Capitolo 3

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Ero appena uscita dalla doccia quando Cristian si stava sistemando la camicia abbottonandola accuratamente e stirandosela addosso con le mani spianando sul suo petto quelle leggere grinze che l'avevano spiegazzata mentre la posava con foga sulla poltrona della mia camera da letto .
«senti un pò cheri, ma quel ragazzetto tatuato..sta qui da molto?» non capivo il motivo del suo quasi accanimento nei confronti di un ragazzo qualsiasi alla quale io stessa non stavo dando tutta questa importanza.
«non lo so, io in genere lavoro e non bado mica a chi occupa gli appartamenti accanto al mio»mi chinai a raccogliere la mia biancheria intima, mettendola nel cesto dei panni sporchi, dentro il mio personale bagno in camera.
«non mi piace neppure un po» si avvicinò al mio corpo, ancora una volta nonostante le due ore appena trascorse in cui di certo non avevamo giocato a monopoli.
«farai tardi con tua moglie» gli ricordai.
Non sarebbe mai dovuto succedere che madame De Goullie aspettasse un solo istante all'aeroporto, altrimenti sarebbe venuto giù persino l'universo.
Qualche volta ,durante il divorzio con Pierre, era capitato che fossimo finiti a cena tutti e quattro e nonostante lei sperasse che non fossi a conoscenza delle notti passate nel letto del mio ormai ex marito, si sbagliava di grosso perché solo una megalomane ed egocentrica come lei poteva acquistare un rossetto fatto di una texture rosso ciliegia, ideata apposta per lei.
Non era una mancanza di rispetto da parte di Pierre, in primis perché la nostra storia era finita circa un anno prima che firmassimo definitivamente le carte del divorzio e poi perché, riconoscevo il fatto che avessi dedicato le mie forze prima a nostro figlio e poi al mio lavoro,non avendo cosi più tempo a disposizione per lui.
Pierre,nonostante fosse più grande di me di nove anni, rimaneva comunque un gran bell'uomo.
Colto, elegante e raffinato, di alta classe e indubbiamente appetibile non solo per questo ma anche per il suo ruolo all'interno di uno dei brand più famosi nel mondo.
Così, una domenica sera l'avevo vista...
C'era una macchia quasi indelebile sul colletto delle camicie che spedivo settimanalmente in lavanderia per fare lavare e stirare per bene.
Li, avevo chiesto il divorzio senza alcun ripensamento e per Pierre era andato più che bene.
Volevamo entrambi la serenità e la felicità personale.
Io la auguravo a lui tanto quanto lui la augurava a me.
Eravamo arrivati alla conclusione che fosse decisamente meglio stare soli e mantenere integri quel piccolo briciolo di felicità dalla quale poi ognuno di noi avrebbe potuto ripartire.
«non pensare a lei» ed invece ci pensavo eccome.
Probabilmente la mia antipatia sarebbe persino apparsa stupida ma, non volevo che Pierre finisse nei casini per una stronza del genere.
La sua mancanza di tatto e di discrezione ,anche dinnanzi a me e suo marito, me l'avevano fatta odiare cosi tanto che mi era bruciata la bocca dello stomaco per un paio di settimane, fino a quando Cristian non si era fatto avanti con le sue avances da perfetto parigino di alta borghesia.
Prima dei fiori spediti al mio nuovo indirizzo con frasi romantiche di Boudelaire, poi un boccetta di profumo artigianale comprato a Le Printemps Haussmann e incartato con un foulard di alta sartoria francese ed infine l'invito a cena su un battello, in quella piccola crociera sulla Senna.
Mi aveva corteggiata come ogni donna avrebbe voluto che venisse corteggiata e mi ero concessa con la promessa che non si sarebbe dovuto aspettare nient'altro da me che non fosse della semplice stima.
Professionalmente Cristian godeva di una grande fama qui nella nostra amata Francia, aveva sbrogliato le pratiche legali per divorzi famosi in cui i conflitti di interessi erano cosi alti da far girare la testa ma, il suo solito modo di fare,  caparbio e gentile, l'avevano portato fin dove altri, di mediocre bravura, non erano mai riusciti ad arrivare.
