«aiha, ma cosa diavolo hanno queste dannate scarpe questa mattina! Ninette il calzascarpe dove lo hai messo» barcollavo per il primo piano del mio loft con una sola scarpa ai piedi mentre faticavo parecchio a far calzare l'altra nel mio piede destro evidentemente gonfio e per niente collaborativo .
Antoniette mi guarvava perplessa dietro quel paio di occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglie ed io zoppicante e instabile, cercavo con la cassetta delle emergenze tra le mani, dei cerotti da applicare al mignolo che a furia di farlo infilare nella scarpa che sembrava essersi ristretta, mi si era graffiato iniziando debolmente a sanguinare.
«hai i piedi gonfi. È normale che tu abbia difficoltà a calzarle dato che porti sempre tacchi ai tuoi piedi» il tono da mamma saputella e lo sguardo ovvio che il volto di Antoniette mi stava manifestando, mi indispettirono.
«ti sembra il momento adatto per farmi la ramanzina? Sono in ritardo!» mi lamentai mentre lanciavo la scarpa sul tappetto,stanca di doverci avere a che fare.
Avevo già venti minuti di ritardo alle spalle e dal momento che le mie amatissime décolleté si rifiutavano di collaborare, dovevo cambiare outfit per poter indossare gli stivali che mi erano stati regalati da Givenchy ed erano fortunatamente arrivati a casa già da alcuni giorni e Clare Waight Keller una dei miei stilisti preferiti e che avevo imparato ad amare già dai tempi in cui lavorava da Gucci,poi da Tom Ford e per finire da Chloè.
«Char, hai rotto le calze » mi guardai le cosce ed un enorme foro le aveva rovinate.
«dannazione!» urlai esasperata mentre infilavo le dita nel foro e le tiravo via distruggendole definitivamente ed accasciandomi per terra sul parquet, quasi sfinita.
Alan dormiva da Pierre già da due giorni e mi reputai fortunata a non averlo temporaneamente ,nonostante mi mancasse come l'aria,a casa perché questa era decisamente una delle giornate peggiori di questo periodo dell'anno; in salotto giacevano aperte tre valigie stracolme di vestiti ,scarpe e relative borse in abbinamento, e il mio volo per Milano Malpensa si avvicinava trepidamente mentre la mia agenda continuava a strabordare di impegni tanto da sembrare che a momenti potesse esplodere.
Di questo passo mi ci sarebbero voluti giorni di trentasei ore piuttosto che da ventiquattro per portare a termine tutte le cose che avevo in mente di fare.
«Char, non saltare la colazione come ieri!» mi urlò dalla cucina mentre gettavo sul mio letto sfatto l'ennesimo capo pescato che non faceva al caso mio.
In questi casi mi sarei tanto voluta mettere ad urlare e a sbattere i piedi come una bambina di cinque anni, tanta era la frustrazione che stessi provando e in tutto ciò sembrava che il pianeta intero questa mattina avesse deliberatamente scelto di rivoltarsi contro di me.
«char?» mi chiamò
«che c'è!!!» le urlai contro, gettandomi all'indietro nel letto e portandomi le mani sul volto.
Sentii il peso del suo corpo che fece abbassare il letto e d'improvviso le sue mani presero ad accarezzare i miei capelli provando a rilassarmi.
«stai provando a fare tante di quelle cose che nemmeno una squadra di quindici persone sarebbe stata mai in grado di portarle al termine tutte quante contemporaneamente» mi disse puntualizzando il suo disappunto e puntandomi il dito contro mentre rimaneva a metà tra il corridioio e la stanza.
«persino il tuo corpo ti si sta mettendo contro e in queste due settimana hai perso quattro chili, pensi di dover continuare ancora così, mia cara signorina Duboise?» mi sembrò di tornare ad avere vent'anni e di essere nella piena crisi ormonale di una donna in preda agli imprevisti della vita.
«ho addosso la responsabilità di tanta gente» le ricordai, chissà avesse dimenticato il ruolo che ricoprivo in quella fetta del mondo che "appariva".
«sei sempre stata all'altezza delle aspettative degli altri e a tuo discapito sei sempre stata anzi ben oltre le aspettative chi riponi in te, ed ogni volta siamo sempre al solito punto» mi scoprii il volto a guardarla mentre mi sorrideva mestamente e mi porgeva uno dei suoi famosissimi fazzoletti di lino che inevitabilmente avrei macchiato con il mio mascara.
Mi tarai su a sedere, mentre la voglia di rimanere a casa ,e di isolarmi dalla frenesia che mi aspettava fuori dalla porta di casa mia ,cresceva a dismisura.
