tavolo della mia scrivania.
Non attesi altro tempo, tempo che non c'era ed io e poi io e il tempo era ormai risaputo che fossimo ottimi compagni di sfide .
Percorsi quel lungo corridoio dell'ultimo piano in cui vi era il mio studio, quasi correndo verso quello del mio miglior giornalista che vi fosse in piazza e fui assai lesta a spogliarmi del mio cappotto e lasciarlo su un divanetto ,lì dove in genere le mie segretarie fanno accomodare i miei clienti.
Mi raccolsi i capelli con una matita ,lasciando il mio collo libero e nudo, poi bussai alla porta e attesi che mi rispondesse per farmi entrare dentro.
«Char, è successo qualcosa?» annui mentre Francois indicò la carpetta che tenevo tra le mani chiudendo con l'altra  la porta alle mie spalle.
Si alzò da dietro la scrivania, appoggiandosi poi ad essa nel momento esatto in cui mi sedetti nella poltrona di pelle posta proprio lì difronte.
Accavallai le mie gambe,facilitata dai miei amati tacchi e poggiai la cartella su di esse, sapendo quanto stessi facendo crescere la sua curiosità.
«allora?» il suo tono di voce mi fece capire che avevo creato in lui dell'attesa e così gli passai una foto che ritraeva un vestito, quello che mi era venuto immediatamente all'occhio.
Lo osservò con quella solita dedizione che mi aveva spinta fin da subito a volerlo al mio fianco, senza perdere ancora tempo a fare colloqui.
«Maison Valentino?» mi chiese e lì sorrisi compiaciuta della mia intuizione, amica fedele da sempre.
«Luna» gli risposi, scatenando un'espressione confusa sul suo volto.
«Luna?» difatti mi chiede
«ricordi la storia degli artisti emergenti?» annui sapendo del progetto che avevo nel cassetto.
«vuoi davvero avviarlo?» lo vidi afferrare tutte le altre foto da sopra le mie mani, spostarsi verso le vetrate e iniziare ad osservarle sotto la luce naturale del sole.
«non lo so, ma lei è ciò che mi spinge a desiderare di pescarlo da li e avviarlo » mi affiancai al suo corpo con l'intento di impossessarmi nuovamente delle foto ma, Francois era allo stesso modo interessato a ciò che vedeva.
«se la butti in questo mondo , potresti scatenare una discussione infinita e le antipatie di molti» annui totalmente consapevole ma, quando si comanda non si può di certo pretendere di stare simpatici a tutti.
«lo so» risposi semplicemente mentre finalmente riebbi indietro quelle foto.
«vuoi confrontarti con Marc?» mi sarebbe piaciuto se solo non fosse da sempre stato un gran testa di cazzo super montato ed assolutamente maschilista.
Non l'aveva mai realmente digerito il mio posto da direttore della più ambita rivista di moda in tutto il mondo e ancora meno, gli ero stata simpatica, quando gli avevo soffiato da sotto quell'importante naso che si portava dietro, tutti quei milioni di dollari per il mio progetto "indietro nella moda".
«era una bella giornata, prima che tu mi citassi quel gran testa di cazzo» chiusi la cartella ,mentre le fotografie sbatterono tra di loro e le pagine dell'album poi  controllai che il mio orologio da polso funzionasse alla perfezione.
«buona giornata mon cheri» mi baciò una guancia e andò incontro a sua moglie Angeline che mi salutava contenta da fuori il suo ufficio. Pensai ancora per qualche minuto, in piedi di fronte a quelle vetrate, mentre il traffico parigino, scorreva ignaro e frenetico.
La decisione giusta sarebbe arrivata, speravo non troppo tardi. Afferrai una penna dal suo elegante portapenne di Dior, regalo della moglie, e su un post-it vi scrissi semplicemente di raggiungermi nel mio studio prima di lasciare l'edificio, stasera.
«dove sono i miei ragazzi?» chiesi informazioni a Marguerite che si guardò intorno, cercando anche lei di capire perché i miei stagisti al terzo anno non fossero ancora arrivati.
Non riservavo un particolare affetto verso i ritardatari, meno che mai verso quelli che inevitabilmente avrebbero ritardato anche me.
«chiamali, l'ultimo che arriva  va in stamperia per tutto il mese» cosi,  l'avevo salutata lasciandole la solita caramella al caffé che amava tanto e che era ormai diventata un simbolo della nostra riconoscenza reciproca.