«stasera torna il bambino?» annui contenta
«dovresti prenderti una vacanza dal lavoro e da piccoli nani impertinenti» non gli tirai una cinquina unicamente perché avevo estrema cura delle mie mani, altrimenti mi sarei parecchio divertiva a sfigurare quel volto che aveva il coraggio di chiamare mio figlio nano.
«Cristian, non parlare troppo» percepì la nota gelida del mio tono di voce e per questo spostò di qualche centimetro la bretella del mio reggiseno di pizzo e su quel lembo di pelle vi posò sopra un bacio.
«pardon cheri, sai che voglio solo vederti felice»mi accarezzò il collo con il suo naso, dopodiché lo aiutai a stringere la cravatta e lo accompagnai alla porta.
«ci vediamo presto» mi disse.
Annui,incapace di fare altro poiché le mie orecchie furono fugacemente attratte da delle urla che provenivano dall'appartamento vicino.
Veronique di certo non la si poteva considerare una inquilina calma, piuttosto le piaceva dilettarsi tra un party ed un altro e molti di questi era solita organizzarli in casa sua dove, non avevo nemmeno mai avuto l'opportunità di poterci sbirciare dentro per assicurarmi che non avesse ad esempio delle vere e proprie piantagioni di cannabis nel suo salotto.
«se diventano troppo molesti avvisami, avviamo immediatamente una pratica legale contro di loro» sorrisi a Cristian che in qualsiasi momento della giornata sembrava sempre propenso a cacciar fuori la sua elegante penna stilografica  pronto per firmare cause su cause.
Aveva avviate procedure legali con almeno tre degli inquilini del prestigioso palazzo in cui viveva e due di questi a momenti avrebbero fatto meglio a veder casa perché il prossimo passo sarebbe stato quello di vender le mutande per poter pagare le spese legali.
Quando chiusi la porta alle mie spalle, mi guardai inevitabilmente allo specchio ,posto proprio all'ingresso.
Passai le mie mani curatissime sulla riga perfetta delle mie sopracciglia e le osservai con minuziosa attenzione.
Non dovevano in nessun modo essere fuori posto perché ci tenevo parecchio, considerandole da sempre la cornice del volto.
Aprii le imposte giusto per far circolare l'aria che mi sembrava puzzasse di costoso profumo maschile e non volli in alcun modo che Alan ne percepisse la fragranza.
Un uomo nella mia vita avrebbe potuto destabilizzare gli ,ormai tanto agonizzati,equilibri che eravamo riusciti a raggiungere.
Crescere un figlio, nel bel mezzo di un divorzio , di certo non era stata un'impresa facile, meno che mai nel momento esatto in cui Alan all'inizio ,nonostante ancora la sua piccola età, aveva in tutti modi ostacolato la cosa.
Era ritornato a far la pipì nel letto e aveva persino smesso di parlare,uno modo assai cattivo per punire me e suo padre che, nonostante tutte le nozioni scientifiche che conoscevamo dagli infiniti appuntamenti presi nei migliori specialisti di psichiatria infantile e le rassicurazioni che fosse solo un momento di passaggio ,ci si mise  davanti a enormi sensi di colpa capaci di tenerci svegli durante la notte e Alan non sembrava aver intenzione di venirci incontro ,cosi quelli furono mesi ben più assai preoccupanti di quanto ci fossimo imposti di credere.
Aspettai mio figlio seduta nell'elegante sedia di pelle nera e legno che stava ordinatamente sistemata nell'angolo più luminoso del salotto.
Accesi la luce da tavolo e tirai fuori quel progetto dalla mia ventiquattr'ore, gli avrei dato una prima sommaria lettura giusto per orientarmi su quello a cui Julie aveva lavorato.
Non mi aspettavo di certo un lavoro precisino come ero abituata a pretendere ma, era la migliore tra i miei stagisti e confidavo in lei e nel suo naturale istinto che le veniva fuori ogni qualvolta in sala riunione poteva verificarsi un qualsivoglia problema di ordinaria complicanza.
Aveva ancora tanta altra strada da fare e io avevo ancora tante altre cose da insegnarle ma, eravamo sulla strada giusta.
Slacciai la mia vestaglia di seta, lasciandola libera, fintanto che ero da sola a casa ma, il mio iniziale tentativo di dedicarmi al progetto venne interrotto da urla che non cessarono di smettere di arrivare ma che addirittura aumentarono di volume.