«chiama in ufficio per favore e di loro che sto male» e cosi avevo tolto dalla gruccia la mia comoda tuta casalinga e a piedi scalzi, avevo sceso le scale rimuovendo con agilità le lentine dai miei occhi e recuperando velocemente il mio comodo paio di occhiali, posti sul tavolinetto del salotto.
Mentre mi accomodai in cucina, sullo sgabello dinnanzi l'isola per la colazione, accavallando le gambe sotto il mio sedere in una tipica posizione confortevole, mi gustai con calma il mio yogurt greco e la mia tazza di tea al limone, caldo e rilassante.
La voce di Antoniette che discuteva a telefono con la mia segreteria, mi apparve totalmente lontana e mi disinteressai per brevi instanti a cosa sarebbe potuto succedere a causa della mia non preventivata assenza.
Con una penna pescata dal portafrutta di ebano,comprato in un bazar a Zanzibar , posto come centrotavola, attorcigliai i capelli in un disordinato bun sulla testa.
«stai un po meglio?» la voce calda di Antoniette si accompagnò ad una morbida carezza che lasciò sulla mia schiena.
«si, adesso rimetto a posto il casino che ho lasciato in camera» le dissi mentre sfogliavo distrattamente il quotidiano che regolarmente acquistava la mattina per leggerlo davanti alla su solita tazza di tisana al finocchio.
«ho già sistemato tutto, prenditi un po di tempo per scrivere come ti è sempre piaciuto » le sue parole mi smossero qualcosa dentro a tal punto che di slancio la abbracciai rifugiandomi tra le sue braccia e quel maglione caldo che sapeva di biscotti.
Mi lasciò in cucina, alcuni attimi dopo, iniziando a girovagare per casa per sistemare qualsiasi cosa le apparisse fuori posto; casa mia era un po certamente anche la sua e il suo tocco da donna matura,molto più di me, lo si vedeva in tutte quelle cornici che di sua spontanea volontà aveva acquistato, riempiendole di foto di Alan in qualsiasi momento della sua ancora breve vita.
Sapeva cosa mi sarebbe servito guardare mentre abitavo ,per quelle ore che mi erano concesse, le mura domestiche di casa mia e niente mi era piaciuto più di questo.
Cambiava regolarmente ogni due giorni i fiori freschi, che riponeva in un delizioso vaso di vetro, all'ingresso di casa e a pensarci bene, quando andava in ferie, l' assenza di quel dolce profumo di primavera, si faceva sentire enormemente.
«Charlotte, hai altra roba da lavare che non hai ancora messo nel cesto dei panni sporchi in lavanderia?» mi chiese mentre la sentivo sbattere dei vestiti, che aveva appena rimosso dall'asciugatrice, per poi riporli nella cesta dei vesti che andavano stirati.
«no Ninette, ho messo tutto al loro posto» evitando che le magliette intime di Alan, riacquistassero nuovamente un colore rosa slavato a causa di un calzino rosso finito lì ancora non si sa come.
Mi accomodai nella poltrona, all'angolo più luminoso del salotto, quello intrappolato tra la parete in pietra e quella in vetro, che si affacciava su Parigi, come una finestra dalla quale poter sbirciare il mondo.
Poggiai il mio mento sulle ginocchia,abbracciate al petto, ed osservai distratta la pioggia che cadeva fine,sporcando di acqua il vetro e guardai così come le gocce d'acqua tracciavano un percorso loro, sembrando quasi che corressero per giungere alla fine.
Mi allungai alla mia sinistra per pescare la mia agenda di pelle dalle pagine di carta volutamente non troppo bianche e con una penna, una delle tante che presi dal portapenne, iniziai a sporcare gli angoli di una nuova pagina con incomprensibili ghirigori e poi, una sola nuova goccia fu capace di far traboccare il vaso.
"A guardarli sembrano dotati di vita, sottile e impercettibili respiri nascosti tra colori e stampe; se chiudi gli occhi c'è una danza di sfumature come se i fiori finti appoggiati delicatamente a fondersi con il tessuto, all'improvviso tornassero a vivere. Non è mai solo un concetto astratto e meramente confinato dentro i meandri della mente, questa volta la regola è quella di creare quel posto per cui tanto abbiamo combattuto.
Ufficio,caffè letterario o un semplice Martini con oliva in un bar sedute al bancone , per spezzare la giornata .
Tailleur con gonna e con pantalone , espressione di femminilità mista alla forza dell'xx.
Questa volta è donna, una donna in qualsiasi momento della propria vita , senza dubbi ed incertezze e pur sempre dalla sua parte."