«dove la trovano Charlotte? » mi chiese mentre già mi stavo avviando verso il terzo piano, nel settore grafiche.
«sto andando alla grafica» risposi semplicemente.
Il mensile di Marzo  era ancora lontano dall'essere perfetto come lo pretendevo e così , dato che il mercoledì ricevevo solo dopo l'ora di pranzo ,mi dedicai all'immagine sperando di trovarvi già  Michelle e Vincent, i ragazzi il cui istinto era stato senza alcun dubbio la qualità che mi aveva spinto ad assumerli. Quando si aprirono le porte dell'ascensore, venni sbalzata in quella parte dell'edificio che meno frequentavo ma che sapevo avesse dentro le migliori persone che potessi desiderare. La mia contentezza si accrebbe nel momento esatto in cui vidi Michelle in piedi, con la sua solita agenda di pelle nera tra le mani , che scriveva freneticamente, appuntandosi tutti quei dettagli che sapeva mi sarebbero piaciuti.
«bonjour» salutai genericamente, attirando l'attenzione.
«bonjour Char» Michelle si avvicinò per salutarmi con un bacio sulla guancia, mentre strinsi la mano al resto dei miei collaboratori.
«come procede?»dagli schermi dei computers osservai ciò a cui stavano lavorando, mi avvicinai sicura, andando alle spalle di qualcuno il cui nome non lo ricordavo, gli sorrisi e feci molta attenzione alle graduazioni di colori su cui stava pigiando con il cursore.
«più giallo, per favore» cliccò immediatamente e con le dita delle mie mani, curate e smaltate sempre di nero o di rosso , indicai i punti in cui avrei voluto vedere maggiore quantità di giallo.
«no?» gli chiesi e mi sorrise
«merci, chef» gli strinsi una spalla certa che se gli avessi lasciato anche quindici minuti in più, sarebbe stato in grado di arrivarci da solo e questo mi piaceva un sacco, cioè la sicurezza che tutti lì dentro avrebbero dato il massimo che potevano per Vogue, per me e per tutti; poi me ne tornai affianco a Michelle.
«Vincent?» le domandai
«giù, è successo un casino con la stampa del settimanale e ieri sera è rimasto a dormire qui, con Emily» ricordai velocemente il nome della stagista che l'università di Parigi mi aveva mandato.
Sapevo che le prime settimane fossero le più dure, quelle dove si impara a capire che il mondo del lavoro procede ad una velocità supersonica.
«d'accordo» diedi un'ultimo sguardo generale e li salutai risalendo al mio studio.
Mi serviva parlare con Vincent.
Claudiette era in piedi davanti l'ascensore,quasi mi aspettasse e non appena mi palesai davanti al suo volto, sembrò tirare un sospiro di sollievo e io sorrisi di lei e del suo modo super ansioso di viversi il lavoro.
«mi stavi cercando?» annui e afferrai il foglio che mi stava per porgere
«respira, andrà tutto bene» mi piaceva rassicurarla, nonostante avesse qualche anno in più di me, capivo bene che ne aveva viste di cose brutte nella vita e che per natura aveva imparato a guardarsi attorno, a volte perdendo il gusto delle cose che le accadevano e allora, io avrei solamente voluto che le esperienze le ripetesse due volte, cosi la seconda volta se le sarebbe magari goduta con maggiore intensità.
«perfetto così, il pranzo lascia che lo vada a prendere qualcun'altro e alle quattro a casa , va bene?» ricordavo che oggi fosse il compleanno di Clarisse e che le avesse organizzato una festa con i bambini delle scuole materne.
«merci, Char» le abbracciai le spalle con il mio braccio sinistro stringendola su di me
«ce la puoi fare Claudiette, sempre» la lasciai li a riflettere mentre entrai dentro il mio studio, trovandovi dentro il mio amato cappotto, sistemato accuratamente nella bastoniera di legno di faggio chiaro.
Inspirai il buon'odore di mandarino, del mio amato deodorante per ambienti e mi avvicinai al telefono, componendo il codice dell'ultimo piano dell'edificio. Attesi due minuti scarsi, prima che Vincent stesso mi rispondesse.
«ti aspetto» gli dissi e misi giù la chiamata iniziando a sfogliare gli articoli scritti dai miei giornalisti fidati.
Marzo era da sempre stato il mese delle novità, si tiravano le somme dell'inverno appena passato e si pubblicava la nuova moda dell'estate; il solo fatto che mancasse meno di un mese a quel particolare periodo dell'anno di certo non mi faceva stare tranquilla, soprattutto quando la stamperia aveva subito un ritardo, di cui ancora no ne conoscevo la natura.