Era chiaro che i due litiganti si fossero spostati sul pianerottolo del quinto piano e onestamente,non avevo mai trovato inquilini cosi cafoni come quelli di adesso.
Adoravo decisamente di più quando Veronique passava il suo tempo, impiegandolo chissà come, in qualsiasi altro posto che non fosse il suo appartamento.
Mi trovai costretta ad alzarmi, mentre strinsi nuovamente la vestaglia , allacciandola con il tipico laccio di stoffa poi, guardai dallo spioncino prima che mi decidessi ad aprire.
«excusez-moi, pouvez-vous aller jouer un peu plus dans le?» con il tipico saccente sarcasmo francese, chiesi loro di andare a giocare un po' più in la, lasciando che la gente più adulta e senza alcun dubbio più matura, potesse godere della propria amata tranquillità.
Veronique mi guardò, quasi infastidita che avessi interrotto questo gran chiasso che stavano facendo ma, da donna molto più grande di lei, mi dimostrai impassibile al suo volto eccessivamente truccato quasi da sembrare una queen di quei locali notturni.
«se non vi dispiace, c'è gente a cui piacerebbe molto trascorrere il proprio sabato sera rilassandosi senza sentire alcun tipo di urla» fui ben schietta nel fargli capire che le loro litigate da ragazzini di quindici anni, erano tollerabili fino al momento in cui si fossero limitate dentro l'appartamento della giovane ragazza ma che, davanti l'ascensore era severamente vietato oltre che da gran maleducati, inveire tirando su numerosi santi dal paradiso.
«ci scusi, ha perfettamente ragione» fortuna che l'italiano in qualche modo somigliasse foneticamente al francese e per questo ne compresi il senso della frase.
Mi voltai per tornarmene dentro casa, evitando di pensare costantemente che questa fosse almeno la terza volta che quel giovane ragazzo mi trovava in déshabillé, con solo addosso lingerie da camera.
I miei piedi scalzi ritornarono sul pavimento del mio appartamento e pregai Dio e tutto il paradiso, di non sentir mai più la voce gracchiante di quella ragazzina impertinente il cui padre aveva sbagliato a darle tutto senza neppure domandare.
Più tardi di qualche ora, ricevetti il formale messaggio di Pierre, che mi avvisava che a momenti sarebbe venuto a lasciare Alan,ma che prima di allora gli sarebbe piaciuto portare il bambino in uno di quei tipici fast food americani che sapeva bene detestassi perché propinavano una assurda quantità di cibo spazzatura  che Alan sapeva bene di potersi permettere una sola volta al mese.
"Ha già mangiato il suo hamburger la settimana scorsa; Alan sa bene che stasera deve mangiare il minestrone che Antoniette le ha preparato".
Su certe cose, beh in realtà su molte ad essere onesti, ero categoricamente perentoria.
Non si discuteva e mio figlio sapeva bene come dovevano andare le cose per cui, se anche solo Pierre non avesse voluto darmi retta beh, potevo contare su Alan che era ben consapevole che se si fosse giocato la fiducia che riponevo in lui, avrebbe potuto salutare qualsivoglia svago gli fosse concesso.
Una mamma un po troppo severa?
Decisamente si, ero stanca di leggere di ragazzini i cui neuroni erano morti da un pezzo e genitori menefreghisti che all'improvviso si svegliavano e pretendevano che il cervello della loro creatura continuasse a funzionare.
"D'accordo, allora il prossimo mese mi piacerebbe molto che glielo portassi io" ,fu il messaggio che ebbi in risposta.
Il prossimo mese?
Beh, poi si sarebbe visto.
Apparecchiai la tavola, sciacquando i miei freschi pomodorini biologici sotto l'acqua corrente e poi li tagliuzzai dentro una ciotola di porcellana, versandoci sopra dell'olio crudo.
Qualche minuto più tardi suonò il campanello e poi il rumore della copia personale delle chiavi di Alan, ruotò nella toppa della porta fino ad aprirla.
«maman» mi chiamò con quella sua tipica voce fanciullesca.
«sono in cucina tesoro» gli risposi mentre sentii il chiaro e distinto rumore delle ruote della sua valigia che cessò giusto all'ingresso e poi il rumore delle sue pantofole che sbattevano contro il parquet del pavimento.