Lo rilessi una e poi due volte ancora provando a limare qualche parola e fui enormemente grata nel capire che l'esperienza in cui mi stavo catapultando, avrebbe finalmente rappresentato me e quella battaglia in cui speravo tutte le donne si unissero in gruppo.
«Char?» la voce di Ninette mi riscosse dal mio momento scrittura ed effettivamente mi resi conto che stessero insistentemente suonando al campanello di casa.
Il rumore dell'aspirapolvere era assordante e copriva qualsiasi altra cosa e per di più Antoniette accompagnava il tutto cantando una vecchia canzone della discografia francese di Isabelle Jasmine Adjani e questo attirò momentaneamente l'interesse del mio ospite che si introduceva in casa.
Pierre si accomodò in salotto, sorridendo verso le scale,certo che Antoniette a breve ,curiosona come era sempre stata, si sarebbe affacciata fingendo di passare lì per caso; mi porse prima il suo elegante cappotto e poi una raffinata scatola di latta che d'abitudine riconobbi fosse la confezione della mia cioccolateria preferita.
«sei stato in Italia?» gli domandai mentre mi accomodavo nella poltrona accanto alla sua e sconfezionavo il delizioso nastro giallo che teneva stretta in un abbraccio,la latta della confezione color bordeaux scuro
«si, sto cercando una sarta italiana per quel progetto di cui ti avevo parlato la settimana scorsa e prima delle fine dell'estate voglio essere certo di avere la gente che mi serve a mia completa disposizione » annui ricordando velocemente il momento in cui me ne aveva parlato.
Le mie dita immediatamente afferrarono il cioccolatino e lo scoprirono della propria carta dorata e lo addentai delicatamente assaporandone l'inconfondibile sapore di gianduia Torinese.
«merci, ils sont toujours très bons» ed era assolutamente un dato di fatto perché da quando li avevo assaggiati la prima volta, durante una breve vacanza quando avevo diciassette anni e frequentavo il liceo ad oggi che ero molto più grande di allora,non avevano per nulla perso il loro buon e genuino sapore di fave di cacao .
«ti va un caffè?» gli chiesi mentre mi alzai dalla mia poltrona e lui mi annui,posando il proprio cellulare sul tavolinetto.
«Alan mi ha detto che tuo fratello Flavien gli ha promesso di portarlo ad una partita di calcio...non ricordo di quale squdra » annui essendo perfettamente a conoscenza della promessa
«è stato Jean a farsi venire l'idea e sai com'è tuo figlio» in realtà era assolutamente strano che mio figlio stesse crescendo così amante dello sport,dato che Pierre era molto raffinato in qualsiasi cosa si mettesse.
«pensavo che prima ne avremmo dovuto parlare prima di dargli il permesso» lo guardai mentre chiudevo il pensile della cucina
«da quando per stare con i miei fratelli, c'è bisogno di un permesso?» mentre gli portavo la tazza di vetro con il caffè,continuai a mantenere saldo il suo sguardo.
«Char andranno in Italia e le partite di calcio, da che mi ricordi per le cronache al telegiornale, non sono di certo il luogo più tranquillo» stavo pensando a cosa potergli rispondere ma suonò il campanello di casa che mi fece leggermente trasalire.
Presa come ero a trovare una risposta ,che mettesse Pierre al proprio posto e che gli ricordasse perfettamente che mio figlio,nelle mani dei miei fratelli era come un vaso di terra cotta tra migliaia di vasi di ferro, aprii direttamente la porta senza guardare chi fosse dallo spioncino e quando mi apparve il volto di Federico mi sembrò come se la rispossa si fosse letteralmente palesata al mio cospetto.
«mon dieu, merci Fede» e lo tirai dentro lasciandolo leggermente stordito.
Non gli diedi nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, che già eravamo in salotto e Pierre, lo guardava insistenetemente nelle braccia.
«Pierre, lui è Federico e Federico lui è Pierre, il padre di Alan» si strinsero la mano e Federico mi guardò cercando una risposta nei miei occhi.
«Pierre si interrogava dubbioso, se mandare Alan alla partita della Juventus con i miei fratelli, fosse sicuro o Alan va incontro a pericoli» Fede lo guardò probabilmente stupito dall'abbigliamento super ricercato di Pierre e gli pizzicai leggermente il fianco, perché il suo sguardo stava assumendo nelle labbra delle curve particolari, indicatorie delle idee che gli stessero balenando nella testa.
«Federico Bernardeschi» si presentò porgendogli la mano che Pierre accettò
«Pierre Bergé» lo sguardo di Federico si stranizzò e alcuni tratti del suo viso si fecerò improvvisamente più scuri; avrei tanto voluto sapere cosa fosse appena successo nella sua mente ma in qualsiasi caso, non ero nessuno per potergli chiedere spiegazioni per cui a mio malgrado fui costretta a sorvolare sulla questione.