Ogni volta che un foglio di carta ,macchiato ordinatamente di inchiostro, finiva tra le mie mani io inevitabilmente  ritornavo ancora una volta indietro, a quando ero una studentessa dell' ESJ ,École Supérieure de Journalisme, e studiavo di notte e di giorno; osservavo con minuziosa attenzione tutti i dettagli delle cose che mi giravano attorno, leggevo ogni tipo di rivista persino le etichette delle bottiglie d'acqua e ne facevo tesoro.
C'era adrenalina nel mio corpo, tanta forse addirittura troppa e questo faceva di me una batteria incapace di scaricarsi realmente.
Studiavo, scrivevo, leggevo e riscrivevo fino a quando non suonava come se fosse lo spartito di una melodia perfetta .
Il taglio preciso da dargli, scelto con cura maniacale e linguisticamente ricercato e se avevo  imparato a non lasciare mai che le emozioni personali mi si avventassero contro era perché negli anni avevo imparato altresì ad essere un vero e proprio punto di obiettività .
Con me, nella mia scrivania, l'inchiostro  stava al suo posto almeno nella maggior parte dei casi e tutto era deliziosamente freddo come la neve e poi caldo come il sole a rendere tutto più vero, a portata di tutti.
«scusa il ritardo» mi venni distratta dall'arrivo di Vincent che entrò dentro, sapendo di avere il permesso di aprire la porta del mio ufficio, senza bussare, solo quando lo aspettavo.
Lo guardai mentre, con il volto mortificato, si sedeva ad una sedia di distanza dalla mia, proprio difronte ,e mi accorsi di una giovane ragazza che lo aveva accompagnato. Vincent capì immediatamente cosa mi stessi domandando e mi rispose presentandomela come Emily.
«bonjour» le porsi la mano alzandomi dalla mia poltrona di pelle
«bonjour» la presa sembrava sicura  e la prima cosa su cui i miei occhi finirono furono le unghia delle sue mani, mangiucchiate probabilmente per un vizio, ce lo avevano anche i miei fratelli e non mancavano di certo i miei rimproveri in merito.
«lei è qui per?» domandai a Vincent, non capendo il perchè l'avesse sottratta dal suo lavoro dato che mi era ben chiaro in mente che fossimo indietro.
«possiamo parlare da soli?»annui ispirando e cercando la calma.
Che senso aveva avuto portarla con se , se poi voleva parlarmi in privato?
«aspettami fuori, grazie» lei annui ed io le sorrisi aspettando che la porta venisse chiusa e poi mi voltai verso Vincent.
Ero consapevole di non avere il tipico volto amico ma di somigliare più che altro ad un mastino inferocito e non saprei dire se questo dipendesse dal ruolo che ricoprivo nel mio lavoro o se fosse una qualità insita in me fin dalla nascita.
«a che punto sono le stampe per domani?» gli chiesi diretta
Mi passò la prima delle copie che sarebbero finite in edicola e la posai sulla scrivania, ignorandola momentaneamente, segno che pretendevo una risposata immediata.
«quindi?» deglutì
«stanotte rimango ancora qui e chiedo a Michelle di rimanere con me» afferrai i bordi della scrivania provando a non urlare
«ti do tempo fino alle nove di stasera» ne un minuto in più ne uno in meno
«niente pausa pranzo fuori da questo edificio» continuai e pensai già al fatto che mi sarei dovuta mettere a girare le leve degli ingranaggi delle stampanti ma, entro le nove della sera tutte le stampe di Parigi sarebbero state pronte.
Senza se e senza ma.
-la ragazza, perchè era con te?- gli chiesi ancora
-perchè sono rimasto qui per colpa sua- la colpa era di tutti, e il fatto che lui stesse scaricando la colpa su una stagista per pulirsi la coscienza mi fece incazzare il doppio.
-insegnale a fare il massimo, se dovessi mandarla via da qui tra qualche mese costringendomi a scrivere non delle lodi sul suo conto, ritieniti colpevole e disoccupato. Buon lavoro!- pigiai sul tasto nero aprendo la porta ed invitandolo ad accomodarsi fuori.
-buon lavoro Char- mi salutò
-Vincent?- lo richiamai prima che richiudesse la porta
-oui?- mi chiese fermandosi sui suoi piedi
-le nove, chiaro?!- annui energicamente e quasi lo vidi correre verso l'ascensore.