Quando lo vidi arrivare in cucina, lo presi  immediatamente in braccio stringendomelo addosso e lasciando che poggiasse sulle mie labbra un tenero bacio.
«amour» lo guardai con il tipico sguardo che ero capace di rivolgere solo a lui.
La mia felicità.
«mami» mi sorrise gioioso e quello valeva molto più di mille diamanti.
«ti sei divertito?» gli chiesi mentre lui annui mettendomi il cuore in pace.
«e ti è mancata un po' la mamma?»annui ancora
«tantissimo» aggiunse poi e mi baciò dolcemente ancora una volta.
«anche il suo ometto è mancato alla mamma» giocò un po con le punte curate dei miei capelli e poi lo rimisi a terra.
«va a lavare le tue manine e poi vieni qui a cena» usci fuori dalla cucina e lo osservai mentre sali le scale per il piano superiore.
Io recuperai la valigia ponendola nello sgabuzzino, ci avrebbe pensato Antoniette a sistemarla e tirar fuori la roba da lavare.
«eccomi»sorrisi contenta nel vederlo persino cambiato e con addosso il suo delizioso pigiama di una squadra calcistica che sconoscevo totalmente ma che Jean, mio fratello, sembrava interessato quanto mio figlio a seguirla nel campionato italiano.
Si accomodò a tavola e aspettò che lo facessi anche io, prima di afferrare il cucchiaio e mangiare il suo minestrone.
«mamma, stasera gioca la Juventus,possiamo guardare la partita?- annui decisamente.
Nonostante il calcio non fosse lo sport che più preferivo, mi interessava solamente sapere che mio figlio fosse felice .
«certo tesoro, ma prima devi mangiare tutto quello che hai nel piatto» annui sorridendo,contento che facessi con lui tutte quelle cose da maschio che gli piacevano.
Mi era capitato più volte di accompagnarlo la parco e improvvisarmi portiere, oppure avevo ogni tanto giocavamo alla play seduti nel divano del salotto.
Era difficile essere una buona mamma, ma lasciavo che l'amore sconfinato che provassi per mio figlio e l'istinto che suscitava in me, avessero la meglio e pensavo di essermi comportata egregiamente in questi anni già trascorsi.
Lo osservai contenta, mi era mancato tanto e sebbene questa vita andasse avanti ormai da anni, era assai difficile per me rimanere sola a casa due settimane al mese mentre la parte migliore di me,mio figlio, dormiva e riempiva la casa di gioia di un'altra famiglia.
Fortunatamente con Pierre le cose si erano sistemate da sole, con il tempo e per amore di Alan ,avevamo dimenticato tutto quello che c'era stato  o per meglio dire, lui era passato sopra alle mie mancanze ed io alle sue incomprensioni e a tutto quello che ci eravamo detti durante la rabbia perché alla fine, il nostro comune interesse era Alan e la sua felicità.
Durante le feste solenni ero solita passare almeno un giorno di esse con la nuova famiglia di Pierre, perché mio figlio aveva il diritto di un albero di natale circondato da altri bambini e suo padre, attualmente, era quello che poteva darglielo.
«mamma, sei triste?» mi chiese
«no tesoro»  mi imposi di non pensare a nient'altro che non fosse noi due.
Io e Alan.
Mi aiutò a caricare la lavastoviglie, per sbrigarci così che lui potesse guardare quel match.
«mamma, posso guardare la partita nel televisore del salotto ?» la voce di mio figlio mi distrasse dalla rivista che stavo leggendo, seduta sulla sedia della cucina.
Lo trovai in piedi, alla fine della scala mentre mi guardava in attesa di una risposta.
Annui, certa che avrei dovuto smettere di lavorare e piuttosto mi sarei dovuta dedicare al lui.
Si avvicinò per abbracciarmi e lo strinsi a me, lasciando che quelle due braccia ancora cosi piccole si attorcigliassero per come potessero al mio corpo.
«la guardi con me?»  annui decisa e lasciando che con le sue mani mi portasse sul divano.
Alan, sarebbe venuto prima di tutto a prescindere se ognuno di noi fosse andato avanti alla ricerca di un amore che sapevo entrambi meritavamo di avere.