«mi scusi se non parlo il francese ma proverò a farmi capire lo stesso» gli disse per nulla impacciato quanto piuttosto sicuro si se ma Pierre comunque lo rassicurò dicendogli che lui conosceva bene l'italiano.
«Alan non corre alcun rischio allo stadio, basta acquistare i biglietti per la seduta in tribuna e poi il mio club ci tiene molto alla sicurezza di tutti, a maggior ragione dei bambini» probabilmente tra le tante cose, Pierre si stava chiedendo chi fosse Federico e che ruolo avesse in tutto questo.
«mi scusi, ma quindi lei non è un modello o un collaboratore di Charlotte?» difatti glielo chiese
«no, sono un giocatore della Juventus, la squadra che Alan vuole venire a veder giocare» e questa per lui era di certo una novità.
Pierre mi guardò provando a non esternare proprio tutti i pensieri che si stesse facendo ma gli risultava parecchio difficile dato che i suoi occhi balzavano continuamente tra me e Federico.
«se Char me lo permette posso occuparmene io stesso di fargli avere i biglietti migliori»nascondevo perfettamente l'imbarazzo in cui mi stessi attualmente trovando e solo l'idea che Federico fosse li totalmente a suo agio,mi faceva stare tranquilla in un senso strano che a conti fatti non sapevo nemmeno il perché effettivamente tutto questo sembrasse assolutamente normale e quasi quotidiano .
«tu avevi bisogno di qualcosa?» gli chiesi provando ad affrettare le cose e mentre mi osservò sorridendo io persi uno o forse anche due battiti
«del sale» mi disse spontaneo e gli sorrisi andando in cucina e pescando una confezione nuova di sale da cucina.
«provo a cucinare qualcosa di buono e fatto in casa, ho mia sorella al telefono dall'altra parte che spero sia ancora li ad aspettarmi» mi spiegò velocemente mentre lo accompagnavo alla porta, sorridendogli con un'intensità che mi colse all'improvviso.
«più tardi verrò a vedere se riesci a non bruciare la casa di Veronique e magari mi farai assaggiare qualcosa di buono ed italiano» gli dissi mentre percorreva il breve corridoio del pianerottolo che divideva la porta del mio loft con l'appartamento di Veronique.
«ti aspetto, metto la bottiglia di vino rosso dentro al frigo» mi schiacciò un occhiolino che mi fece leggermente arrossire e ritornare ragazza,mentre mi chiudevo la porta alle spalle e provavo a ricompormi per apparire seria e composta agli occhi del mio ex marito.
«eccomi» gli dissi mentre Pierre era già in piedi, con il cappotto nuovamente sulle spalle
«vado via, ho appena ricevuto un'importante email di lavoro..e Char?» annui affermando che lo stessi ascoltando.
«non metterti nei casini» rimasi leggermente interdetta mentre provavo a capire che cosa divolo volesse dire il suo avvertimento.
Non lo accompagnai all'ascensore ma piuttosto chiusi velocemente la porta di casa, evitando di insultarlo davanti l'ascensore e l'unica cosa che da li a poco fui in grado di fare, fu afferrare la confezione si cioccolatini e due bicchieri da vino per suonare al campanello dell'appartamento accanto al mio.
«il tuo ex marito è già andato via?» mi chiese guardandomi nella mia mise casalinga e totalmente distante ai soliti abiti eleganti in cui mi aveva sempre vista, ovviamente tralasciando la situazione imbarazzante dell'incontro con Cristian.
«ti interessa?» gli chiesi mentre afferrava dalle mie mani i due calici di vetro e mi lasciava passare dentro quella casa che sconoscevo totalmente ma che probabilmente avrei imparato a riconoscere forse anche ad occhi chiusi.**************************************
Tadaaaaaan
Eccomi con questo capitolo,sono stracontenta di pubblicarvelo e soprattutto di riavere Char tra le mani.
Io ci vedo un non so che di....beh non dico ma lo lascio dire a voi.
Fatemi sapere qui sotto, se vi va, che cosa ne pensate.
Alla prossima mie care lettrici ♥️
Vostra Girasole.
⚜️🌻
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Inchiostro
FanfictionParigi è la foto bianca e nera e senza tempo di Lei, quella finita tra gli angoli di Palais Versailles proprio quel posto che fin da piccola l'ha sempre lasciata con il fiato sospeso e lo sguardo di chi non ha paura di guardasi. Già, perché Charlott...