Non mi ero mai preoccupata di ciò che i miei colleghi potessero dire di me in giro e alle mie spalle; quando partecipavo alle riunioni in sala conferenze, spesso non mi interessava neppure sapere cosa realmente si dicessero tra di loro.
La politica aziendale, era totalmente fuori da quello che aveva un significato o per lo meno, lo avesse per me.
Non mi importavano le votazioni mensili per eleggere il più bravo dei colleghi;sapevo che servisse a loro per dare il meglio e per questo li mettevo in sana competizione tra di loro ma mi ero sempre ricordata che se le cose andassero sempre bene era di certo per merito di tutti e non di un singolo.
Più tardi di qualche minuto arrivarono i quattro che cercavo stamattina e a cui momentaneamente non volli nemmeno dar retta.
Dovevano imparare nel tempo che il giornalismo non lo potevi scegliere, piuttosto era lui che sceglieva te, che ti voleva cosi tanto da tenerti lontano da tutto il resto e in tutto questo, nulla sarebbe mai potuto essere anche solo lontanamente paragonabile alla impagabile quanto infinita gioia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Un perfetto quanto equilibrato allineamento di pianeti.
Claudiette diede loro il lavoro che gli spettava di fare e ringraziai il cielo ed il buon Dio per averla al mio fianco, almeno in questo enorme edificio.
Il suo corpo minuto fu quasi la mia ombra, in quel giorno  in cui nel mio impero sembrava stesse per accadere l'impossibile.
Erano rare le volte in cui avvertivo questa strana sensazione ed in genere dipendeva sempre dalla consapevolezza che statisticamente i dati in borsa, in questo mondo di cui ne facevo parte , erano fondamentali, quasi una condizione imprescindibile.
Certo, consideravo il giornalismo la perfetta personificazione del termine "armonia ", uno stato tanto mentale quanto fisico spesso ottenuto dal perfetto bilancio di parole ma, seppure le parole in un modo o in altro fossero estremamente utili per garantire quella quadratura del cerchio a cui tanto aspiravo, sia qui a Vogue che nella vita privata, poi alla fine però non riuscivo mai a limitare il tutto a semplici epigrammi.
-Char- la voce di Michelle mi arrivò alle spalle mentre parlavo con una delle ragazze che mi gestivano i colloqui del pomeriggio.
-prima Stefano e Domenico- gli indicai il brand tra quelli segnati sulla sua agenda perché si erano cacciati in un grosso quanto indicibile guaio, perdendo anche della credibilità ; lei lo cerchiò con la sua penna rossa capendo dal mio tono che questo appuntamento aveva una certa importanza .
-dimmi- poi mi voltai verso di lei dandole la mia attenzione
-hai dimenticato queste- mi porse l'album che mi era stato consegnato questa mattina. Lo afferrai immediatamente provando del sollievo per averlo riavuto indietro.
-è brava- mi disse semplicemente, dicendomi implicitamente che avesse guardato quelle foto
-lo so- le risposi schietta.
Non era solo una questione di saper disegnare, cucire o chissà cos'altro, era di più...era questione di emozioni, tangibili e prorompenti.
Era arte.
Entrai dentro ponendomi di fronte a quelle tre copie dei quadri di Jenny Saville, che avevo fatto appendere nel mio studio, prima che io potessi mettervi piedi.
Reproduction mi aveva stregata dal primo istante in cui li avevo visti appesi a Londra insieme alla compagnia di Benedict, sempre alla mia sinistra, sempre con la testa tra le nuvole.
Li osservai con attenzione, pensando a mio figlio e sorrisi investita da una sensazione di magia inspiegabile, pensai ai suoi sogni di bambino e guardai nuovamente prima le foto e poi quei quadri.
Si, Luna faceva proprio al caso mio.


Tadaaan 😍🤪, eccomi nuovamente qui con questa nuova storia.
Parto immediatamente con augurarvi un sereno e felice Natale non solo a voi ma alla vostra splendida famiglia e alla compagnia che vi starà accanto in questo periodo di feste.
Sono contentissima di potervi regalare il primo capitolo di questa nuova avventura a cui sono affezionata e spero che vi piaccia.
Se vi va, scrivetemi qui sotto le vostre prime impressioni e se avete voglia di dirmi qualsiasi cosa, mi trovate su Instagram al:6comeungirasole.
Grazie di cuore 💓 a tutti voi .
Buon viaggio 🧳, spero che ne valga sempre la pena.
Vostra girasole 🌻

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