Il nostro divorzio, tanto discusso dentro quelle fredde pareti di Vogue e non solo , era stato per me ,ma immaginavo anche per lui, un po' un fallimento.
Si erano piano piano accumulate tante cose, cose che pensavo non pesassero nulla ed invece alla fine non era stato così ma, dovevo aspettarmelo perché alla fine non è il mare a far traboccare il vaso ma solo una semplice e piccolissima goccia.
Pigiò esperto sui tasti del telecomando, sintonizzando su un canale sportivo della tv a pagamento.
«tra un po inizia» mi spiegò ed io sorrisi.
Non potevo desiderare un bambino migliore di quello che avevo, per me era indiscutibilmente il più bello ed il più bravo del mondo.
«mi spiegherai un po come funziona?» gli chiesi e lui annui emozionato.
«da grande voglio fare l'attaccante» gli baciai la testa che profumava di bagnoschiuma al cocco, lo stesso identico che utilizzavo io.
«vuoi diventare grande? Non vuoi rimanere il piccolino di mamma» gli feci un po il solletico solo per scatenare la sua risata che mi migliorava la vita.
«no mamma, voglio crescere così poi potrò sposarti» e mi scoppiò semplicemente il cuore.
«quindi adesso siamo dei fidanzatini?» gli chiesi mentre lui mi abbracciò poggiando il capo sul mio petto.
«si» disse ed io lo tenni stretto a me.
«hai mangiato la frutta a casa di tuo padre?» gli domandai
«ho mangiato la frutta tutti i pomeriggi per merenda»mi fece sorridere
«bravo amore»gli scompigliai i capelli mentre mi sistemai meglio sul divano, ad osservarlo crescere.
«inizia mamma» mi avvisò,assicurandosi che stessi guardando la televisione come lui.
Non ci avevo mai capito molto e Pierre addirittura meno di me, quindi l'unica spiegazione plausibile a questo suo attaccamento al calcio aveva una sola ed unica provenienza.
I miei due unici fratelli minori: Flavien e Jean.
Non ci vedevamo spesso, perché loro erano rimasti a Grenoble per mantenere in piedi l'azienda di mio padre tirata su con molti sacrifici però, mi sentivo telefonicamente spesso con loro perché c'eravamo sempre stati gli uni per gli altri.
«mamma, mi porti a vedere una partita?» non era di certo la prima volta che me lo chiedeva ma, conciliare una partita con i miei impegni lavorativi era davvero difficile.
Soprattutto perché lui voleva vedere la partita di una squadra che sconoscevo totalmente, tranne per qualche calciatore francese che vi aveva militato quando io ero appena una piccola bambina.
«tesoro, se vengono qui a Parigi ti ci porto- annui accontentandosi ma sapeva tanto quanto lo sapevo anche io,che sarebbero state scarse se non addirittura inaverabili che una squadra italiana venisse a giocare a Parigi.
Segui distrattamente quella partita, ma piuttosto mi persi a giocare con i suoi biondi capelli, totalmente ereditati dalla famiglia di Pierre e da Pierre stesso.
Domani avevo una intesa giornata lavorativa e sapevo che avrei fatto meglio ad andare a letto ma mi piaceva da impazzire la sensazione di avere mio figlio tra le braccia, sdraiato tra le mie gambe mentre il suo profumo mi riportava indietro a quel periodo di gravidanza in cui ero stata felice come poche volte nella mia vita.
«che ne dici se la mamma chiude per un po' gli occhi?» gli proposi non volendo assolutamente che si accorgesse che fossi finita con l'addormentarmi sul divano nel bel mezzo della cosa che più gli piaceva.
«va bene»  mi baciò il naso come a darmi la buona notte e ringraziai Dio per avermi dato un dono cosi bello, impagabile.
Fu talmente dolce da farmi i grattini sul braccio nudo con cui lo tenevo stretto al mio corpo, certa che sarei finita col dormire sul divano stretta insieme a lui.
Non persi molto altro tempo prima di cadere nel sonno profondo e mi svegliati a tarda notte quando i lamenti di Alan mi arrivarono all'orecchio come un campanello di allarme.
Apri i miei occhi immediatamente e lo vidi accoccolato sul mio corpo, mentre rabbrividiva dal freddo.
Istintivamente portai le mie labbra sulla sua fronte sudata e il calore assurdo che ne venne fuori mi fece immediatamente capire che mio figlio si fosse beccata l'ennesima febbre stagionale.
Lo dicevo sempre a Pierre di fare molta attenzione con lui, perché mi infastidiva parecchio vederlo sofferente sul letto ma evidentemente forse dopo tanti anni non ero stata ancora cosi chiara nello spiegarmi.
Lo presi in braccio, portandolo con me sul letto della mia camera e tirai fuori il termometro dal comodino, portandoglielo sulla fronte.
38.2.
Grandioso!
Mi sentii in colpa e decisamente desiderai che venisse a me piuttosto che a lui.
Andai nel bagno a prendere la solita cassetta dei farmaci e presi la tachipirina per bambini.
Svegliarlo era l'ultimo dei miei desideri ma dovevo farlo, se il mio intento era appunto quello di fargli prendere la medicina.
«amore» gli accarezzai il volto disturbando il suo sonno.
«mami» mi rispose guardandomi con quel paio di occhi chiari come l'acqua
«prendi questa» gli porsi il bicchiere con l'acqua e la pillola.
Fece una brutta smorfia, sicuramente per il cattivo sapore della pillola e poi si arrampicò sul mio corpo in cerca di coccole che non tardai a dargli.
Lo cullai, guardandolo e vegliando sul suo sonno.
Avrei avvisato Antoniette che domani non sarebbe andato a scuola e che sarebbe rimasto a casa a riprendersi.
Afferrai il cellulare per controllare i miei impegni, cercando un modo per tornare a casa il prima possibile ma venni sommersa dall'arrivo di numerose notifiche di Cristian.
Inevitabilmente fui costretta ad aprirli, perché l'arrivo cosi incontrollato dei suoi messaggi lasciava presagire l'inizio della fine.
"Charlotte, ho lasciato una cartella dei documenti da te?"
"Charlotte ti prego rispondi, sono documenti importanti"
"Cazzo, guarda questo schifo di telefono"
Saltai i successi non volendo nemmeno sapere che contenuto avessero e cercai con gli occhi la presenza di una cartella nella mia camera da letto ma di essa non ve ne era nemmeno l'ombra.
Dalla finestra entrava della luce soffusa dei lampioni della raffinata via in cui era ubicato il palazzo, e riuscivo a scorgere i tetti della cattedrale di Notredame e pensai che non potessi desiderare una città migliore per crescere mio figlio.
Parigi aveva l'aria di un libro vecchio, con i margini usurati dal tempo e dalla quantità di mani che ne avevano girato le pagine ma, nonostante tutto rimaneva comunque quella città giusta in cui tornare.
Con quella consapevolezza sul cuore, e il volto calmo di Alan, lascia che la notte ci abbracciasse.

L'indomani mattina lasciai mio figlio sotto le coperte, assicurandomi che stesse meglio di come lo avevo soccorso nella notte.
Gli baciai la fronte, desiderando che solo sogni felici albeggiassero nella sua mente innocente.
«misuragli la febbre ogni ora, se supera i trentanove, chiamami e se la mia segretaria ti risponde che sono in riunione , dille che ti ho detto io che è codice rosso» Antoniette annui rassicurandomi.
Ero consapevole che lei ,avendo già cresciuto tre figlie, sapesse bene come gestire le febbri stagionali ma, io sarei stata meglio se fossi stata costantemente aggiornata sulle condizioni di salute di mio figlio.
«spremuta di arancia e areosol, prima dei cartoni animati» le ricordai ancora.
«Char, sta tranquilla» provò a rassicurarmi
«lo so lo so, ma ho bisogno di dirtelo» mi salutò mentre aprivo la porta intenta ancora ad infilarmi il mio paio di tacchi.
Distrattamente i miei occhi finirono su una carpetta rossa sul divano e capii che doveva essere la famosa cartella di cui parlava Cristian.
La afferrai e me la portai dietro, sbirciandone il contenuto mentre attendevo l'ascensore.
«buongiorno» venni salutata mentre alzai gli occhi da quella cartella per rivolgerli al mio solito interlocutore di sempre.
«Bonjour» ricambiai il saluto
«Veronique mi aveva detto che lei fosse la direttrice di Vogue  non che facesse l'avvocato, evidentemente si sarà sbagliata» lo guardai da capo a piedi, notando la quantità infinita di tatuaggi sulle sue braccia e quei capelli lunghi e biondi che gli incorniciavano un volto maturo.
«sono la direttrice di Vogue» gli risposi, prima che l'ascensore arrivasse
«prego» mi indicò con la mano di entrare dentro per prima
«merci» lo ringraziai mentre mi accorsi di come furbo buttò l'occhio sui miei fianchi.
Mentirei se dicessi che non mi fece comunque piacere, sapere di avere un certo effetto anche sui giovani ragazzi fa sempre bene alla propria autostima.
 «suo marito fa l'avvocato?» interruppi i miei pensieri da prima donna
«come scusa?»  gli chiesi facendogli capire che ero attualmente distratta.
«suo marito, le chiedevo se facesse l'avvocato» mi spiegò
«non ho un marito» istintivamente gli feci vedere le mie mani libere da fede nuziale.
«oh, mi scusi io non volevo essere scortese» si scuso sistemandosi la camicia bianca che indossava.
L'arrivo all'ingresso lo salvò dall'imbarazzo che parve però coglierlo solo per un breve istante.
«prego» mi ridisse invitandomi ad uscire prima ed io, lo accontentai camminando abilmente sui tacchi come avevo imparato anzi, ancheggiando leggermente.
«alla prossima» lo salutai mentre indossai il mio amato paio di occhiali da sole e rispondendo a Cristian che iniziò a chiamare.
Quando mi infilai dentro la mia macchina, sistemandomi al meglio e allacciando la cintura, risposi poi a Cristian.
«pronto» risposi calma
«finalmente. Che diamine hai fatto? Ti ho mandato chissà quanti messaggi» lasciai che il cellulare sul seggiolino di pelle delle mia bmw e mi immisi nel traffico.
«ho avuto da fare, posso esserti d'aiuto?»  non mi interessai nemmeno a fargli sapere che avevo trovato la sua dannata cartella.
«ho lasciato una cartella a casa tua, è rossa e devo averla con me entro stasera» fu breve e conciso sapendo quanto odiassi perdere il mio tempo.
«l'ho trovata dieci minuti fa» lo avvisai
«passo a prenderla stasera» assolutamente no.
C'era mio figlio a casa e lui non ci avrebbe messo piede nemmeno con le idee.
«Alan è a casa, te la faccio avere io» borbottò
«non darla a nessuno.C'è dentro un divorzio importante e non posso permettermi che quei documenti finiscano in mani sbagliate» parlava come se fossero personaggi pubblici, quasi di casara reale.
Ma io, questo signor Agnelli e la sua ormai ex moglie Emma e un cognome assai da pronunciare,non li avevo mai sentiti nominare.
«chi è Andrea Agnelli?» gli chiesi curiosa, sterzando a sinistra per immettermi sulla strada giusta.
«il proprietario di una squadra di calcio» ah, ecco perché non sapevo chi fosse.
«arrivano pomeriggio: lui, la sua nuova compagna e la sua ex moglie » i soliti uomini ricchi e i loro soliti giochi.
«scommetto che lei ha più o meno diciotto anni» la solita storia di sempre.
Lui bello e ricco e circondato da ragazzine arriviste.
«no, Deniz è una donna e modella turca e qui la stronza della situazione è la moglie» mi zittii immediatamente dovendomi ricredere.
«va bene, io sto quasi arrivando a lavoro, passo nel tuo studio verso le sei e mezzo, non farmi perdere tempo» gli dissi prima di mettere giù la chiamata, spegnere la macchina e dirigermi al mio amato impero della moda .



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Eccomi qui miei cari ♥️
So che vi ho fatto pazientare abbastanza ma gli impegni incalzano sempre di più e tra le feste e l'anno nuovo appena iniziato, non ho avuto molto tempo ma...bando alle ciance.
Sarei proprio curiosa di sapere cosa pensate di Char 😍.
Se volete contattarmi per qualsiasi cosa, potete trovarmi su Instagram al:6comeungirasole
Li troverete inoltre informazioni sugli aggiornamenti, se siete golose anche quale piccolo spoiler sulla storia e perché no?
Possiamo intraprendere una rubrica per parlare insieme di tutto quello che ci va.
Sempre vostra, Girasole 🌻.

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